Democrazia sperimentale (ovvero Fabrizio Barca)

Sandro Gozi, deputato prodiano, delinea un quadro piuttosto desolante: «Il Pd oggi è come un’azienda che accaparra posti e prebende, non può che essere considerata una bad company; tutto quindi si giocherà al congresso, dove dovremo tutti impegnarci e metterci in gioco per costruire il vero Pd (perché questo è finito) e convincere Prodi e tanti iscritti ed elettori a rimanere con noi. Se non facciamo un Pd solido, aperto e con-vincente rischiamo di perdere i migliori e di ritrovarci con gente interessata solo a occupare poltrone».

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Mi piace davvero la proposta che Fabrizio Barca ha sviluppato nel suo documento, ormai noto e piuttosto famoso.  Mi piace perchè è l’unico progetto politico che leggo in chiaro da tanto tempo, dall’avvio dell’Ulivo. E perchè pone, in chiaro, almeno due questioni chiave. La riforma dello Stato e la riforma della politica (dei partiti). Cercando di ipotizzare un gioco a guadagno condiviso tra i due, a favore dei cittadini.

Oggi i partiti di governo, e non solo il Pd, sono sostanzialmente bad-companies (come nell’eloquente citazione riportata sopra). Sono luoghi di carriera politica, amministrativa o aziendal-pubblica e chi tenta di esserci per spirito civico o passione di fatto è emarginato.

Un tempo esistevano partiti autofinanziati, grandi, con centri studi, convegni, riviste culturali, persino reti di convivialità famose. Certo, erano ideologici, ma non erano certo soggetti di degrado.

Non solo. Il profilo della politica, in Italia, quantomeno dal 1994 ad oggi è profondamente cambiato. Il modello Berlusconi, centrato sul leader mediatico, con il suo staff unico depositario di programmi e progetti, e connesso partito (se così si può definire) di prescelti e di clientes del capo indiscusso ha purtroppo fatto scuola.

E questo nonostante la breve stagione dell’Ulivo, e di un tentativo debole di organizzazione a rete e produzione politica e cognitiva (per usare il termine di Barca) che all’inizio entusiasmò tanti (tra cui me) ma già nel 1998 venne brutalmente sostituito, con un colpo di mano parlamentare (ricordo un tizio protagonista, tal Marini) dal corrispettivo di Berlusconi a sinistra. Quel tal Massimo d’Alema che vi importò con arrogante lungimiranza (purtroppo) tecniche e strutture simili. Rapporto stretto con i media, staff centralizzato, azione di governo (e sottogoverno) personalistica. E soprattutto uso a piene mani della peggiore finanza.

E poi ancora, tal Veltroni. Stesso profilo marketing, anzi, fino a teorizzare il “partito liquido”, in apparenza aderente alle dinamiche “veloci” della società in mutamento. In pratica un “non partito”, in cui aderenti e militanti servivano al più (come ora) per applaudire ai comizi e a ratificare scelte già prese dal centro. Un partito non partecipato, non influente, vuoto. Pubblicitario. Di manichini in mostra, dice giustamente Barca

Il danaro pubblico, il fiume dei rimborsi elettorali (malamente giustificati con l’idea di dover controbilanciare le massicce risorse di Berlusconi) hanno rapidamente distorto ogni rapporto interno ai partiti. I militanti, con i loro piccoli sudati contributi individuali (che tanti anni fa nel Pci contavano) oggi non contano più nulla. Conta chi è nello Stato, chi è parlamentare, assessore, funzionario delle Coop o delle aziende “vicine” o similia. La base può solo distribuire volantini, parlare a vuoto, eventualmente protestare. Non ha potere contrattuale sulla struttura.

Emerge potente la “bad company”, l’intreccio perverso tra partito delle carriere e dei posti e uno stato arcaico, che nessuno più ha la forza culturale e pratica di controllare e innovare. Il motivo per cui non siamo riusciti a ridurre la spesa pubblica e il debito dal 1992 ad oggi.

Un esempio? Sesto S.Giovanni era una città comunista “forte”. Poi si tramutò nel “sistema Sesto”, il suo opposto. Ovvero amministratori e manager di aziende edilizie “rosse”. Il paradigma di una bad company tuttora in atto (si veda l’operazione Città della Salute, ai danni dei contribuenti lombardi, sulle aree Falck insieme a Compagnia delle opere e Comunione e Liberazione). Bad Company rossa alleata alla Compagnia delle opere. E così altrove in Italia.

Bad company, poteri occulti e berlusconismo: uguale Italia dei suicidi.

Il motivo principale dell’attuale disastro italiano.

Che fare? Barca propone, all’essenziale, due grandi azioni.  L’instaurazione nei partiti di quella che chiama “democrazia sperimentale”. E la separazione netta tra partiti e Stato.

La democrazia sperimentale è una forma organizzata che combina discussione e elaborazione politica attraverso i classici ambiti fisici e insieme la rete. In uno schema altamente partecipativo (per alcuni aspetti simile a quello sviluppato nel movimento 5 stelle).

Personalmente dal 1994 ci opero, dalla prima rete civica italiana fino ad oggi con PartecipaMi, Z3xmi, e il comitato per Milano di zona tre. Esperienze fuori dai partiti, ma che mi dicono che il fisico-virtuale, per produrre politica partecipata e concreta, funziona. Arriveremo, per dirne una, ai bilanci partecipativi nelle zone di Milano. Niente partiti a interessarsi. Ma noi a furia di spingere.

