La scheda elettorale (inversa) di Mario Monti

Magari non ci sarà un Monti bis subito dopo le elezioni politiche della prossima primavera. Ma quasi di sicuro ci sarà un documento firmato dal Governo italiano con precise condizioni di politica economica, imposte dall’Europa, per tutta la prossima legislatura.

Il motivo è semplicissimo. La Spagna si appresta a chiedere la protezione dell’Esm e della Bce.  Non sarà per questa settimana ma dovrà farlo, e a breve. In alternativa c’è la secessione della Catalogna (già annunciata) e il dissesto di grandi regioni come l’Adalusia. Lo Stato spagnolo, in una recessione terribile, non ha materialmente i soldi per sanare il suo colossale sbilancio bancario e i debiti delle regioni.

Quando procederà alla richiesta di aiuti, la Spagna sarà al riparo (forse e a un prezzo da stabilirsi). Ma allo stesso tempo esporrà alla più violenta speculazione l’Italia, paese in crisi ma non protetto dallo scudo Bce.

Quindi il passo obbligato, per noi, sarà quello di procedere a un’analoga richiesta di protezione e di scudo anti spread. Con connessi impegni scritti, vincolanti e pluriennali.

Il prossimo programma di governo, nella sostanza. A quel punto Monti lascerà Palazzo Chigi con un lascito timbrato e blindato. Si tratterà quindi, alle urne, di decidere se un siffatto programma potrà essere eseguito da un Berlusconi (che non credo proprio) o da un Renzi o Bersani (già un pochino meglio ma non molto).

A quel punto apparirà chiaro a tutti che quel documento di impegni sarà la scheda elettorale (all’inverso) di Mario Monti.

P.s sarebbe proprio bello scrivere in rete, magari con LiquidFeedback, questo  reale programma di governo. Quali obbiettivi e misure sulla corruzione, l’evasione, il lavoro nero, la pressione fiscale sulle varie fasce sociali, i costi della politica, i diritti e il welfare, i livelli e la quantità di burocrazia……

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Perchè Casaleggio deve farsi da parte

Forse non se ne è accorto. Ma Gianroberto Casaleggio, il gestore (nascosto) del movimento Cinque Stelle porta oggi una bella responsabilità verso quel 20% di italiani, giovani e non, pronti a votare per  le liste con la faccia di Beppe Grillo.

Basta un semplice paragone tra due movimenti simili, coetanei, con culture di fondo quasi identiche. Il partito pirata, nato in Svezia e poi diffusosi in Germania e altri paesi nord-europei sull’onda delle battaglie per l’open source e per la libertà di condivisione in rete. E in Italia il Cinque Stelle.

I pirati, in particolare tedeschi, hanno già avuto un successo elettorale straordinario di rilievo nazionale. Alle ultime elezioni hanno raggiunto l’8% dei voti al Bundestag. E nutrite rappresentanze a Berlino e in altre città del paese.

Come sono riuscitì a questo? Applicando a loro stessi regole chiare, trasparenti, ma non verticistiche. Anzi. Non ci sono registi interni palesi o occulti tra i pirati. C’è invece una sorta di assemblea permanente strutturata che produce intelligenza collettiva, proposte e idee politiche continuamente discusse. E, se votate e approvate, inviate come mandato stretto, inequivocabile, ai propri rappresentanti politici, controllati in tempo reale. Chi di loro viene meno ai mandati viene sanzionato dalla comunità, anche severamente.

Lo strumento che hanno sviluppato, il centro della loro identità politica, si chiama Liquidfeedback. Il loro ideale è infatti la democrazia liquida, senza blocchi rappresentativi al suo interno, e il più possibile immune dalle lobbies e dalle cordate di potere.

Questo strutturarsi su un sistema partecipato di discussione e selezione delle proposte politiche (con deleghe- sempre provvisorie -  ai migliori proponenti) e successive votazioni ha portato i pirati berlinesi, a loro dire, a vincere le elezioni con il miglior programma tra tutti. Idee nuove e nate, anche,da giovani altamente scolarizzati, professionisti, informatici, ricercatori.

Passiamo al Cinque Stelle. Il panorama è un po’ diverso. Il movimento è ancora baricentrato sul blog di Beppe Grillo, gestito da Casaleggio & Co, e poi sulla vecchia struttura dei meetup, forum più o meno liberi e più o meno caotici.

Questo movimento, oggi forte emozionalmente del 20% dei voti italiani, si appresta a presentarsi alle elezioni di aprile prossimo senza uno strumento moderno di sviluppo della propria intelligenza collettiva paragonabile a LiquidFeedback. Il programma elettorale del movimento cinque stelle sarà pertanto con ogni probabilità scritto in un retrobottega della Casaleggio e Associati?

