Oggi, sui mercati finanziari, è avvenuta un’inversione piuttosto plateale. Per la prima volta dacchè ricordo recentemente è stata la Germania a guidare il corteo delle borse (praticamente tutte) con segno meno.
Qualcosa di macroscopico ha portato gli operatori a vendere massicciamente (presunte) solidissime azioni tedesche (nonchè francesi e inglesi). Qualcosa di semplice: negli Usa, al di là dell’auspicata ripresa, il tasso di disoccupazione è aumentato. E gli indicatori industriali cinesi segnano un netto ribasso.
Siamo, in sostanza, alla non ripresa. Non ancora alla recessione globale, tipo il 2009, ma sicuramente i segnali puntano al ribasso. Ed è il segnale cinese il più preoccupante. I tedeschi infatti esportano là beni di investimento, impianti e beni intermedi critici per i processi produttivi. Se la Cina decelera, gli Usa idem, quale mercato resterà loro, dato che l’Europa è, per dirla con un eufemismo, ferma?
Sarebbe ora che le grandi banche tedesche (quelle che là comandano) si facessero due conti e si dessero una regolata strategica. Certo, finora la politica del rigore a oltranza, ha fruttato Bund a rendimento negativo, ma intanto con oggi comincia ad aleggiare lo spettro della cassa integrazione “made in Deutschland”.
E’ sorprendente infatti notare come le piccole e medie imprese italiane di beni strumentali (in diretta concorrenza con le imprese tedesche in Cina e in Brasile) abbiano messo a segno due trimestri di export molto positivi.
Ovvio, quando i tempi si fanno meno facili gli imprenditori cinesi cominciano a valutare anche i prezzi. E i prodotti italiani, a parità di qualità, costano meno. Sarà un caso?
E’ solo un’ipotesi. Quello che è certo è che una recessione mondiale è un gigantesco gioco lose-lose. E chi (realmente) governa l’Europa, il baricentro negativo oggi della crisi mondiale, dovrebbe invece progettare e implementare, vigorosamente, il contrario: un gioco win-win.
Per esempio imponendo alla Spagna, il nuovo baricentro del baricentro della crisi, un credibile piano di risanamento. E non sui conti pubblici o il welfare, ma sul suo sistema bancario politicizzato e fallito.