Berlusconi, ti consiglio l’esilio anticipato

Scontato, prevedibile il comportamento presente e prossimo del puttaniere nazionale. Lo condannano, sotto il peso di evidenze indiscutibili e lui va a far saltare il banco. A meno di un illegale salvacondotto. Un’altra ennesima legge ad personam (per annullare l’interdizione perpetua ai pubblici uffici) ma stavolta firmata anche Pd. Con conseguente ulteriore autodistruzione suicida del Pd stesso.

Il ricatto di sempre, da venti e passa anni sulla scena di un’Italia sempre più degradata, e da lui. Il mio potere politico è superiore alla legge: risultato, il 25% del prodotto del paese, per imitazione, fuggito nell’illegalità. E l’autodistruzione dell’Italia.

O mi date quello che (illegalmente) mi serve per sfuggire alla giustizia, o metto in crisi il Paese. Se me lo date producete una vergogna illegale e quindi vi fotto, se non me lo date ho risorse superiori alle vostre per imbonire gli italiani. Vinco sempre io.

Non funziona più, caro Silvio. Le ultime tornate elettorali hanno mostrato, con estrema evidenza, che non convinci più nessuno con le tue panzane. Persino la balla dell’abolizione dell’Imu è servita a poco. Gli italiani sanno (salvo i tuoi complici) che tu sei stato il protagonista primo dei loro attuali guai.

Quindi noi andiamo a votare, ti spazziamo via. E tu vai in  esilio in una delle tue troppe ville offshore.

La prossima tornata elettorale, credo imminente, sarà quindi all’insegna virale: togliamocelo una volta per tutte dai coglioni. Ha avvelenato e fatto abbastanza danni.

Non sarà un’elezione a norma di un Grillo ormai spompato, o di un Pd che si arrabatta a governare all’europea (il minore dei mali). No. Sarà il capitolo finale di Silvio Berlusconi, come soggetto politico.

Attento Cavaliere, stavolta se scegli di votare potresti finire in un fosso. Tu e il tuo ronzino Pdl.

Non ti conviene. Meglio l’esilio anticipato.

 

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Sarà la rete a giudicare Grillo

Il movimento Cinque Stelle è costituito, per il 70 % da Beppe Grillo. E’ un dato di fatto. Senza la sua arte oratoria, senza la sua teatralità precisa, senza i testi di Casaleggio e Associati, lo Tsunami tour non sarebbe mai esisitito. E così il blog, che vidi nascere prima con entusiasmo (e poi con crescente apprensione), dal 2005. E poi le altre tournee, e così via.

I militanti del movimento 5 stelle sono solo una parte minore, non marginale ma neanche decisiva, dell’operazione. E nemmeno lo sono fasce di elettorato inattese, di persone un po’ disperate che hanno creduto che Grillo servisse a qualcosa, per loro.

No. Grillo è un’operazione mediatica importante e ben costruita. Il fatto che abbia chiuso il 5 stelle nella scatola dell’opposizione, il fatto che accetti di rinunciare alle speranze (ingenue e disperate) di milioni di italiani non importa. Importa continuare nel gioco mediatico.

Che oggi si debba tagliare una ventina tra deputati e senatori cinque stelle, rei di pensare con la propria testa, è un altro passo obbligato. Meglio un partitino docile che un movimento ampio, persino interclassista, ma orientato a governare il necessario cambiamento.

Ok. Questa è la scelta politica di Grillo e Gasaleggio. E dei suoi fedeli. A mio avviso (ma vale per me) suicida.

Ma la cosa più antipatica è che si spacci questa scelta stalinista come “giudizio della rete”.

Personalmente faccio parte di internet dal 1992, e non tollero queste minchiate. La rete è una cosa seria, non quella finta e manipolata dei soli iscritti M5s , di Crimi, Casaleggio e Grillo.

Quanto ci scommettimo che sarà le rete a giudicare,  non  la Gambaro o la Pinna, ma proprio Grillo? E non è ovvio, dati gli ultimi e penultimi segnali elettorali, che già lo sta facendo?

E non è chiaro,infine, che tutte le volte che Grillo e Casaleggio fanno i pccoli Stalin, come avvenne per Favia e la Salsi  i consensi per il M5s crollano?

Vogliono continuare sulla strada della loro autodistruzione?

 

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Cazzeggiamenti grillini

Se la mia interpretazione del disastro alle comunali dell’M5s (post sotto) è corretta (e credo che lo sia) allora le ultime esternazioni di Grillo si spiegano molto bene, e mostrano la sua debolezza politica.

Prendersela con i giornalisti è un classico di chi vuole girare la frittata. Di chi vuole farsi audience a buon mercato. Ed è anche un classico di chi, spargendo un cortina fumogena e inventandosi un nemico immaginario, vuole in realtà un M5s piccolo, coeso, da lui controllabile e….inutile per l’Italia.

Abbiamo visto Grillo gridare nelle piazze, chessò, di reddito di cittadinanza, di piccole imprese da salvare?

No. Sarebbe parlare di politica. Ma ormai troppo tardi. Senza quel 15% aggiuntivo all’M5s di gentaglia (come noi) che l’ha votato, che vuole cambiare davvero registro, spesso per disperazione.