Questa polemica è da tempo presente nelle file del Cinque Stelle. Da circa tre anni molti chiedono il superamento dei meetup, e ora si sta formando una coalizione interna per l’adozione di LiquidFeedback.

Un ambiente molto bello ma anche molto delicato, quanto ad amministrazione trasparente e imparziale (l’admin controllando le regole può “far” politica). Che, quindi richiederebbe una “terza parte” a fiducia condivisa tra tutti. E Casaleggio non pare a tanti rispondere a questo requisito.

La posta in gioco va però oltre, molto oltre, i personalismi di questo o di quello. Sul piatto c’è l’evoluzione di una generazione di italiani in politica. Il connesso rinnovamento della democrazia e, forse, il futuro della Repubblica.

O si imbocca subito, e seriamente, la strada dell’intelligenza collettiva partecipata oppure saranno dolori. Forse simili a quelli degli anni 70.

Per questo invito caldamente, da non grillino, Casaleggio a farsi da parte nel suo ruolo attuale. E, al contrario a contribuire alla nascita e alla fioritura dell’intelligenza collettiva politica in Italia.

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Il bazooka virtuale della Bce

Sarebbe davvero bello se questa prima quindicina di settembre, con il suo tandem di annunci,  venisse ricordata in futuro come il punto di svolta positivo nella crisi. Il sostegno illimitato (ma condizionato) al debito pubblico dei paesi europei in difficoltà e il parallelo riassorbimento, altrettanto illimitato, dei mutui immobiliari negli Usa sono misure senza precedenti. La Bce annuncia il firewall tanto desiderato. La Fed comincia a cancellare, al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese, il bubbone immobiliare esploso nel 2008, e da allora come un macigno nella pancia delle banche Usa. E soprattutto nei bilanci familiari di milioni di famiglie di ceto medio indebitate. Banche con carico debitorio inferiore, spera Bernanke, potranno quindi rifinanziare consumi e investimenti diffusi.

E così nelle aree deboli europee. Dove il programma Bce di scudo sugli spread (di riacquisto illimitato dei titoli pubblici a tre anni) dovrebbe da un lato rendere meno oneroso il servizio del debito pubblico spagnolo o italiano e dall’altro alleggerire i rispettivi sistemi bancari, sotto schiaffo dalla speculazione appunto per la quantità di titoli pubblici a rischio in portafoglio.

Risultato: banche italiane (e spagnole, queste ultime una volta ristrutturate e ricapitalizzate via Efsf) meno restrittive, e capaci persino di finanziare investimenti industriali, soprattutto nelle cruciali piccole e medie imprese.

Questo però a patto che il “bazooka” annunciato da Draghi funzioni gìà per effetto di annuncio (finora è stato così). Il Bazooka per ora è virtuale. In pratica sia Italia che Spagna sono molto restie ad accettare di entrare in un meccanismo che, se le salvaguardia, impone anche piani e obbiettivi condizionali dettati da Fmi-Bce-Ue. E Monti e Grilli continuano a ripetere che, almeno per il momento, questi piani di risanamento condizionati (e eterodiretti)  non sono necessari. Basta il risanamento in corso.

L’annuncio di Draghi è però ben di più di una serie di parole: è un impegno operativo. In caso di crisi da spread la Bce, a certe condizioni, si impegna a operare acquisti di titoli anche illimitati. E questo impegno di fatto riduce, per gli operatori, l’indice di rischio su quei titoli, ora virtualmente “coperti”. Oggi gli hedge funds sanno che, oltre certi livelli speculativi, sui titoli spagnoli o italiani può scattare l’azione di riacquisto e quindi rovinarli.

Nell’indice di rischio percepito è quindi il segreto della mossa di Draghi. E non nel bazooka in sè.

Per differenza il piano di Bernanke è esecutivo. La ristrutturazione dei debiti bancari e l’immissione di liquidità è effettiva, non virtuale e condizionata. L’obbiettivo sembra previso e ravvicinato: arrivare alle elezioni presidenziali con tangibili segnali di ripresa e di sollievo per le famiglie.

In Europa però, anche se l’effetto bazooka sarà positivo (augurabile) nello stabilizzare i mercato, solo in piccola misura aiuterà nell’inversione di un ciclo negativo che ormai dura da cinque anni.

Sarebbe necessario ben altro, come il finanziamento di ampi progetti di investimento, fisici e immateriali. E una politica fiscale comune. Temi su cui si spendono infiniti vertici. Ma, almeno finora, senza risultati tangibili.

Accontentiamoci quindi degli annunci di un bravo banchiere centrale. E speriamo che riducano un po’ il costo del credito in Italia. Aspettando anche un ritorno sulla scena dell’economia americana, finora il vero occhio del lungo ciclone.

