La vittoria dei due Mario

Una banca centrale deve fare il suo mestiere. Ed essere messa in condizione di farlo. Ovvero vigilare su un sistema bancario, ma in caso di necessità sostenerlo. E intervenire sui mercati, in caso di evidenti  e pericolose distorsioni.

Deve disporre delle risorse necessarie, con gli spazi d’azione necessari.

Ieri, finalmente, il consiglio europeo pare abbia deciso (udite udite) qualcosa di concreto in questo senso. La Bce può utilizzare realmente i fondi europei esistenti (Efsf e Esm) per ambedue gli scopi.

Nasce finalmente una rete di sicurezza. Un sistema di firewall espliciti. E il messaggio, per una volta tanto forte, ha raggiunto i mercati.

Ha fatto molto bene Monti a minacciare il veto, in mancanza di queste decisioni. L’unica strada alternativa, a quel punto, sarebbe stata una rapida, quindi difficilissima, e pericolosa operazione di internalizzazione forzosa del debito pubblico italiano.

Ora invece, con la protezione del firewall, si può lavorare con maggiore calma alla dismissione selettiva del patrimonio immobiliare pubblico. E all’offerta di titoli di stato ai cittadini italiani.

Quindi, per ora, il pericolo sembra scampato. Complimenti a Monti. La sua doppietta, sulle banche e sullo spread, vale di più di quella di Balottelli.

 

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Aspettando Godot

Caveranno un ragno da un buco per l’Italia giovedì al vertice europeo?

Credo proprio di no. Nonostante la buona volontà di Monti. Magari annunceranno qualche palliativo alla depressione, qualche fondo europeo o della Bei in più, qualche project bond per nuove infrastrutture. E una rete di salvataggio contro il panico bancario. E tante parole vaghe su una futura, molto futura, unione economia e politica. Quando forse si sarà trovata la formula per l’eutanasia dei gloriosi fantasmi di De Gaulle e Bismarck.

Ma i nostri, al ventiquattresimo tempo supplementare, non attaccheranno in nessun modo il problema del debito pubblico. Nè nostro nè di altri. Il debito è la vera radice nazionale in Europa, sopravvissuta ingrandendosi su tutte le altre. Il debito è la madre della disciplina ma anche del rancore. Potrebbero uscirne i vecchi cari demoni, che hanno reso l’Europa una macelleria per tanti secoli.

Abbiamo già capito che gli eurobond sono una chimera (la Merkel è stata chiara). Non ci sarà controllo degli Spread da parte della Bce. Nessuna rete di sicurezza. Forse una piccola pezza, di acquisti temporaneamente limitati, che non risolverà niente.

Spero proprio di sbagliarmi. Spero che un reale firewall contro questi spread insensati verrà istituito. Se non altro perchè altrimenti la Spagna rischia di avvitarsi ancor peggio di noi.

Ma anche se fosse messo in piedi un firewall sui titoli del debito pubblico il problema resta. Prendere un robusto calmante non significa eliminare la malattia mentale. Specie se cronica.

E la si cura, progressivamente, solo cambiando la mente. Il primo passo è assumersi una completa responsabilità del disordine che si è creato. E poi, pezzo per pezzo, ridurlo e assorbirlo. Cambiando con un processo visibile, ma anche con margini per poterlo sostenere.

L’Italia di Padoa Schioppa cercava di tornare a essere sostenibile. Quella di Berlusconi è tornata nella malattia. Quella di Monti per ora è solo emergenza.

Non c’è una vera assunzione di responsabilità. Non c’è ancora un percorso sostenibile. Ci sono solo tasse di emergenza e riforme da libro di testo. Non c’è politica del reinventing government,  industriale, energetica, della partecipazione attiva, sociale, inclusiva. Non c’è visione.

Questo dovremo chiedere l’anno prossimo alle elezioni. Ma intanto cominciare la grande virata sul debito.

Quindi dobbiamo provvedere da noi. Prima che ci svenino. Dando l’esempio anche alla Spagna.

Perchè questo problema del debito pubblico craxian-berlusconiano, da oltre vent’anni è degli italiani. Solo ed esclusivamente degli italiani. Ed era così fino a quando, intorno all’anno 2002-4, qualche genio liberista non decise di mettere sul mercato internazionale un debito pubblico che prima era quasi completamente domestico.

