Il documento dei 17 economisti dell’Inet è significativo. In sostanza dice: per fermare e invertire l’incipiente disintegrazione dell’area Euro va trovato un punto di equilibrio possibile, e condivisibile.
Questo punto sta lungo un asse: la disciplina fiscale definita, e non solo per volontà del club nordico europeo, nel fiscal compact. Con la forza di trattato europeo.
Ma questo asse non basta. E la sua interpretazione in termini di rigore ad ogni costo oggi è estremamente pericolosa. Potrebbe gettarci in un circolo vizioso di continui e dolorosi aggiustamenti e di continui effetti depressivi.
Intorno all’asse fiscale, dice la proposta, vanno costruiti nuovi controlli e nuovi spazi e strumenti di ammortizzazione della crisi. In primis una banca centrale dell’Euro in grado di agire efficacemente sui mercati (in caso anche a liquidità infinita), poi regole speciali per il fiscal compact in caso di gravi recessioni nei paesi aderenti e necessità di politiche fiscali di stimolo; infine una procedura fallimentare concordata degli stati in crisi che non metta a rischio l’intero sistema Euro.
Ma la gestione dell’entropia interna del sistema Euro non può limitarsi a questo. Questa deve estendersi anche all’Unione bancaria e alla vigilanza centralizzata sugli istituti (e sui mercati).*
Bene, fin qui per sommi capi il dispositivo proposto dagli economisti. Tutto giusto, ma a mio avviso manca qualcosa, anche a breve termine.
Mi chiedo: perchè Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda sono state saccheggiate (complici le loro banche) e poi martoriate? Tutti cattivi o criminali? Bè, qualsiasi manager industriale lo sa: perchè la loro industria è morta ammazzata, il loro lavoro vivo è stato ucciso dal dio mercato. Le aziende multinazionali da loro sono scappate, per la Cina e l’Asia. Ho spesso visitato parchi industriali irlandesi, un tempo fiorenti di aziende multinazionali elettroniche. Oggi mezzi vuoti.
L’Italia ha faticosamente retto dal 2000 ad oggi. Ma si è persa per strada circa un quarto delle sue imprese. Sono dodici anni filati che l’Italia non cresce. E ci credo!. I cinesi ci hanno fatto le scarpe, il tessile, pezzi di meccanica. E altrettanto è avvenuto un po’ ovunque nel Sud Europa.
Si riempiono la bocca di stagnazione italiana. Ma nemmeno sanno leggere i giornali economici.
Cosa produce oggi la Spagna? Perchè si è buttata sulla facile droga del cemento? E cosa il Portogallo? E la Grecia?
Perchè la Gran Bretagna la partita dell’industria ha deciso, di fatto, di abbandonarla definitivamente?
E le grandi aziende tedesche sono delle benefattrici per l’Europa? Sotto l’urto del grande aggiustamento le industrie più deboli del continente si sono trovate nella morsa tra aggressivi concorrenti asiatici e maggiori competitor europei (in primis tedeschi). Risultato: sia i primi che i secondi hanno conquistato quote di mercato. In modo perfettamente legittimo, per carità. Ma così si spiega il “paradosso” di un’Europa industriale in difficoltà salvo la Germania, che dal 2002 ad oggi è in forte e positiva controtendenza. Però questa appare una stagione ormai in esaurimento. Quanto risentono le grandi imprese tedesche della recessione-depressione continentale? Quanto e come stanno resistendo ai cinesi? Quanto delocalizzano (se fuori dalla Germania)? Quanto proteggono, a volte disperatamente, la propria proprietà intellettuale?
E poi, in questa situazione di prosperità in un’Europa in crisi che cosa pensa la classe dirigente tedesca? Che Darwin debba ispirare l’economia? Che solo i migliori, i più adattati, abbiano diritto di sopravvivere nel mondo globale? Tutto questo non ricorda la vecchia eugenetica di un tempo che si sperava passato?
Mannaggia, fratelli tedeschi, fermate questo ridicolo riflesso condizionato, questa rete neurale maledetta! Per fortuna il mantra di alcuni giornali (ci vogliono portar via i nostri soldi) sta lasciando il campo a ragionamenti sensati sul corretto ruolo della Bce in un ambiente con regole comuni, più o meno quelle delineate dai 17 economisti.
Chi ha cercato di contrastare questo disastro partito dodici anni fa? Quattro eurocrati?
Gli stessi che hanno chinato il capo quando la Cina è stata fatta entrare dai capitalisti americani nel Wto, pur essendo un paese antidemocratico, privo di rappresentanze sindacali e pronto a dare licenza piena al suo capitalismo interno senza scrupoli?
Ho assistito, come giornalista, alle scorribande cinesi in fatto di appropriazione indebita di brevetti e know-how. Senza alcun modo di poter far valere il proprio buon diritto in un ambiente giudiziario cinese che definire ostacolante è solo un eufemismo.