 

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Il nemico dentro

 

L’Italia di questo agosto 2012, anno di crisi profonda e di primo tentativo di intaccare gli “equilibri” storici di un paese costretto a trasferire il 25% del suo Pil all’illegalità, organizzata o meno,  non è sotto attacco dalla speculazione, ma soprattutto dal suo storico nemico interno. Spietato, che usa armi antiche e vigliacche come il fuoco.

Incendi ovunque, ma non sono eventi naturali:

Mentre questa settimana l’anticiclone africano aggredisce il Centro-Sud, è allerta per gli incendi.
Gli incendiari scelgono infatti i giorni più caldi per colpire, certi che il fuoco potrà propagarsi con maggiore facilità ed essere più distruttivo.

Le statistiche dicono che circa il 70% degli incendi è di origine dolosa, ma probabilmente la percentuale andrebbe rivista al rialzo. Nonostante dal 2000 sia stato introdotto in Italia il reato di incendio boschivo, la difficoltà di cogliere l’incendiario in flagranza fa sì che la maggior parte dei reati rimanga impunita.

Il Corpo forestale dello Stato ha reso noti i dati sugli incendi boschivi relativi al primo semestre 2012: rispetto all’anno precedente si è verificato circa il 76% in più di incendi, mentre più contenuto risulta l’aumento delle superfici colpite (circa il 57% in più rispetto all’anno precedente). Rispetto al 2011 si registra in particolare un significativo incremento (+94%) delle superfici boscate rispetto a quelle non boscate (+12%). Ancora più sensibile è l’aumento del numero di incendi e di superficie percorsa dal fuoco se lo si confronta con il dato medio del triennio precedente: circa il 150% di aumento.

………..

Le regioni dove gli incendi estivi costituiscono un vero dramma sono purtroppo sempre le stesse: Sicilia, Campania, Calabria, Lazio e Puglia. Non a caso sono le regioni in cui la presenza della criminalità organizzata è più radicata e sono molteplici gli interessi a dare fuoco a boschi o campi coltivati.
«Nei giorni scorsi il tentativo di incendio sugli aranceti nel trapanese: cinque ettari di legumi distrutti a Isola Capo Rizzuto in Calabria, qualche giorno fa sono stati bruciati dodici ettari di grano a Pignataro Maggiore pronti per la mietitura per realizzare i “paccheri” di don Peppe Diana. Continua l’aggressione ai beni confiscati, “una rappresaglia continua e reiterata con il chiaro intento di colpire chi lavora per ristabilire la legalità e sta realizzando un’economia giusta e sana nel nostro paese» commenta don Luigi Ciotti, presidente di Libera, all’indomani dell’ennesimo incendio.

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Compromesso in corso

L’unica cosa che si capisce dalle parole di Draghi oggi è che è in corso, all’interno della Bce e tra i governi, la faticosa ricerca di un compromesso, forse ancora non vicino.

In linea di principio la questione degli aiuti antispread è passata. In pratica dire, come ha detto Draghi, che saranno i fondi salvastati , efsf e Esm, a farsene carico significa rinviare a settembre, dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale tedesca, la partenza reale di questo meccanismo (dato che l’Efsf è già in gran parte impegnato).

Rifiutando la licenza bancaria all’Esm di fatto Draghi ha chiarito che la Bce non stamperà moneta per contrastare la speculazione.

E che la richiesta di aiuti da parte dei paesi in crisi sarà legata a condizionalità stringenti. In pratica Spagna e Italia dovranno sottostare alle indicazioni della Bce.

La Bundesbank, in sostanza, con oggi mi pare aver vinto. La crisi dell’euro continua.

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Un sogno che non deve morire

Il documento dei 17 economisti dell’Inet è significativo. In sostanza dice: per fermare e invertire l’incipiente disintegrazione dell’area Euro va trovato un punto di equilibrio possibile, e condivisibile.

Questo punto sta lungo un asse: la disciplina fiscale definita, e non solo per volontà del club nordico europeo, nel fiscal compact. Con la forza di trattato europeo.

Ma questo asse non basta. E la sua interpretazione in termini di rigore ad ogni costo oggi è estremamente pericolosa. Potrebbe gettarci in un circolo vizioso di continui e dolorosi aggiustamenti e di continui effetti depressivi.

Intorno all’asse fiscale, dice la proposta, vanno costruiti nuovi controlli e nuovi spazi e strumenti di ammortizzazione della crisi. In primis una banca centrale dell’Euro in grado di agire efficacemente sui mercati (in caso anche a liquidità infinita), poi regole speciali per il fiscal compact in caso di gravi recessioni nei paesi aderenti e necessità di politiche fiscali di stimolo; infine una procedura fallimentare concordata degli stati in crisi che non metta a rischio l’intero sistema Euro.