Quel 15% evidentemente non interessa a Grillo. Meglio parlare d’altro.

Il nemico esterno: Bruno Vespa, Floris, Passigli, Gabanelli. Fosse vivo pure Montanelli.  Patetico. Ma solo in apparenza.

Grillo il conservatore (e il conservatore Casaleggio) hanno una loro bella baracca da portare avanti. Non hanno un programma di governo (i 20 punti sono all’80% scempiaggini o avventurismo), non hanno che una voce ben costruita nella rete (un blog-megafono, ben architettato e pesantemente moderato) e nel paese. Hanno parole, spesso insultanti. A ragione e non. Hanno parole, fin dal 2005. Due mesi fa avrebbero potuto avere anche politica. Decisione. Risultati. Responsabilità.

Il problema, infatti, è che il M5s di oggi non serve a niente. Non muove processi legislativi, non fa campagne mobilitanti, non amministra e fa evolvere punti nevralgici, non determina nuovi equilibri nei vari gangli del sistema.

Ha idee che noi sui blog esponevamo, discutevamo e ricercavamo nel 2002-2005, prima che arrivasse l’eccelso Casaleggio a farne man bassa, ovviamente senza citarci.

Ma oggi cosa resta di quelle idee? La green economy è morta con l’orgia di incentivi (sulle nostre bollette) dati a una tecnologia energetica inefficiente, il fotovoltaico. Oggi non abbiamo un ghello manco per coibentare le case.

La decrescita felice poi la stiamo provando sulla nostra pelle. E’ semplicemente una stronzata. Una stronzata molto  triste.

L’uscita dall’euro è un suicidio, specie se è la sola Italietta a perseguirla.

Resta solo un provvedimento elementare: il reddito di cittadinanza. Ma anche qui siamo sul costoso in un paese sotto tutela feroce dell’Europa e della finanza. Non passerà mai, purtroppo.

E allora? Grillo e Casaleggio, avete fallito. Dovevate andare al governo e costruire una “contro-massoneria” (a quella che ci governa) capace di attrarre spagnoli, greci, portoghesi e anche francesi in un “mega 5 stelle” in grado di misurarsi con le autentiche lobbies dominanti (non solo tedesche).

La vera battaglia.

E invece vi siete rinchiusi in un meschino purismo da movimentino italiota. Non siete evidentemente all’altezza della situazione. Siete inutili. E siete finti.

Presentatevi al prossimo round, quindi, meglio preparati, con idee vere e strategie vere. E non questa buffonata polemica sui giornalisti. Please.

Ma già, a voi non interessa governare e affrontare la realtà.

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Grillo e Bersani: due conservatori

A occhio la metterei così. Un terzo degli italiani, giovani precari, cassaintegrati, schiacciati dalla crisi, vota il 5 stelle. Perchè avvii finalmente una stagione di cambiamento, in un Paese che brucia un quarto del Pil in corruzione, evasione, burocrazia inutile, privilegi e caste.

Questa delega “forte” va in Parlamento. E il risultato? Ognuno di noi ce l’ha sotto gli occhi. Il risultato è un governo in cui i perdenti si alleano, l’assetto post-elezioni è totalmente tradizionale, le facce sono sempre praticamente le stesse, il cambiamento è rinviato, ancora una volta, a data da destinarsi.

Non solo: i 5 stelle eletti da quel 30% di italiani sono chiusi in un box. Una bella scatoletta con scritto sopra “opposizione ininfluente”, congelati, capaci al più di scrivere qualche disegno di legge per gli archivi parlamentari.

Ci si meraviglia che alle amministrative il 5 stelle sia crollato? E i voti del 30% in buona parte tornati nell’alveo dell’astensione? Il movimento di Grillo e Casaleggio (G&C) non ha prodotto quello che doveva dare: una prospettiva di (nuovo) governo. Di forza riformatrice.

Colpa di G&C? Colpa delle loro preclusioni nei confronti del Pd? Colpa di Bersani con le sue ambiguità? Non lo so.  So che se fin dall’inizio vi fosse stata una reale trattativa di governo tra 5 Stelle e Pd, magari su un premier diverso da Bersani, la storia sarebbe ora diversa.

So che se G&C avessero deciso di raccogliere la sfida dell’elettorato proponendosi di andare a cambiare l’Italia oggi saremmo in una situazione diversa. Secondo me nettamente più dinamica. E non avrebbero deluso così platealmente.

G&C hanno scelto invece la conservazione, e di non sporcarsi le mani con un’Italia in crisi gravissima e altrettanto complicata da cambiare. Stare nel box dell’opposizione è comodo,  comodo fare bei discorsi incazzati, però c’è un terzo incomodo: l’elettorato, con le sue aspettative reali.

Oggi Grillo si produce in un post in cui spara a zero su tutti i principali nomi (Rodotà, Vendola, Civati…) che da sinistra avevano avviato rapporti di dialogo e vicinanza con il 5 stelle.  Taglia i ponti, cerca evidentemente di chiudere un bel muro del box, di serrare i ranghi tra i duri e puri.