E poi altri due geni di razza, e non solo Draghi, ovvero tremonti e berlusconi riportarono il debito dal 100% al 120% del pil sfruttando i bassi tassi di interesse dell’Euro. Quando l’Euro era simile al marco tedesco.

Risultato: ora abbiamo circa mille miliardi di euro di debito in mani estere. Di Hedge fund e quant’altro. E siamo strutturalmente destabilizzati.

Ebbene, prendiamo alla lettera quest’ultima frase. E facciamo come il Giappone. Riportiamo  il debito pubblico in Italia, in mani italiane, il più possibile. Grazie alla superiore capienza patrimoniale e di risparmi delle famiglie italiane.

Loro ci stanno succhiando il sangue? E noi togliamoglielo dalla loro portata.

Ma senza fare furbizie o berlusconate. Manteniamo gli impegni europei presi e da prendere. Facciamo capire, anche ai tedeschi, che questo è il solo modo possibile per noi per ridurre il debito controllandone i costi. E generare la ripresa. Altrimenti sarà solo una lunga, interminabile, agonia.

Riportiamo il debito in patria a condizioni serie e vantaggiose per i contribuenti (e soprattutto non) italiani. Ma in modalità obbligata, al posto di una distruttiva patrimoniale (che, di fatto, abbiamo già avuto in forma di Imu).

Riportiamo a casa il  più possibile del debito, sottraiamolo alla speculazione, evitiamo aste di titoli pubblici a bagno di sangue  e riduciamo le tasse, troppe. E tagliamo la spesa pubblica.

Raggiungiamo l’autogoverno dei tassi e del costo del debito pubblico, senza venir meno agli obblighi europei.

Dopo giovedì ci sarà un’estate in cui si capirà definitivamente che siamo in guerra. E le guerre si affrontano e si vincono anche con i prestiti straordinari.

Nota: a chi affidereste un’operazione politica tanto seria e difficile? A Beppe Grillo? A Berlusconi?….

 

 

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La crisi è inconoscibile?

Consiglierei a Gianni Riotta, autore di un ponderoso editoriale sulla Stampa di oggi di fare un’intervista a un normale dirigente industriale di una certa esperienza. E farsi raccontare gli ultimi quindici anni.

Nell’editoriale Riotta cita Andrew Lo, un professore del Mit esperto di fondi speculativi che ha redatto un’encomiabile recensione di ben 21 saggi, accademici e giornalistici, sulla crisi finanziaria partita negli Usa con l’esplosione della bolla immobiliare nel 2006-2008 e finita con il crollo di Wall Street. Dove Lo, nella babele di interpretazioni, non riesce a trovare un singolo filo conduttore interpretativo alla crisi.

Ci credo. Questa crisi non è finanziaria, ma pesantemente strutturale. E lo sa qualsiasi manager, e qualsiasi operaio si sia trovato a lavorare in un’azienda industriale esportativa negli scorsi quindici anni.

E’ avvenuto (e sta avvenendo) il più gigantesco trasferimento di produzione e di lavoro della storia. Che si è tentato di compensare con valore finanziario finto, presto esploso.

E questo trasferimento strutturale di lavoro ha deindustrializzato per primi gli Usa e poi l’Europa, a partire dai suoi paesi più deboli. I mutui immobiliari a basso costo e alto rischio (subprime) sono stati un palliativo temporaneo creato da wall Street per farsi mercato e anche ritardare l’impoverimento massiccio delle classi ex-operaie, in Usa, Spagna, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo. Di qui le bolle immobiliari. Di qui l’esplosione. E poi i debiti bancari convertiti in debiti pubblici.

Tre soli Paesi sono stati parzialmente immuni da questa dinamica finanzario-immobiliare.

Germania, Francia e Italia. Non a caso tre paesi industriali e, nel caso italiano, a forte risparmio diffuso (e bassa propensione al rischio). Ora però il nucleo stabile si è sgranato. L’Italia è a rischio per il suo debito pubblico pregresso e, soprattutto, per la sua galoppante erosione della sua base industriale.

Mentre la Germania, di fronte al crollo produttivo degli altri, ha progressivamente conquistato il mercato interno europeo. Rafforzando ancora di più il suo vero punto di forza.

La crisi quindi è crisi industriale e di produzione. E solo secondariamente finanziaria, caro Gianni. Non c’è nessuna ambiguità interpretativa. Nessun etereo derivato da spaccare in quattro.

