La crisi è inconoscibile?

Consiglierei a Gianni Riotta, autore di un ponderoso editoriale sulla Stampa di oggi di fare un’intervista a un normale dirigente industriale di una certa esperienza. E farsi raccontare gli ultimi quindici anni.

Nell’editoriale Riotta cita Andrew Lo, un professore del Mit esperto di fondi speculativi che ha redatto un’encomiabile recensione di ben 21 saggi, accademici e giornalistici, sulla crisi finanziaria partita negli Usa con l’esplosione della bolla immobiliare nel 2006-2008 e finita con il crollo di Wall Street. Dove Lo, nella babele di interpretazioni, non riesce a trovare un singolo filo conduttore interpretativo alla crisi.

Ci credo. Questa crisi non è finanziaria, ma pesantemente strutturale. E lo sa qualsiasi manager, e qualsiasi operaio si sia trovato a lavorare in un’azienda industriale esportativa negli scorsi quindici anni.

E’ avvenuto (e sta avvenendo) il più gigantesco trasferimento di produzione e di lavoro della storia. Che si è tentato di compensare con valore finanziario finto, presto esploso.

E questo trasferimento strutturale di lavoro ha deindustrializzato per primi gli Usa e poi l’Europa, a partire dai suoi paesi più deboli. I mutui immobiliari a basso costo e alto rischio (subprime) sono stati un palliativo temporaneo creato da wall Street per farsi mercato e anche ritardare l’impoverimento massiccio delle classi ex-operaie, in Usa, Spagna, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo. Di qui le bolle immobiliari. Di qui l’esplosione. E poi i debiti bancari convertiti in debiti pubblici.

Tre soli Paesi sono stati parzialmente immuni da questa dinamica finanzario-immobiliare.

Germania, Francia e Italia. Non a caso tre paesi industriali e, nel caso italiano, a forte risparmio diffuso (e bassa propensione al rischio). Ora però il nucleo stabile si è sgranato. L’Italia è a rischio per il suo debito pubblico pregresso e, soprattutto, per la sua galoppante erosione della sua base industriale.

Mentre la Germania, di fronte al crollo produttivo degli altri, ha progressivamente conquistato il mercato interno europeo. Rafforzando ancora di più il suo vero punto di forza.

La crisi quindi è crisi industriale e di produzione. E solo secondariamente finanziaria, caro Gianni. Non c’è nessuna ambiguità interpretativa. Nessun etereo derivato da spaccare in quattro.

Quando Clinton aprì i commerci alla Cina senza assicurarsi alcun rispetto di diritti umani e sindacali là, creò il mostro.

Oggi un riequilibrio strutturale è la sola autentica soluzione.

Credo crescentemente condivisa, dato lo stato dell’economia mondiale, persino da Pechino.

 

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2 Responses to La crisi è inconoscibile?

  1. alberto says:

    Ciao Beppe, sottoscrivo incondizionatamente la tua valutazione.
    Purtroppo è amaro che il “Kennedy che abbiamo potuto avere, invece di quello che abbiamo perduto”, ovvero Clinton, abbia procurato questo colossale abbaglio, dalla globalizzazione senza freni, al ripudio del Glass-Steagal Act, aprendo un far-west che non trova argini. E condivido anche che la Cina (e forse anche la Russia: Putin non è stupido e Medvedev ha visione), così come India e Brasile, che sono in grado di prendere nuove responsabilità, sarebbero willing and desirous di buttare le basi per ricostruire un nuovo ordine economico internazionale. Dal G-20 tutti parlano di una nuova Bretton Woods, non più solo De Michelis o Cirino Pomicino. Ma dobbiamo trovare i Delors e Kohl. Obama e Hu Jintao non gliela fanno …

  2. Luca Riva says:

    Bell’articolo, anche dal punto di vista divulgativo. Se si vuole approfondire un minimo consiglio anche (Gorton and Metrick, 2012) http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1974662 , forse un po’ più tecnico, che fa una recensione di 12 documenti per spiegare un po’ di meccanismi chiave della crisi, dalle cause prossime alla risposta della Fed.

    Per quello che vale, ho trovato illuminante Fault Lines di R. Rajan (per la spiegazione macro e politica della crisi) e Too Big To Fail di Sorkin (per come è scritto e perché spiega chiaramente che il contagio è inevitabile). Ma non li ho certo letti tutti e 21…

    Se la crisi sia strutturale o meno non lo so, tendo a credere che stia durando così a lungo perché è la somma di due problemi abbastanza scorrelati: il double deficit degli Stati Uniti e lo squilibrio di produttività nell’area euro (si sarebbero manifestati comunque? Forse). O forse ha ragione Krugman ed è solo un problema di domanda aggregata.

    Sulla Cina condivido, credo si rendano conto che questi squilibri sono troppo rischiosi per il loro e il nostro futuro, e tra non molto saranno disposti a fare delle riforme in questo senso.