Ma la gestione dell’entropia interna del sistema Euro non può limitarsi a questo. Questa deve estendersi anche all’Unione bancaria e alla vigilanza centralizzata sugli istituti (e sui mercati).*

Bene, fin qui per sommi capi il dispositivo proposto dagli economisti. Tutto giusto, ma a mio avviso manca qualcosa, anche a breve termine.

Mi chiedo: perchè Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda sono state saccheggiate (complici le loro banche) e poi martoriate? Tutti cattivi o criminali? Bè, qualsiasi manager industriale lo sa: perchè la loro industria è morta ammazzata, il loro lavoro vivo è stato ucciso dal dio mercato. Le aziende multinazionali da loro sono scappate, per la Cina e l’Asia. Ho spesso visitato parchi industriali irlandesi, un tempo fiorenti di aziende multinazionali elettroniche. Oggi mezzi vuoti.

L’Italia ha faticosamente retto dal 2000 ad oggi. Ma si è persa per strada circa un quarto delle sue imprese. Sono dodici anni filati che l’Italia non cresce. E ci credo!. I cinesi ci hanno fatto le scarpe, il tessile, pezzi di meccanica. E altrettanto è avvenuto un po’ ovunque nel Sud Europa.

Si riempiono la bocca di stagnazione italiana. Ma nemmeno sanno leggere i giornali economici.

Cosa produce oggi la Spagna? Perchè si è buttata sulla facile droga del cemento? E cosa il Portogallo? E la Grecia?

Perchè la Gran Bretagna la partita dell’industria ha deciso, di fatto, di abbandonarla definitivamente?

E le grandi aziende tedesche sono delle benefattrici per l’Europa? Sotto l’urto del grande aggiustamento le industrie più deboli del continente si sono trovate nella morsa tra aggressivi concorrenti asiatici e maggiori competitor europei (in primis tedeschi). Risultato: sia i primi che i secondi hanno conquistato quote di mercato. In modo perfettamente legittimo, per carità. Ma così si spiega il “paradosso” di un’Europa industriale in difficoltà salvo la Germania, che dal 2002 ad oggi è in forte e positiva controtendenza. Però questa appare una stagione ormai in esaurimento. Quanto risentono le grandi imprese tedesche della recessione-depressione continentale? Quanto e come stanno resistendo ai cinesi? Quanto delocalizzano (se fuori dalla Germania)? Quanto proteggono, a volte disperatamente, la propria proprietà intellettuale?

E poi, in questa situazione di prosperità in un’Europa in crisi che cosa pensa la classe dirigente tedesca? Che Darwin debba ispirare l’economia? Che solo i migliori, i più adattati, abbiano diritto di sopravvivere nel mondo globale?  Tutto questo non ricorda la vecchia eugenetica di un tempo che si sperava passato?

Mannaggia, fratelli tedeschi, fermate questo ridicolo riflesso condizionato, questa rete neurale maledetta! Per fortuna il mantra di alcuni giornali (ci vogliono portar via i nostri soldi) sta lasciando il campo a ragionamenti sensati sul corretto ruolo della Bce in un ambiente con regole comuni, più o meno quelle delineate dai 17 economisti.

Chi ha cercato di contrastare questo disastro partito dodici anni fa? Quattro eurocrati?

Gli stessi che hanno chinato il capo quando la Cina è stata fatta entrare dai capitalisti americani nel Wto, pur essendo un paese antidemocratico, privo di rappresentanze sindacali e pronto a dare licenza piena al suo capitalismo interno senza scrupoli?

Ho assistito, come giornalista, alle scorribande cinesi in fatto di appropriazione indebita di brevetti e know-how. Senza alcun modo di poter far valere il proprio buon diritto in un ambiente giudiziario cinese che definire ostacolante è solo un eufemismo.

Chi semina vento raccoglie tempesta. Obama oggi cerca di rabberciare impotente i disastri del passato, dall’era Clinton in poi. In un’America deindustrializzata come la Spagna. E la crisi dell’Euro è solo la conseguenza di quelle scelte scellerate. Quando ammazzi o stradichi un’impresa è come tagliare una foresta. Minimo dieci anni per ricostituirla. Se ti va bene.