Molti, credo (anche parlamentari a 5 stelle) si stanno infatti domandando. Quale futuro può avere questo movimento dopo la mancata risposta e poi la plateale sconfessione da parte degli elettori?

Tra sei mesi il 5 stelle tornerà al 30%? Oppure si assesterà su dimensioni della metà o meno, dimensioni da classica forza di opposizione (un po’ marginale)?

Grillo oggi ha mandato un segnale chiaro. Taglio i ponti con la sinistra (anche migliore), sto nel box, mi va bene un movimento 5 stelle oppositivo anche da 10-15%.  Stabilmente ininfluente, ma comunque ricco (per me) di opportunità mediatiche.

E allora? riflette il parlamentare 5 Stelle. Mi sono fatto eleggere per fare politica, per partecipare e non stare chiuso in un box. Se io e tanti altri come me transitiamo nel Pd forse potremo creare le condizioni (anche con i numeri) per un partito diverso, un governo diverso, una prospettiva che non sia la collusione bilanciata tra le due caste che da decenni governano il paese.

E’ triste dover scrivere questo. Di qualcosa che assomiglia a un tradimento trasformista.  Però è la conseguenza logica della grande delusione. E il 5 stelle, al di là dell’enormità di voti presi e rappresentanti, è ancora un’alternativa? E lo sarà ancora in futuro, quando “l’effetto Grillo” comincerà mediaticamente (e matematicamente)  a scemare?

E allora che qualcuno, vicino a G&C, prenda il coraggio a due mani, per un tentativo estremo. E consigli ai due leader di avviare contatti riservati con il Pd per fare ora quello che gli elettori volevano facessero ambedue i soggetti: un governo in comune di forte cambiamento. C’è ancora uno spiraglio.

Il Pd ha già pagato il prezzo (e lo sta ancora pagando) del governo attuale con Berlusconi. Il 5 stelle specularmente idem. Destini negativi paralleli di fronte alla grande domanda disattesa dal basso.

Si vuole invertire il trend? Ora che un po’ di risorse paiono in arrivo dall’Europa sarebbe proprio utile un governo riformatore. Nuovo, coraggioso.

Ma sia il Pd che il 5stelle, purtroppo, sono guidati da elites conservatrici.

Il vero guaio della sinistra italiana

 

 

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Ma guarda….

I sonnambuli si stanno svegliando? All’Italia verrà risparmiato un supplemento di lunga, quanto inutile, agonia? Dietro il paravento formale dell’uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo da parte dell’Unione ci sono quei 10-20 miliardi di cui abbiamo disperato bisogno per risollevarci.

Krugman ha avuto ragione: è tempo di allentare il cappio all’Europa del Sud. Prima che esploda il continente.

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L’infernale macchina europea

Apprendisti stregoni. Hanno messo in moto una distruzione economica senza precedenti, in un continente intero, senza avere nè le risorse finanziarie nè le istituzioni politiche per controllarla o fermarla. Questi irresponsabili che ci governano saranno puniti di conseguenza. E con loro L’Europa affonderà nelle urne elettorali. Portandoci indietro di un secolo.


Il termine macchina infernale, riferito all’Euro, non lo traggo da un comizio di Beppe Grillo o di Marine Le Pen. E’ invece dell’Economist di questa settimana, riferito da un analista di Berlino. I paesi europei ci sono dentro, intrappolati, ma nessuno, governante o istituzione ha la forza per cambiarla, questa macchina infernale, padrona del nostro presente e futuro .

Un esempio?  Il famigerato Fiscal compact, lo scellerato patto di rigore europeo che Monti ha imposto a un parlamento italiano di zombies terrorizzati dalla crisi finanziaria. Quest’anno, e almeno per i prossimi dieci ci imporrà 50 miliardi di riduzione del debito pubblico ogni dodici mesi. Una follia, un suicidio di massa degli italiani, già boccheggianti, di cui gli irresponsabili rigoristi di Bruxelles e Berlino sono i primi protagonisti.

La trappola europea è infatti l’eccesso di austerità. Non compensata da politiche e risorse di riequilibrio (qui tre proposte del Nobel Krugman). Quando un paese, come l’Italia o la Spagna, viene mandato dritto in recessione profonda, quando viene generato un mercato del lavoro da America Latina degli anni 80, con il 30% di disoccupati tra i giovani, semplicemente le tanto agognate (da lorsignori) riforme strutturali (ovvero la liberalizzazione completa del mercato del lavoro) diviene economicamente e politicamente sempre più difficili. Le devi fare “a secco”, senza contrappesi, un detonatore di esplosione sociale.

Provate a immaginare ammortizzatori sociali zero, formazione per reinserimento zero, ma massicce ondate di licenziamenti di padri di famiglia nelle aziende italiane, oggi. Solo per abbassare i salari (già bassi). Uno scontro sociale nella depressione. Una follia.

Già oggi la recessione da austerità ci è costata 1,2 milioni di posti di lavoro perduti nelle imprese, innumerevoli fallimenti, un calo di domanda automoltiplicativo che ha tagliato il Pil negli ultimi tre anni del 10%.