Il punto, per Barca,  è: con la democrazia sperimentale ci si iscriverà al nuovo Pd per fare politica e non per cercare posti o carriere. Il partito indipendente invece avrà un rapporto critico, dialettico con lo Stato. Dovrà incalzarlo e innovarlo. Come, decenni fa, alcuni think tank di grandi partiti (in primis il Pci) proponevano e incalzavano.

Ok.  Mi vergogno di andare oltre con questo malandato bignami del documento Barca. Ora passo ai miei dubbi.

Questa epocale “muraglia cinese” tra stato e partiti, questa riforma profonda della politica in Italia come può realmente essere creata? E soprattutto come, in un partito come il Pd, con migliaia di eletti, amministratori, manager pubblici e di aziende connesse allo stesso partito?

Chi e come produrrà le regole di separazione e di indipendenza. E chi e come le farà valere?

Saranno credibili? Dureranno nel tempo?

Barca sostiene, a mio avviso illuministicamente, che l’adozione stessa dentro il Pd della “democrazia sperimentale” genererà o rafforzerà questa separazione.  Ovviamente lo spero, spero che una sorta di “sistema di meetup” attrarrà giovani per “fare” politica e non “servirsi” della politica. Ma è ragionevole sperarlo? Il Pd è riformabile dal suo interno?

Io credo di no.  La forza delle lobbies è evidente, e va al di là dei 101 vigliacchi che hanno affossato Prodi. Il muro di separazione andrebbe eretto innanzitutto dentro il Pd. Sapendo che la moneta cattiva scaccia quella buona, anche in un mondo di democrazia sperimentale (inquinabile).

Eppure la prospettiva generale di Barca è affascinante. Dopo più di vent’anni di dileggio e deprecazione dei partiti (dopo i disastri compiuti dalla Dc e dal Psi) una voce con una storia (ricordiamoci Luciano Barca) e con una cultura moderna ci indica di nuovo quel nodo, e in positivo. Ci dice che, se non lo risolviamo, la crisi perenne dello Stato e degli italiani non si risolverà.

La nuova generazione lo sa.

La prova l’abbiamo sotto gli occhi. Un terzo dei voti degli italiani è andato al  5 Stelle. Un partito (pur con tutti i suoi difetti di leaderismo) che non pratica la ricerca di posti o di prebende. Che non vuole il facile e abbondante danaro dei rimborsi elettorali. Che al suo interno discute via rete, su programmi interessanti (ma anche sballati). Ma dove chi partecipa pare avere un ruolo (superiore al normale membro di un circolo Pd).

Se il Pd riuscisse a mutarsi in una sorta 5 stelle senza leaderismo, più equilibrato,  efficace, intergenerazionale, aperto e concreto (ma altrettanto attrattivo) sarebbe la trasformazione. Che via successi elettorali costringerebbe anche gli altri partiti al nuovo modello.

E allora? Barca con il suo documento  si candida alla segreteria del Pd. Sta facendo un tour nazionale per discutere le sue idee con iscritti e simpatizzanti. Io spero che raccolga numerosissimi seguaci, tanti, il più possibile. Che formi un continuum, che sia segretario o no, con altri come Civati, Boeri, Soru e i tanti nomi che cercano un Pd diverso.

Spero anche che al congresso Pd questa iniziativa perda. Spero persino in una congiura di potere contro. Al punto da spaccare finalmente l’irriformabile Pd (in primis la sua inamovibile nomenklatura di potere, di affari, di carriere ).

Spero che i numerosissimi aderenti all’iniziativa non si riducano a una ennesima corrente, ma escano e formino (butto lì) il Partito comunitario italiano (Pci) con le regole e lo schema più o meno indicato da Barca (ma senza la zavorra).

Spero poi che il Pci, la good company, vinca alla grande le elezioni, su una prospettiva di vera riforma del Paese e di intelligenza collettiva al lavoro. E releghi progressivamente la bad company un guscio vuoto. E alla fine la costringa a sparire.

E così ridimensioni Berlusconi e riattragga i tanti voti di delusi dalla sinistra finiti a Grillo.

Altrimenti: good company assieme a bad company presto diverrà ancora una volta la seconda. A partire dalla prossima tornata elettorale, in cui dovrà sopportare (senza colpa) l’attuale discredito dovuto al fallimentare percorso Bersani (per me anche truffaldino).

Insomma. A Barca e altri in un partito pulito, aperto, completamente nuovo (operazione entusiasmante a cui parteciperei) ci credo. E così ai tanti Barca che lo abitano.

Dentro l’attuale Pd, perdonatemi e non sono il solo,  francamente no.

 

 

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4 Responses to Democrazia sperimentale (ovvero Fabrizio Barca)

  1. Qui non si tratta di scindere il Pd, né d’altra parte di dare un posto a ciascuna delle sue anime, ma di restituirgliela, un’anima. E una direzione politica condivisa. Anche con chi non è stato e non è d’accordo, preoccupato per quello che sta accadendo.

    • beppe says:

      Arnold, sono d’accordo. Ma come gli dai un anima se questo partito è sotto il comando di una casta di indifendibili? Questi, con la loro sola presenza sullo sfondo, faranno perdere anche un santo per i prossimi cento anni.

  2. Questa epocale “muraglia cinese” tra stato e partiti, questa riforma profonda della politica in Italia come può realmente essere creata? E soprattutto come, in un partito come il Pd, con migliaia di eletti, amministratori, manager pubblici e di aziende connesse allo stesso partito?

    • beppe says:

      La cosa che più potrebbe avvicinarsi a questo è un movimento 5 stelle senza il controllo verticistico di Grillo e Casaleggio.