Quando Clinton aprì i commerci alla Cina senza assicurarsi alcun rispetto di diritti umani e sindacali là, creò il mostro.

Oggi un riequilibrio strutturale è la sola autentica soluzione.

Credo crescentemente condivisa, dato lo stato dell’economia mondiale, persino da Pechino.

 

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Il problema europeo non sono i suoi popoli

Il voto greco pare uno di quegli eventi politici fondamentali. Il singolo popolo europeo sottoposto al più violento e rapido stress dalla seconda guerra mondiale ha deciso, anche se a denti stretti e di misura, di restare in Europa. Sopportando il peso di un programma di risanamento (e di impoverimento)  senza precedenti.

Ora questo popolo merita un aiuto. Per sostenere condizioni di vita divenute impossibili per tanti di loro. E non certo per restaurare un regime di corruzione e clientelismo che, non solo in Grecisa,  fa tanti danni nell’area mediterranea.

Ora l’Europa dei perfetti, delle grandi banche tedesche che prima giocarono con i subprime (e il eficit e il debito greco) e poi oggi danno lezioni di rigore, non ha più alibi. Devono cominciare a dare risposte, fin dal G20 di domani e poi il 27 al decisivo Consiglio della Ue.

Devono ripensare la cura da cavallo che sta uccidendo la Grecia, decidere sul debito comune e sulla banca centrale dell’Euro. E fornire segnali certi.

Altrimenti l’implosione continuerà.

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Era ora (vent’anni dopo)

Quello che Monti ha annunciato a Berlino, oggi nel 2012, andava avviato nel 1992, subito dopo i lanci di monetine su Bettino Craxi. Vendere o mettere a frutto un patrimonio immobiliare e azionario pubblico gigantesco. Scendere in pochi anni di 20-30 punti di Pil il suo rapporto col debito pubblico. E cosi’ ridare un futuro all’Italia. Senza strangolarla.

Meglio tardi che mai.

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O’ zuoppo che tene o’cecato

 

L’Europa sembra meritarsela proprio una crisi senza fine. Chiudono un buco portando via risorse che ne aprono un altro, e peggiore.

Con l’ambiguo salvataggio bancario della Spagna l’Italia è di nuovo sotto i riflettori. L’indice di rischio del suo gigantesco debito pubblico si è innalzato.  Ed è quindi sotto massicce vendite a termine.

Seguo l’analisi del mio buon collega Lops. Il salvataggio spagnolo via fondo Efsf significa che i paesi membri dell’Unione si accollano il risanamento spagnolo (la bolla immobiliare e di mutui inesigibili in pancia a quelle banche) a suon di aggiuntivo debito pubblico interno. Il che, per l’Italia, è pura follia, con un debito oltre il 120% del Pil e che sta innalzandosi a costi di interessi al 6%, in prospettiva del tutto insostenibili.

La nostra partecipazione al salvataggio spagnolo, con il 19% dell’Efsf, è quindi puro autolesionismo. Chi dobbiamo ringraziare? Qualche membro del governo Monti che capisce poco di finanza e di valutazioni di rischio? Oppure qualche eurocrate altrettanto ignorante e incapace di partorire uno schema di salvataggio effettivo (che esclude per il momento l’apporto dell’Italia), e non una pezza che rabbercia da una parte per aprire un buco dall’altra?

L’altro meccanismo per il salvataggio spagnolo sarebbe l’Esm, che non incide sui debiti pubblici e che dovrebbe partire ai primi di luglio. Peccato però che finora solo cinque paesi dell’Unione l’abbiano sottoscritto. E poi, anche questo fondo quanto costerà all’Italia in questa situazione critica?

Infine: nell’annuncio del salvataggio spagnolo non è specificato se i 100 miliardi per la Spagna verranno dall’Efsf o dall’Esm. Al primo, già esistente,  si oppone però la Germania (e anche credo l’Italia) per il citato effetto- debito. Il secondo è ancora sostanzialmente al palo. Ma le banche spagnole al limite del crack non aspettano.

Siccome quello spagnolo è un problema bancario sistemico (7 milioni di alloggi sfitti e milioni di mutui congelati in pancia alle banche) è quasi certo che i 100 miliardi non verranno rimborsati, se non forse a lungo termine. Quindi diverranno di sicuro altro debito pubblico per chi li sborserà, via Efsf.