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Riepilogando:

a) 11 dicembre 2001: scelta di far entrare questa Cina (senza sindacati, senza regole, che tuttora occupa il Tibet)  nel Wto

b) esplosione della bolla internet e delle telecomunicazioni. Le imprese statunitensi cominciano un processo di delocalizzazione e chiusura di aziende locali in Occidente. Il processo si intensifica e coinvolge un numero crescente di grandi aziende europee.

c) la competitività cinese e asiatica si incrementa e tocca nuovi settori. In parallelo si forma una vasta base di disoccupazione e di povertà. Che negli Usa viene mitigata dalla proprietà immobiliare e il connesso indebitamento.

d) Risposta finanziaria acrobatica di Wall Street (mutui subprime di massa e bolla immobiliare Usa) a questo “mercato” di monetizzazione diffusa delle case.

e) indebitamento di massa delle famiglie povere in Europa (Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Irlanda) da parte delle banche inglesi. Banche tedesche, francesi e Usa vanno a ruota.

f) formazione di una vasta bolla immobiliare e mutualistica speculativa in Spagna finanziata dalle locali Caixe politicizzate e da altre banche spagnole.

g) settembre 2008: esplosione della bolla sia negli Usa che in Europa. Il governo tedesco salva le sue banche subito.

h) i debiti privati diventano pubblici, sia in Usa (ad opera del governo e della Fed) che in Spagna, Portogallo e Irlanda

i) il paese più esposto, la Grecia, diventa progressivamente l’epicentro della crisi dell’Euro….

E così via, fino ad oggi.

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Questa cronologia, semplice e persino semplicistica, serve solo ad affermare questo punto.

Tutto è nato dalla scelta di far entrare senza condizioni un colosso industriale  senza regole nel nostro spazio di lavoro e di vita. Questo colosso è ancora senza regole, e tuttora sottrae impunemente  lavoro a noi. Non solo: è divenuto talmente ricco da condizionare i nostri governanti. I quali, più si indebitano con lui (vedi buoni del tesoro Usa detenuti dalla banca centrale di Pechino) più sono accomodanti.

Questa incontrollata  globalizzazione ha quindi portato a desertificare e deindustrializzare mezza Europa. E poi finanziarizzarla, indebitarla, cementificarla senza ritegno.

Fino al quasi crack finanziario di oggi.

E quindi. Cari  17 economisti, non pensate che questo piccolo problema reale, e non solo finanziario, vada affrontato, nel carnet delle vostre raccomandazioni?

Pensate che altri 5 anni così possano essere sostenuti in Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e Italia nelle attuali condizioni? Oppure manca qualcosa alla vostra pur rimarchevole, architettura di proposte istituzionali e di politica economica?

E, cara commissione di Bruxelles, cari governi, care lobbies e massonerie varie al potere……

Non pensate che vada trovato il modo, e non a chiacchiere, di  riportare il lavoro e l’industria in Europa?

Solo Euro-project bond per finanziare tante opere pubbliche di grandi imprese a voi vicine?

Questo dà entusiasmo, senso di futuro alla generazione europea?

Puntare sulle opere pubbliche mi ricorda un po’ la stessa scelta disperata degli spagnoli che hanno scelto mattone e cemento. Facciamo sì, tante belle Tav, su cui poi i treni scarseggiano per mancanza di traffico. O aeroporti nei posti più strani?

Non è meglio invece investire nel capitale umano che abbiamo? E che stiamo distruggendo? Non è meglio capitalizzare sul maggiore successo dell’Ue, l’Erasmus e le reti di ricerca?

I nove punti rozzamente elencati sopra ci raccontano, piaccia o meno, la storia di un “grande aggiustamento”: quello che stiamo subendo noi, e altri, da dodici anni a questa parte per far posto alla Cina e all’Asia.

Se quindi aggiustamento ha da essere, se è nella storia del genere umano, escludendo conflitti mondiali, non è meglio puntare sui soggetti primi di questo aggiustamento: i giovani e i loro progetti? Non è meglio nutrire e rafforzare la generazione europea con una vasta, ma semplice e efficace, rete incubatrice?

Non è questa la priorità uno, anche per i prossimi 5 anni?

Non è questa la vera nuova infrastruttura e opera pubblica da costruire per mettere a massimo valore la gioventù in un continente altrimenti troppo vecchio e stanco?

Non è qui che andrebbe emesso un prestito, un eurobond profondamente etico?

Non sarebbe utile mettere la nuova impresa al centro, in Europa, delle politiche fiscali di incentivo?

Non sarebbe utile aiutare nuove imprese pan-europee, con giovani provenienti da vari paesi. E extra-comunitari?

Non sarebbe utile incentivare le aziende esistenti ad aiutare le nuove fatte dai giovani, invece di usarli come precari?

Non sarebbe utile incentivare tanti manager e tecnici in pensione ad aiutare queste nuove iniziative?

Non sono un fautore del protezionismo ma qualcosa va fatto, e di concreto. Sta a voi governanti dirci cosa. Non si vive di sola finanza, anche rigorosa e corretta. Generalmente (salvo pochi privilegiati) si campa lavorando, anche nei paesi pieni di debiti. E allora inventiamocelo questo lavoro.