L’Europa dell’austerità cieca, del fiscal compact, è la madre della macchina infernale. Genero recessione ma non ho nè le risorse nè la forza politica per controllarla, bilanciarla,  e darle un esito. In questo modo i paesi vittima crollano e, crollando, si irrigidiscono ancora di più. Gli acquirenti delle aziende pubbliche da privatizzare spariscono, e così del patrimonio statale in vendita (svendita). Tutto si paralizza, salvo la caduta libera.

E’ assurdo. l’Europa sta violando ogni principio di macroeconomia, e di buon senso. In nome di una teoria dell’austerità patentemente errata.

L’unico forse che sta proponendo (inascoltato dal blocco tedesco) una qualche strategia è Francois Hollande. Un’iniziativa per la costruzione rapida di un governo dell’economia europea, con un superministro stabile.

E nella logica. Un passo verso l’Europa politica (da questo minestrone ormai tossico), prima che l’Europa e l’Euro si disintegrino. Un segnale fatto di programmi di investimento, di sostegno all’occupazione giovanile e alle imprese. Finanziati dalla Bce.

Prima che sia troppo tardi. Prima che sia una lunga deflazione-depressione europea.

Parlano, a vanvera, di ripresa. Ma la recessione, in Europa, infatti non si sta riducendo ma allargando. Nel club a “segno meno” sono recentemente entrati Francia, Olanda e Finlandia. Il Portogallo e la Slovenia sono a rischio default.

Tutto viene coperto, in nome delle elezioni tedesche. Il manovratore, Merkel, non va disturbato con le cattive notizie.

In questo deserto si stanno muovendo vasti soggetti elettorali. In Gran Bretagna il partito antieuropeo (Ukip) ha preso il 25% dei voti alle ultime amministrative. In Italia il Movimento cinque stelle propugna il referendum sull’Euro forte del suo 30%. In Francia il tasso di gradimento di Hollande è al 24%, record negativo assoluto.

E in Germania, anche le elezioni  del prossimo 22 settembre riserverà sorprese evidenti. Il neonato Afd, nato sul tema dell’uscita e smantellamento dell’Euro, potrebbe arrivare al 20%. E la sua sola presenza in campagna elettorale condizionerà la Cdu della Merkel su posizioni via via più dure sull’austerità europea.

Non esiste quindi soltanto una macchina infernale economica in atto, ma anche una macchina infernale politica ad essa connessa. E dalla prima generata. Che tende a paralizzare ogni soluzione politica positiva. Più recessione, più delusione, più rivolta politica e elettorale.

Fino alla frantumazione dell’Europa?

Quindi, o vi sarà una svolta subito oppure, temo, il 2014 sarà il primo di una serie di “anni interessanti” per l’Europa.

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Quantitative bubbling

La prima esplosione, oggi, del mercato finanziario giapponese è un campanello d’allarme anche per noi, e per l’Europa.

L’inizio di una nuova crisi nella crisi? Quella dell’economia liquida (lettura consigliata). Del quantitative easing a oltranza. Molti lo temono. Nessuno ancora lo sa per certo. Ma il massiccio canale monetario di impulso alla ripresa dalla deflazione appare distorto in bolla speculativa, al punto da tramutarsi nel suo esatto contrario.

Infatti…

Il crollo di Tokio di oggi ci dice che pompare a tutto spiano liquidità nei sistemi bancari (come ha fatto la Boj da alcuni mesi a questa parte) genera solo bolle finanziarie, e pochissima ripresa reale. E poi le bolle, scoppiando, devastano proprio quest’ultima, come è avvenuto nel 2000, poi nel 2008 (ricordate le politiche accomodanti di Greenspan?). E siamo ancora qui a cercare di leccarci ferite sempre più profonde.

Se l’esplosione giapponese, dopo la valanga di Yen riversati dalla Banca centrale di Tokio, sarà seguita dalla pari esplosione di Wall Street, pronube la Fed con i suoi trilioni (migliaia di miliardi) immessi, sarà la crisi generale di sistema, peggiore di quella iniziata nel 2008. Gli Usa stessi arrancano al 2% contro il 3% e più delle passate performance reali, nonostante il diluvio di nuovi dollari. Ogni miliardo in più va in finanza. E aumenta il rischio di una bolla globale.

Mario Draghi, e la Bce, con il suo programma Ltro, prevede di immettere nelle banche europee somme altrettanto colossali  in estate. Ma queste banche beneficiate cosa ne faranno? Finanzieranno investimenti d’impresa, lavoro, budget familiari, domanda?

L’altra volta le banche italiane hanno preso i quattrini e li hanno messi sui Bot e Cct, nella sostanza. Ci assicura Draghi che stavolta andranno alle imprese e alle nuove attività reali? Ci assicura, per esempio, che andranno a finanziare cose semplici (non derivati), come le ristrutturazioni edilizie condominiali (tanto per dirne una che sto seguendo) di risparmio energetico  (un affare da 300 milioni di minor consumo di gasolio e gas solo a Milano). Ci assicura che le banche tornino a fare le banche, anche se il prestito è a 15 anni? (si riempiono la bocca con la ripresa dell’edilizia per l’occupazione, e con il consumo di suolo da fermare, ecco una prospettiva concreta, e non finanziaria). Le banche a luglio avranno un valanga di euro? Che ne faranno? L’argomento merita qualche convegno, qualche titolo di giornale?  Toc toc, governo….