C’è da mettersi le mani nei capelli. Dietro lo sbandierato salvataggio, c’è qualcosa che assomiglia molto al suo contrario.

Chiedere a uno zoppo di sostenere un robusto cieco.

In questo micidiale pasticcio politico-finanziario europeo chi sta facendone le spese è l’Italia. Il suo coefficiente di rischio sul debito pubblico (e sulle banche italiane che detengono titoli di stato per 300 miliardi)  è improvvisamente salito. E questo innalzamento improvviso  è una manna per gli hedge funds.

Ora, in Europa,  l’Italia è l’unica grande fonte aperta europea di profitti speculativi facili e a breve termine.

Non è poi un caso che i segnali di esaurimento dell’esperienza Monti (già ben visibili in patria)  vengano replicati e amplificati dal Wall Street Journal.

I gestori di un Hedge Fund cinese o texano si adeguano prontamente. Guardano le valutazioni di rischio, la propensione generale a scommettere contro l’Italia e procedono.  E lo farebbero anche, sospetto, se Monti avesse fatto meglio (o peggio) di una Margareth Thatcher.

Resta il fatto che Monti deve lavorare in una democrazia parlamentare. In un Parlamento distorto, di cooptati in cui la maggioranza (ex berlusconiana)  rappresenta gruppi di interesse monopolistici,  furbi, furbetti e evasori vari.

Sedicenti parlamentari che più volte hanno singolarmente dichiarato di essere pronti a vendersi al migliore offerente.

Vedi oggi l’iter della nuova legge anticorruzione.

Qui è il vero ventre molle italiano, e la risorsa per la speculazione internazionale.

Le liberalizzazioni, l’anticorruzione, la lotta all’evasione vengono ostacolate? I provvedimenti bloccati? L’Italia non dà segnali ai mercati. I dati negativi però continuano ad affluire, inesorabili. I grandi media internazionali giudicano e pubblicano. Gli analisti redigono report. Si crea un consenso negativo. Anche  solo 20 miliardi di debito prospettico in più amplificano le aspettative.  E gli speculatori ne approfittano.

La nostra bolla immobiliare, la nostra Bankia è quindi a Montecitorio.

La crisi si fa di nuovo acuta. Quindi fermi tutti, nella partitocrazia. Niente nuova legge elettorale, con eletti scelti e controllati dagli elettori. E niente elezioni a breve. Niente governo propriamente legittimato da un maggioranza di voti, e di rappresentanti.

Stallo di nuovo. Monti deve restare e gestire (con noi) l’emergenza. Noi dobbimo restare. E nello stallo altri colpi “facili” dalla speculazione. E così via. Fino alla crisi grave. Davvero grave.

E’ ora di uscire, il più rapidamente possibile, da questo circolo vizioso.

O Monti si rimette a produrre segnali credibili, e in tempi certi (settimane), e i partiti generano una nuova legge elettorale in tempi altrettanto certi e brevi, con un calendario elettorale altrettanto definito oppure, di questo passo, ci sarà solo il commissariamento, non so se europeo o dell’Fmi.

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Quintarelli e Decina

Mi spiace per Stefano Quintarelli, e mi spiace perchè la sua all’Agcom era una bella candidatura. L’esito delle nomine è stato davvero, come direbbe Calderoli, un’autentica porcata. La solita spartizione nella nomenklatura, con nomi rigorosamente targati e scelti dai maggiori partiti. I curriculum indipendenti, primo fra tutti quello di Quintarelli, non sono stati nemmeno presi in considerazione

Ci sono infatti grandi affari da fare e temere nel campo. Primo l’asta delle frequenze tv, poi i piani sulla banda larga, o persino la possibile tassazione della rete e il drm sui contenuti digitali. Fino alla possibilità di riservare una porzione di spettro radio alle connessioni innovative (software defined radio).

Maurizio Decina, indicato dal Pd come alternativa credibile a Quintarelli conosce tutte queste cose. Nel 1996 si adoperò, allora alto manager di Telecom Italia, per limitare la tariffa urbana a tempo  per gli utenti internet, allora pochi e a modem su linea telefonica.

Spero vivamente che inauguri una politica innovativa, aprendo nuovi spazi alla rete (e non tentando di chiuderli) e sappia contrastare aziende moribonde, come Mediaset, nel loro tentativo  di sottrarre spazio alla maggiore innovazione sociale avvenuta in Italia dal 1992 ad oggi. Che in parte ha contrastato il fallimento e la depressione degli ultimi 20 anni.