E’ dal 2008 che vedete morire le nostre aziende, sotto il maglio del “grande aggiustamento” (come lo chiamate voi) e ancora attendiamo una vostra proposta sensata al riguardo. Ora che “l’aggiustamento” sta degenerando in depressione cominciamo, francamente, a perdere la pazienza.

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Cambiamo, e presto, prima che sparisca tutto.

E’ possibile costruire a Bruxelles, al posto dell’inutile attuale,  un vero centro di governo, non servile sui poteri forti, dell’industria e della geografia del lavoro dell’eurozona?

E’ giusto che in Cina si sfruttino i bambini per vincere la competitività con i paesi europei deboli? Si può mettere qualche minima regola etica nel commercio?

E’ giusto che un’intera generazione di giovani spagnoli, portoghesi e greci debba vivere in una cupa depressione? Possono almeno avere un prestito per provarci?

E così via: una grande Grameen Bank europea, a rete, efficace. Diffusa come Twitter, quotidiana, sostenibile.

La banca umana dopo le banche-squalo.

Questa banca-rete, etica e questo sistema di incubazione  credo darebbe entusiamo, senso di futuro alla generazione europea.

Potrebbe essere una luce fuori da questo maledetto tunnel.

Unico biglietto per il viaggio: un buon business plan.

Questo è il vero compito che ci aspetta, dopo aver messo una pezza ai debiti, una disciplina ai conti e un paio di museruole a un mercato di matti.

E nel posto più povero del pianeta Grameen Bank ha mostrato che il (micro) credito è solo un atto di fiducia tra esseri umani. Anche poveri, brutti, sporchi e cattivi.

Umanizzare l’economia globale non è socialismo o comunismo. E’ prendere atto di quanti danni, dal 2001 ad oggi, ha prodotto per tutti questo cinismo globale, questo demone darwiniano.

Spero vivamente che la riforma dell’Eurozona implichi i primi passi per un network globale di banche centrali con sufficiente potere per procedere concretamente su questa strada. Del riequilibrio dell’economia verso una dimensione un po’ più umana.

In tal caso il messaggio nascosto da parte dei 17 economisti potrebbe avere risposta. Nel documento da più parti si lamenta (ovviamente) della sfiducia sociale per l’economia. Le persone, le famiglie, i giovani europei sono stufi di questa economia demenziale. E così le famiglie americane e, penso, anche tanti uomini e donne dell’Asia. Licenziati, precarizzati, sotto-occupati, taglieggiati, raggirati, indebitati, venduti e comprati. Soggetti a padroni feudali, o ad anonime e indifferenti multinazionali. Con la vita cambiata da un click su un mouse a decine di migliaia di chilometri.

Se la ristrutturazione dell’Eurozona fosse l’occasione per reinnestare, su basi nuove, l’umanizzazione dell’economia sarebbe quindi solo una semplice discontinuità, una sorta di malattia infantile, del “sogno europeo”, costruito in oltre un secolo.

E allora sì che nascerebbe di nuovo entusiasmo e voglia di impegnarsi. E non solo in Europa.

“Hai visto cosa fanno gli europei per uscire dalla crisi? Finanziano in massa i loro ragazzi.”

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The dark side of Euro

Se qualcuno volesse capire, con un minimo di sistematicità, la crisi finanziaria che ci ha colpiti e ci colpirà consiglio la lettura di questo documento.

Non è facilissimo perchè stilato, a tamburo battente da un folto gruppo di economisti europei, piuttosto qualificati.

Un gruppo di crisi. E dal documento traspare la drammaticità percepita della situazione, da catastrofe imminente, e foriera di altre, e ben maggiori catastrofi. In pratica la fine dell’Europa, il ritorno all’homo homini lupus che ha insangunato per due millenni questo continente.

Che fare? Bè, i 17 economisti (molti di loro relativamente giovani) hanno il pregio di dirlo chiaramente. L’Euro è stato progettato, fin dall’inizio, in modo sbilenco, approssimativo, mediatorio, permissivo.

Una moneta continentale, l’Euro, ma senza le istituzioni sviluppate nel corso di due secoli dal dollaro, senza gli Stati Uniti d’Europa. Una sorta di esperimento, di cuore buttato oltre l’ostacolo, da un club di banchieri centrali e di uomini di governo, nati e cresciuti però nella vecchia Europa tranquilla del dopoguerra.

Un sistema sbilenco: senza una vera e propria banca centrale come soggetto monetario di ultima istanza. Approssimativo: senza una disciplina bancaria unica e comune, e un’autorità altrettanto unica di controllo. Mediatorio: si è costruito un trattato con vincoli e obbiettivi ma poi nessuno nei fatti li ha rispettati, compresi i deficit eccessivi di Germania e Francia (inutile citare il vincolo al 60% di debito pubblico/pil in cui l’Italia si è sempre distinta per indifferenza). Permissivo: nessuna vigilanza reale. E così le casse di risparmio e le banche spagnole, ma anche portoghesi e irlandesi, si sono poture lanciare a piedi uniti nella grande sbornia del credito facile del 2001-2007, complici banche inglesi, americane, tedesche, francesi. Così le banche d’affari hanno aiutato il governo greco a indebitarsi oltre ogni limite, e mettere fuori bilancio il deficit. C’è voluta l’Eurostat, un organismo statistico, per rilevare le anomalie nei conti pubblici di Atene.