No. Compreranno titoli di debito sui mercati finanziari, titoli di stato, corporate bond. Troppo rischioso finanziare questi italiani straccioni. Troppi faticosi immobilizzi a lungo. Meglio la finanza globale. Un click. Tanti, maledetti e subito.

Risultato: impatto zero sull’economia reale.

Però.  L’Italia ha bisogno urgente di una terapia d’urto. Di almeno 40 miliardi annui di liquidità per almeno tre anni. 20 per le imprese e 20 per le famiglie (più povere e a rischio).

Siamo sotto del 25% sul 2007. Sono cifre persino sottostimate.

Ci hanno sbandierato la previsione di inizio della ripresa globale prima (governo Monti)  per la prima metà del 2013, poi è slittata alla seconda metà. Ora si parla di un punto non precisato del 2014. La palla di cristallo non funziona. L’economia Usa va piano al 2% e non accelera, la Cina perde persino qualche colpo, il Giappone rischia la bolla speculativa, l’Eurozona mette in fila ormai sei trimestri a segno meno (9 su 17 paesi in rosso). Con la Francia appena entrata in recessione. E la Germania, a marzo, a un simbolico +0,1%.

La nuova moneta immessa nei sistemi bancari e finanziari non si trasmette all’economia reale. Le banche non prestano ad aziende a rischio fallimento. Le aziende non investono se non c’è domanda. Le famiglie non consumano. Il circolo vizioso è ancora in atto, non toccato.

Ecco come l’Economist fotografa l’Eurozona di oggi:

The euro-zone economy has just endured a sixth successive quarter of shrinking GDP. The malaise is spreading to core countries including Finland and the Netherlands, which both contracted in the first quarter. Retail sales are falling. Unemployment, above 12%, is a record—with more than one in four Spaniards out of work (see article). In spite of savage spending cuts, government deficits are persistent and high. The sum of government, household and company debt is still excessive. Banks are undercapitalised and international lenders worry about their as-yet-unrecognised losses. Although official interest rates are low, firms in southern Europe are suffering a cruel credit crunch. All this is causing economic hardship today and eating away at the prospects for growth tomorrow. The euro zone may not be about to collapse, but the calm in Brussels is not so much a sign of convalescence as of decay.

Solo investimenti pubblici diretti, e sostegni di welfare possono spezzare il circolo vizioso. Politiche fiscali espansive, oggi precluse dall’ossessione al rigore. Moneta reale. Detassazioni europee sul lavoro (giovanile in primis), sull’impresa (nuova in primis), tanto per cominciare.

L’Italia è al centro di questo dilemma. L’attuale governo Letta è in grado di ricavare questi 40 miliardi dal bilancio pubblico italiano in pochi mesi? Non credo proprio. Scelte drastiche? Abbassare gli stipendi di parlamentari e burocrati dell’80%? Vendere patrimonio statale in pochi mesi e a prezzi accettabili? Sfoltire radicalmente le agevolazioni fiscali? Imbastire una nuova offensiva anti-evasione? (con Berlusconi nel governo….ma andiamo).

Tutte azioni, sulla carta (e nei programmi elettorali) auspicate. Nei fatti improponibili. Resta quindi solo lo status quo e l’attesa di un millimetrico spostamento nell’asse politico europeo. Cioè nulla.

Ci sarebbe, ovviamente, un modo classico per creare e investire queste risorse: uscire dall’euro e stampare moneta. Tornare a una moneta e a una Banca Centrale italiane.

Con un quarto secco di italiani alla povertà abbiamo raggiunto il limite della follia repressiva tedesca (alias rigore a tutti i costi). O si ragiona a Berlino, Bruxelles e Francoforte o si esce. Se la tengano loro questa Europa da campo di prigionia. Un referendum sull’Euro, e su questa Bce, mi pare quindi nelle cose, andando avanti così.

Draghi, Merkel, Letta. Loro oggi hanno in mano un filo italiano che potrebbe spezzarsi.

La ripresa via moneta finanziaria (illusoria)  finora non sta funzionando. O l’Europa si decide a passare alla moneta reale oppure è giustificato, per italiani, spagnoli, portoghesi e greci pensare di uscirne. Costerà salato uscirne, ma il prezzo sociale di restarci in questo modo sta diventando astronomico. A meno di una vera politica reflattiva.

E inviare un segnale chiaro ai sonnambuli mi pare quantomeno appropriato. Fa bene Grillo a parlare di referendum. Un po’ di pepe nel….

Quindi, stimato presidente del Consiglio Enrico Letta, la invito a riferire al suo superiore (o ai suoi superiori) questa semplice domanda:

moneta fittizia o moneta reale?

In queste cinque semplici parole c’è in gioco il futuro dell’Italia, dell’Europa e del mondo.

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Non sai quanto hai ragione, Beppe

BOLOGNA – «C’è un nesso tra trivellazioni e terremoto». Lo dice Beppe Grillo. «A Berna è in corso un processo dopo che una scossa di magnitudo 3.7 si è verificata in seguito a una trivellazione fino a 7.000 metri di profondità per la grande centrale geotermica». Così il leader del Movimento Cinque stelle, a Mirandola per consegnare i 420.000 euro raccolti per le zone colpite dal sisma.