Consiglio vivamente a Maurizio Decina, che ben conosco, un consulente: Stefano Quintarelli.

La mia modesta proposta deriva da un’intervista proprio fatta a Decina cinque anni fa. Sulle frequenze televisive pregiate (quelle oggi in gioco) e l’opportunità di aprire uno spazio per sperimentazioni avanzate, come le software defined radio. Uno spazio di spettro pubblico sarebbe un incubatore straordinario per nuove iniziative e imprese, in questo clima da grande depressione.

Per questo faccio il nome di Quintarelli, come la persona in assoluto migliore per un progetto del genere.

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Deutschland unter alles

Oggi, sui mercati finanziari, è avvenuta un’inversione piuttosto plateale. Per la prima volta dacchè ricordo recentemente è stata la Germania a guidare il corteo delle borse (praticamente tutte)  con segno meno.

Qualcosa di macroscopico ha portato gli operatori a vendere massicciamente (presunte) solidissime azioni tedesche (nonchè francesi e inglesi). Qualcosa di semplice: negli Usa, al di là dell’auspicata ripresa, il tasso di disoccupazione è aumentato. E gli indicatori industriali cinesi segnano un netto ribasso.

Siamo, in sostanza, alla non ripresa. Non ancora alla recessione globale, tipo il 2009, ma sicuramente i segnali puntano al ribasso. Ed è il segnale cinese il più preoccupante. I tedeschi infatti esportano là beni di investimento, impianti e beni intermedi critici per i processi produttivi. Se la Cina decelera, gli Usa idem, quale mercato resterà loro, dato che l’Europa è, per dirla con un eufemismo, ferma?

Sarebbe ora che le grandi banche tedesche (quelle che là comandano) si facessero due conti e si dessero una regolata strategica. Certo, finora la politica del rigore a oltranza, ha fruttato Bund a rendimento negativo, ma intanto con oggi comincia ad aleggiare lo spettro della cassa integrazione “made in Deutschland”.

E’ sorprendente infatti notare come le piccole e medie imprese italiane di beni strumentali (in diretta concorrenza con le imprese tedesche in Cina e in Brasile) abbiano messo a segno due trimestri di export molto positivi.

Ovvio, quando i tempi si fanno meno facili gli imprenditori cinesi cominciano a valutare anche i prezzi. E i prodotti italiani, a parità di qualità, costano meno. Sarà un caso?

E’ solo un’ipotesi. Quello che è certo è che una recessione mondiale è un gigantesco gioco lose-lose. E chi (realmente) governa l’Europa, il baricentro negativo oggi della crisi mondiale, dovrebbe invece progettare e implementare, vigorosamente, il contrario: un gioco win-win.

Per esempio imponendo alla Spagna, il nuovo baricentro del baricentro della crisi, un credibile piano di risanamento. E non sui conti pubblici o il welfare, ma sul suo sistema bancario politicizzato e fallito.

 

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Il ventiseiesimo vertice (fallito)

Rassegniamoci. Dopo l’esito del vertice di Bruxelles di ieri (ben descritto da Adriana Cerretelli sul Sole) c’è solo una remota speranza che a fine giugno i mitici eurobond possano sbloccare la situazione. Rassegnamoci a una lunga crisi, e a un perdurante rischio Grecia.

Oggi però, e per la seconda volta, le piazze finanziarie europee si sono mosse in modo strano, controintuitivo. Sono cresciute, nonostante il ventiseiesimo fallimento consecutivo di un vertice europeo.  Sono slite perchè qualcuno si appresta a produrre qualche project bond, qualche riallocazione di fondi strutturali o maggiori capitali alla Bei? Oppure perchè la vera, non detta, misura decisa (e non da un vertice) ha riguardato al Bce, e il suo firewall?

Vedremo. Comunque ieri la geografia politica europea è cambiata. Comincia l’era di una Germania che gioca da sola, e non più in tandem con la Francia. Sarà un bene o un male? Tutti sono prudenti. In passato una simile contrapposizione portò a immani tragedie. Oggi, e ha ragione Monti, è meglio usare l’arma della persuasione.

A patto di essere protetti, tutti, da un crollo a catena. Germania compresa.

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Un giorno per ricordarli

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