Di qui anche la pioggia d’oro (di carta) sull’immobiliare gonfiato spagnolo, i debiti personali a basso costo (apparente) per famiglie e single in Irlanda, Portogallo, Spagna. La bolla del danaro facile, negli Usa risolta stampando dollari (il dollaro è una moneta imperiale, di riserva ed entro certi limiti la Fed può farlo) nel contesto Euro è divenuta una bomba a tempo, lunga bomba a tempo.

Ora dobbiamo mettere insieme i cocci, e insieme riprogettare le istituzioni necessarie. Breve periodo (tamponamento dell’emergenza) e medio periodo (nuovo set istituzionale minimo e necessario), affermano i 17 economisti.

Istituzioni necessarie:

a) banca centrale a pieni poteri, compresa la vigilanza sugli istituti dell’eurozona. Prestatrice di ultima istanza, sia direttamente o attraverso l’Esm dotato di opportuna licenza bancaria, in modo da approvvigionarsi di liquidità (a fronte di titoli come collaterali) dall’Ecb.

b) unione bancaria, sistema di assicurazione dui depositi continentale

c) nuove regole per la finanza,

d) unione fiscale e controlli fiscali, per rendere credibile il fiscal compact

e) un regime di default controllato per i paesi euro in divergenza strutturale con il fiscal compact.Via, per esempio, ristrutturazioni del debito su scadenze più lunghe. Comunque in grado di consentire a questi paesi di ripartire su un percorso più solido.

f) un sistema di asset e di titoli sovrannazionali e privi di rischio. Gli economisti non vogliono chiamarli eurobond ma la sostanza è più o meno la stessa. Titoli utili come riserve bancarie. Al posto dei troppo sopravvalutati Bund tedeschi.

g) passi avanti continui verso l’Unione politica

Breve termine (5 anni):

L’ossessione dei 17 economisti (ma non solo loro) sta  in due parole: mutualizzazione dei debiti nell’eurozona. La bestia nera per la Germania.

Non senza ragioni. Un’Europa di trasferimenti, in cui il Nord paga il Sud indefinitamente (come avviene in Italia) non è pensabile nè augurabile. Va trovato un assetto diverso e sostenibile (che gli economisti ritengono contenuto nei sette punti sopra).

Il documento cerca in tutti i modi di stemperare, ridurre, ridimensionare temporalmente questo scoglio. Ma oggi, hic rodhus, hic salta.

1. Il passaggio è però inevitabile, almeno a breve: la mutualizzazione può essere parziale e temporanea. Deve nascere dalla consapevolezza che gli errori di progettazione dell’Euro sono comuni a tutti. E non ci sono primi della classe. La mutualizzazione può prendere la forma di garanzie sul debito per i paesi in linea con il fiscal compact. E l’uso dell’Esm dotato di licenza bancaria per controllare spread e tassi di interesse sui debiti di paesi critici.

2. Non solo. Va attivata la possibilità di ristrutturazione del debito per i paesi in crisi (scadenze più lunghe)

3. Riforme fiscali: allungamento dell’età pensionabile, riduzione della spesa e del settore pubblico, riduzione del carico fiscale sul lavoro e suo trasferimento alle imposte indirette.

4. Ecb con poteri straordinari limitati nel tempo. Per intervenire significaticamente sui mercati e titoli critici.

5. Politiche macroeconomiche di emergenza. Il rischio deflazione-depressione è dietro l’angolo. Renderà tutto ancora più difficile e costoso (soprattutto in termini umani). La Bce deve usare tutti i suoi strumenti (convenzionali e non convenzionali) per evitarlo. E l’Unione deve agire perchè i paesi in surplus “trainino” quelli in deficit fuori dalle secche. E i secondi facciano le riforme necessarie per aumentare la propria competitività. Le istituzioni europee, infine, devono riformulare i propri programmi per stimolare la crescita su base continentale.

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Come si vede è un esercizio onesto e competente. Non vi sono idee sorprendenti o rivoluzionare. Ma proprio questo fa fede di chi, con sincerità e  per la prima volta ci spiega questo errore storico di una classe dirigente europea. E indica una serie di misure e di tappe del tutto credibili.

Siamo ancora in tempo.

 

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Perchè l’Italia la capiscono solo all’estero?