AUTORIZZAZIONI SOSPESE – Proprio di trivellazioni si è tornato a parlare negli ultimi giorni, con il presidente della Regione Vasco Errani che ha deciso la sospensione di «ogni decisione su tutti i nuovi progetti di ricerca idrocarburi nei territori colpiti dal sisma del 2012» . Si attende l’esito della Commissione tecnico-scientifica istituita proprio per far luce su un eventuale rapporto tra terremoto e fracking.

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Finalmente se ne parla, di questa follia. Che ci è costata tante vite umane.

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Dopo Barca, Boeri e Soru per salvare il Pd

 

Pubblico qui un articolo appena scritto per Z3Xmi, la rivista di citizen journalism di zona a cui collaboro fin dall’inizio:

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E’ la corsa, ora, alla partecipazione deliberativa online. Fino a poche settimane fa snobbata dai grandi partiti. Effetto cinque stelle, di sicuro. Ma anche genuino desiderio, per politici anomali come Renato Soru, Stefano Boeri (e Fabrizio Barca) di avviare, usando appropriatamente la rete, una rivoluzione copernicana nel gran corpo del Pd, ringiovanendolo. E ribaltando proposte e decisioni dal vertice alla base. Prima che si realizzi l’ultima profezia di Beppe Grillo: “alle prossime elezioni ci sarà Berlusconi e avrà contro solo noi del 5 stelle. Saremo noi a rappresentare la sinistra”.

Già, perché il Pd nel frattempo rischia l’emarginazione (o l’auto emarginazione) dopo la sconfitta elettorale di febbraio e poi il disastro istituzionale sfociato nella scelta obbligata del governo di larghe intese.

“Mentre il vertice Pd, a gennaio, credeva di avere la vittoria in tasca e faceva la sua tradizionale campagna elettorale, i militanti 5 stelle in rete convincevano la gente ad andare in massa ai comizi di Grillo – spiega Soru – e risultati sono stati eloquenti”.

Una lezione chiara e dura. Per Soru e Boeri questo del Pd emarginato non è né deve essere un destino annunciato.

Nell’antica sala da ballo dell’Arci Bellezza, affollata di iscritti al Pd alla ricerca di aria nuova, hanno illustrato i loro progetti (congiunti) di e-democracy. Si chiamano Sardegna Democratica, rispettivamente, e Milano Democratica. Primo propulsore è Renato Soru, imprenditore con il dna nell’informatica e nella rete, che vuole arrivare, “per vincerle” alle prossime elezioni regionali sarde con una nuova piattaforma partecipativa online in campo, e possibilmente praticata da migliaia di attivisti. E, a ruota, Milano democratica promossa da Boeri.

In pratica? Un sistema di forum di discussione, di selezione delle idee e proposte, di “fact checking” (verifica sui fatti), di sviluppo cooperativo di documenti (alla Wikipedia), oltre a strumenti facili per il video streaming e altro. Soru ha annunciato una prossima due giorni aperta a tutti i giovani informatici che vorranno imbarcarsi nell’avventura. “Una specie di startup – ha detto – di Sardegna e Milano democratica”.

Funzionerà? Il progetto è indubbiamente generoso, lungimirante. Ma, come è chiaramente emerso nella serata all’Arci Bellezza, ancora agli inizi. Il trapianto dentro il Pd di una sorta di ambiente tecnologico a 5 Stelle (senza Casaleggio ovviamente) non basta. Sardegna Democratica e Milano democratica si pongono come due (incoraggianti) iniziative locali. Ma il livello superiore (qui una disamina tecnica più approfondita) è rimasto sullo sfondo, inespresso. Ovvero la piattaforma politica e di regole capace di abilitare la tecnologia. Un semplice esempio: “Vogliamo un partito di militanti che possano deliberare e non solo ratificare scelte già prese dal vertice – dice Boeri – e qui gli ambienti cooperativi di rete sono essenziali, anche se opportunamente combinati con gli incontri fisici”.

Già, ma questa capacità deliberativa dal basso con quali regole può essere istituita, e con quale linea politica? Quale gruppo dirigente può sostenerla e non avversarla? Sufficiente la gestione “illuminata” locale di un Soru o di un Boeri? E’ una questione a cui oggi fornisce una risposta solo un altro, il neo-candidato alla segreteria Pd Fabrizio Barca, con il suo corposo documento sulla “democrazia sperimentale” che delinea una forma partito completamente nuova (quantomeno per il Pd) basata sul lavoro cognitivo (online e misto) dei militanti (non diverso dall’accezione Soru-Boeri) ma privilegiato rispetto alle operazioni di vertice e di potere.

Un partito separato dalle carriere statali e dai giochi di potere dei singoli e delle lobbies. Capace di incalzare e rinnovare lo Stato usando proprio “l’intelligenza collettiva” che nasce dalla partecipazione strutturata. Un sogno che oggi affascina molti.

Soru e Boeri, così, si iscrivono “localmente” dentro questa linea nascente di profondo rinnovamento della politica. Chiaramente con l’occhio ben puntato sul prossimo congresso dei democratici a ottobre. Dove, come si vede, si sta formando un nascente aggregato di innovatori. Ma è ancora da vedere se dotato di sufficiente forza politica interna.

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Democrazia sperimentale (ovvero Fabrizio Barca)

Sandro Gozi, deputato prodiano, delinea un quadro piuttosto desolante: «Il Pd oggi è come un’azienda che accaparra posti e prebende, non può che essere considerata una bad company; tutto quindi si giocherà al congresso, dove dovremo tutti impegnarci e metterci in gioco per costruire il vero Pd (perché questo è finito) e convincere Prodi e tanti iscritti ed elettori a rimanere con noi. Se non facciamo un Pd solido, aperto e con-vincente rischiamo di perdere i migliori e di ritrovarci con gente interessata solo a occupare poltrone».

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Mi piace davvero la proposta che Fabrizio Barca ha sviluppato nel suo documento, ormai noto e piuttosto famoso.  Mi piace perchè è l’unico progetto politico che leggo in chiaro da tanto tempo, dall’avvio dell’Ulivo. E perchè pone, in chiaro, almeno due questioni chiave. La riforma dello Stato e la riforma della politica (dei partiti). Cercando di ipotizzare un gioco a guadagno condiviso tra i due, a favore dei cittadini.

Oggi i partiti di governo, e non solo il Pd, sono sostanzialmente bad-companies (come nell’eloquente citazione riportata sopra). Sono luoghi di carriera politica, amministrativa o aziendal-pubblica e chi tenta di esserci per spirito civico o passione di fatto è emarginato.

Un tempo esistevano partiti autofinanziati, grandi, con centri studi, convegni, riviste culturali, persino reti di convivialità famose. Certo, erano ideologici, ma non erano certo soggetti di degrado.

Non solo. Il profilo della politica, in Italia, quantomeno dal 1994 ad oggi è profondamente cambiato. Il modello Berlusconi, centrato sul leader mediatico, con il suo staff unico depositario di programmi e progetti, e connesso partito (se così si può definire) di prescelti e di clientes del capo indiscusso ha purtroppo fatto scuola.

E questo nonostante la breve stagione dell’Ulivo, e di un tentativo debole di organizzazione a rete e produzione politica e cognitiva (per usare il termine di Barca) che all’inizio entusiasmò tanti (tra cui me) ma già nel 1998 venne brutalmente sostituito, con un colpo di mano parlamentare (ricordo un tizio protagonista, tal Marini) dal corrispettivo di Berlusconi a sinistra. Quel tal Massimo d’Alema che vi importò con arrogante lungimiranza (purtroppo) tecniche e strutture simili. Rapporto stretto con i media, staff centralizzato, azione di governo (e sottogoverno) personalistica. E soprattutto uso a piene mani della peggiore finanza.

E poi ancora, tal Veltroni. Stesso profilo marketing, anzi, fino a teorizzare il “partito liquido”, in apparenza aderente alle dinamiche “veloci” della società in mutamento. In pratica un “non partito”, in cui aderenti e militanti servivano al più (come ora) per applaudire ai comizi e a ratificare scelte già prese dal centro. Un partito non partecipato, non influente, vuoto. Pubblicitario. Di manichini in mostra, dice giustamente Barca

Il danaro pubblico, il fiume dei rimborsi elettorali (malamente giustificati con l’idea di dover controbilanciare le massicce risorse di Berlusconi) hanno rapidamente distorto ogni rapporto interno ai partiti. I militanti, con i loro piccoli sudati contributi individuali (che tanti anni fa nel Pci contavano) oggi non contano più nulla. Conta chi è nello Stato, chi è parlamentare, assessore, funzionario delle Coop o delle aziende “vicine” o similia. La base può solo distribuire volantini, parlare a vuoto, eventualmente protestare. Non ha potere contrattuale sulla struttura.

Emerge potente la “bad company”, l’intreccio perverso tra partito delle carriere e dei posti e uno stato arcaico, che nessuno più ha la forza culturale e pratica di controllare e innovare. Il motivo per cui non siamo riusciti a ridurre la spesa pubblica e il debito dal 1992 ad oggi.

Un esempio? Sesto S.Giovanni era una città comunista “forte”. Poi si tramutò nel “sistema Sesto”, il suo opposto. Ovvero amministratori e manager di aziende edilizie “rosse”. Il paradigma di una bad company tuttora in atto (si veda l’operazione Città della Salute, ai danni dei contribuenti lombardi, sulle aree Falck insieme a Compagnia delle opere e Comunione e Liberazione). Bad Company rossa alleata alla Compagnia delle opere. E così altrove in Italia.

Bad company, poteri occulti e berlusconismo: uguale Italia dei suicidi.

Il motivo principale dell’attuale disastro italiano.

Che fare? Barca propone, all’essenziale, due grandi azioni.  L’instaurazione nei partiti di quella che chiama “democrazia sperimentale”. E la separazione netta tra partiti e Stato.

La democrazia sperimentale è una forma organizzata che combina discussione e elaborazione politica attraverso i classici ambiti fisici e insieme la rete. In uno schema altamente partecipativo (per alcuni aspetti simile a quello sviluppato nel movimento 5 stelle).