Daniel Gros, uno dei più seri economisti in giro, e buon conoscitore dell’Italia, condivide le mie stesse idee. Oddio, non bisogna essere Leonardo da Vinci per capire che la specificità italiana sta nella sua vasta capacità di risparmio e patrimonializzazione (per dirne una, l’Italia è stata a lungo la prima al mondo per quota di case di proprietà da parte delle famiglie). Gros si spinge a indicare politiche attive, incentivanti, perchè i risparmiatori italiani acquistino i titoli del debito pubblico vendendo attività mobiliari estere. Non mi pare difficile, con rendimenti del 6-7% esentasse. E accenna a una redistribuzione del reddito da contribuenti verso risparmiatori. Se in Italia tutti, anche la feccia, pagassero le tasse sarebbe una redistribuzione persino virtuosa. Comunque a Fitoussi ora si aggiunge Gros. Come mai gli economisti esteri capiscono il punto cruciale e invece gli italiani sembrano tutti dei paperi seduti, sempre a ripetere le stesse geremiadi?

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44 punti, il cazzotto di Draghi

Non poteva essere altrimenti. Due ondate speculative rintuzzate (si veda sotto) e oggi una dichiarazione di Mario Draghi, governatore della Bce, molto esplicita.  «Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza».

In chiaro: senza clamori nei giorni scorsi vi abbiamo ributtato indietro. Non avevamo ancora il consenso interno necessario a annunciare difese senza limiti. Ma ora è passata la linea secondo cui la crisi grave dei debiti pubblici europei è un problema sistemico, che mette a rischio la stessa stabilità monetaria dell’Europa. Quindi siamo pienamente nel nostro mandato. E dentro questo possiamo agire in modo illimitato.

Perdonate la traduzione un po’ contorta del messaggio. Ma si dimostra qui che Buffett e Moody’s hanno fatto un grave errore mettendo nel mazzo della crisi dell’Euro la Germania e il club nordico. Metterli a outlook negativo, evidentemente, ha avuto qualche conseguenza su Francoforte.

Per noi e la Spagna questo passo falso degli squali è stato un enorme favore. Ora lo spread alle stelle di Bonos e Btp è un problema di stabilità monetaria dell’intera Europa. E non più lo stigma di paesi porcelli o spendaccioni.

Oggi i 44 punti di spread guadagnati dalla follia rappresentano la singola maggior riduzione di tassi di interesse in un solo giorno. Mi complimento con Mario Draghi. Due cazzotti sotto la cintura e uno grosso, a viso aperto.

Moody’s ora mi fai il rating di rischio dei fondi di Buffett?

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20 punti oggi

Anche oggi, il mercato parte sulla bordata di vendite, sul tentativo di creare una reazione a catena irreversibile (panico), e così lo spread sale subito a 540. Poi però cala, durante gli scambi, a 510 e si fissa a 518. Siamo a venti punti di riduzione sulle fameliche desiderata iniziali degli speculatori.

Chi sta reagendo? Non lo so.

Qualcuno fa quello che può, sembra di capire, per tenere i Btp italiani al 6% (e spagnoli al 7%). Sotto la soglia di panico irreversibile che sfascerebbe l’Euro e l’Europa. Poi qualcuno comincia anche a parlare di strumenti di difesa comunitari a liquidità illimitata. Un qualcuno della Bce.

Un funzionario austriaco, nota bene. L’entrata in scena, in lingua tedesca in una crisi che ormai tocca tutto l’edificio dell’Euro e dell’Europa, virtuosa e Pigs.

Come vorrebbe Moody’s (che ieri a picchiato sull’outlook di Germania, Austria, Olanda e Finlandia)  e Wall Street al seguito. Forte di tutta l’enorme liquidità finta che la Fed le ha pompato dentro, dopo il 2008. E che, con la fine dell’euro, cerca di fare la fortuna speculativa degli squali di oltreoceano.

Oggi Wall Street comincia a dare segnali di voler colpire anche l’area germanocentrica d’Europa. Di qui i segnali di reazione in corso. Di lingua tedesca, se non viennese.

Spero vivamente si consolidino.

Intanto però, se fossi in Monti (e mi meraviglia che non lo faccia) di fronte all’impatto piscologico di queste giornate (e di questi 12 mesi) comincerei a spingere sui risparmiatori patrimonializzati italiani per l’acquisto di titoli di debito pubblico.

Anche autorevoli economisti, come David Gros, lo consigliano. Cominciamo la manovra protettiva, il piano b necessario nel caso di una esplosione dell’Europa.

Possiamo sempre graduarlo. E il debito correttamente detenuto all’interno (e non solo dalle banche) è comunque una garanzia.

Nè sarebbe un messaggio contro la Germania o la Finlandia. Ma per l’Italia.

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