Personalmente dal 1994 ci opero, dalla prima rete civica italiana fino ad oggi con PartecipaMi, Z3xmi, e il comitato per Milano di zona tre. Esperienze fuori dai partiti, ma che mi dicono che il fisico-virtuale, per produrre politica partecipata e concreta, funziona. Arriveremo, per dirne una, ai bilanci partecipativi nelle zone di Milano. Niente partiti a interessarsi. Ma noi a furia di spingere.

Il punto, per Barca,  è: con la democrazia sperimentale ci si iscriverà al nuovo Pd per fare politica e non per cercare posti o carriere. Il partito indipendente invece avrà un rapporto critico, dialettico con lo Stato. Dovrà incalzarlo e innovarlo. Come, decenni fa, alcuni think tank di grandi partiti (in primis il Pci) proponevano e incalzavano.

Ok.  Mi vergogno di andare oltre con questo malandato bignami del documento Barca. Ora passo ai miei dubbi.

Questa epocale “muraglia cinese” tra stato e partiti, questa riforma profonda della politica in Italia come può realmente essere creata? E soprattutto come, in un partito come il Pd, con migliaia di eletti, amministratori, manager pubblici e di aziende connesse allo stesso partito?

Chi e come produrrà le regole di separazione e di indipendenza. E chi e come le farà valere?

Saranno credibili? Dureranno nel tempo?

Barca sostiene, a mio avviso illuministicamente, che l’adozione stessa dentro il Pd della “democrazia sperimentale” genererà o rafforzerà questa separazione.  Ovviamente lo spero, spero che una sorta di “sistema di meetup” attrarrà giovani per “fare” politica e non “servirsi” della politica. Ma è ragionevole sperarlo? Il Pd è riformabile dal suo interno?

Io credo di no.  La forza delle lobbies è evidente, e va al di là dei 101 vigliacchi che hanno affossato Prodi. Il muro di separazione andrebbe eretto innanzitutto dentro il Pd. Sapendo che la moneta cattiva scaccia quella buona, anche in un mondo di democrazia sperimentale (inquinabile).

Eppure la prospettiva generale di Barca è affascinante. Dopo più di vent’anni di dileggio e deprecazione dei partiti (dopo i disastri compiuti dalla Dc e dal Psi) una voce con una storia (ricordiamoci Luciano Barca) e con una cultura moderna ci indica di nuovo quel nodo, e in positivo. Ci dice che, se non lo risolviamo, la crisi perenne dello Stato e degli italiani non si risolverà.

La nuova generazione lo sa.

La prova l’abbiamo sotto gli occhi. Un terzo dei voti degli italiani è andato al  5 Stelle. Un partito (pur con tutti i suoi difetti di leaderismo) che non pratica la ricerca di posti o di prebende. Che non vuole il facile e abbondante danaro dei rimborsi elettorali. Che al suo interno discute via rete, su programmi interessanti (ma anche sballati). Ma dove chi partecipa pare avere un ruolo (superiore al normale membro di un circolo Pd).

Se il Pd riuscisse a mutarsi in una sorta 5 stelle senza leaderismo, più equilibrato,  efficace, intergenerazionale, aperto e concreto (ma altrettanto attrattivo) sarebbe la trasformazione. Che via successi elettorali costringerebbe anche gli altri partiti al nuovo modello.

E allora? Barca con il suo documento  si candida alla segreteria del Pd. Sta facendo un tour nazionale per discutere le sue idee con iscritti e simpatizzanti. Io spero che raccolga numerosissimi seguaci, tanti, il più possibile. Che formi un continuum, che sia segretario o no, con altri come Civati, Boeri, Soru e i tanti nomi che cercano un Pd diverso.

Spero anche che al congresso Pd questa iniziativa perda. Spero persino in una congiura di potere contro. Al punto da spaccare finalmente l’irriformabile Pd (in primis la sua inamovibile nomenklatura di potere, di affari, di carriere ).

Spero che i numerosissimi aderenti all’iniziativa non si riducano a una ennesima corrente, ma escano e formino (butto lì) il Partito comunitario italiano (Pci) con le regole e lo schema più o meno indicato da Barca (ma senza la zavorra).

Spero poi che il Pci, la good company, vinca alla grande le elezioni, su una prospettiva di vera riforma del Paese e di intelligenza collettiva al lavoro. E releghi progressivamente la bad company un guscio vuoto. E alla fine la costringa a sparire.

E così ridimensioni Berlusconi e riattragga i tanti voti di delusi dalla sinistra finiti a Grillo.

Altrimenti: good company assieme a bad company presto diverrà ancora una volta la seconda. A partire dalla prossima tornata elettorale, in cui dovrà sopportare (senza colpa) l’attuale discredito dovuto al fallimentare percorso Bersani (per me anche truffaldino).

Insomma. A Barca e altri in un partito pulito, aperto, completamente nuovo (operazione entusiasmante a cui parteciperei) ci credo. E così ai tanti Barca che lo abitano.

Dentro l’attuale Pd, perdonatemi e non sono il solo,  francamente no.

 

 

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