Chi semina vento raccoglie tempesta. Obama oggi cerca di rabberciare impotente i disastri del passato, dall’era Clinton in poi. In un’America deindustrializzata come la Spagna. E la crisi dell’Euro è solo la conseguenza di quelle scelte scellerate. Quando ammazzi o stradichi un’impresa è come tagliare una foresta. Minimo dieci anni per ricostituirla. Se ti va bene.
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Riepilogando:
a) 11 dicembre 2001: scelta di far entrare questa Cina (senza sindacati, senza regole, che tuttora occupa il Tibet) nel Wto
b) esplosione della bolla internet e delle telecomunicazioni. Le imprese statunitensi cominciano un processo di delocalizzazione e chiusura di aziende locali in Occidente. Il processo si intensifica e coinvolge un numero crescente di grandi aziende europee.
c) la competitività cinese e asiatica si incrementa e tocca nuovi settori. In parallelo si forma una vasta base di disoccupazione e di povertà. Che negli Usa viene mitigata dalla proprietà immobiliare e il connesso indebitamento.
d) Risposta finanziaria acrobatica di Wall Street (mutui subprime di massa e bolla immobiliare Usa) a questo “mercato” di monetizzazione diffusa delle case.
e) indebitamento di massa delle famiglie povere in Europa (Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Irlanda) da parte delle banche inglesi. Banche tedesche, francesi e Usa vanno a ruota.
f) formazione di una vasta bolla immobiliare e mutualistica speculativa in Spagna finanziata dalle locali Caixe politicizzate e da altre banche spagnole.
g) settembre 2008: esplosione della bolla sia negli Usa che in Europa. Il governo tedesco salva le sue banche subito.
h) i debiti privati diventano pubblici, sia in Usa (ad opera del governo e della Fed) che in Spagna, Portogallo e Irlanda
i) il paese più esposto, la Grecia, diventa progressivamente l’epicentro della crisi dell’Euro….
E così via, fino ad oggi.
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Questa cronologia, semplice e persino semplicistica, serve solo ad affermare questo punto.
Tutto è nato dalla scelta di far entrare senza condizioni un colosso industriale senza regole nel nostro spazio di lavoro e di vita. Questo colosso è ancora senza regole, e tuttora sottrae impunemente lavoro a noi. Non solo: è divenuto talmente ricco da condizionare i nostri governanti. I quali, più si indebitano con lui (vedi buoni del tesoro Usa detenuti dalla banca centrale di Pechino) più sono accomodanti.
Questa incontrollata globalizzazione ha quindi portato a desertificare e deindustrializzare mezza Europa. E poi finanziarizzarla, indebitarla, cementificarla senza ritegno.
Fino al quasi crack finanziario di oggi.
E quindi. Cari 17 economisti, non pensate che questo piccolo problema reale, e non solo finanziario, vada affrontato, nel carnet delle vostre raccomandazioni?
Pensate che altri 5 anni così possano essere sostenuti in Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e Italia nelle attuali condizioni? Oppure manca qualcosa alla vostra pur rimarchevole, architettura di proposte istituzionali e di politica economica?
E, cara commissione di Bruxelles, cari governi, care lobbies e massonerie varie al potere……
Non pensate che vada trovato il modo, e non a chiacchiere, di riportare il lavoro e l’industria in Europa?
Solo Euro-project bond per finanziare tante opere pubbliche di grandi imprese a voi vicine?
Questo dà entusiasmo, senso di futuro alla generazione europea?
Puntare sulle opere pubbliche mi ricorda un po’ la stessa scelta disperata degli spagnoli che hanno scelto mattone e cemento. Facciamo sì, tante belle Tav, su cui poi i treni scarseggiano per mancanza di traffico. O aeroporti nei posti più strani?
Non è meglio invece investire nel capitale umano che abbiamo? E che stiamo distruggendo? Non è meglio capitalizzare sul maggiore successo dell’Ue, l’Erasmus e le reti di ricerca?
I nove punti rozzamente elencati sopra ci raccontano, piaccia o meno, la storia di un “grande aggiustamento”: quello che stiamo subendo noi, e altri, da dodici anni a questa parte per far posto alla Cina e all’Asia.
Se quindi aggiustamento ha da essere, se è nella storia del genere umano, escludendo conflitti mondiali, non è meglio puntare sui soggetti primi di questo aggiustamento: i giovani e i loro progetti? Non è meglio nutrire e rafforzare la generazione europea con una vasta, ma semplice e efficace, rete incubatrice?
Non è questa la priorità uno, anche per i prossimi 5 anni?
Non è questa la vera nuova infrastruttura e opera pubblica da costruire per mettere a massimo valore la gioventù in un continente altrimenti troppo vecchio e stanco?
Non è qui che andrebbe emesso un prestito, un eurobond profondamente etico?
Non sarebbe utile mettere la nuova impresa al centro, in Europa, delle politiche fiscali di incentivo?
Non sarebbe utile aiutare nuove imprese pan-europee, con giovani provenienti da vari paesi. E extra-comunitari?
Non sarebbe utile incentivare le aziende esistenti ad aiutare le nuove fatte dai giovani, invece di usarli come precari?
Non sarebbe utile incentivare tanti manager e tecnici in pensione ad aiutare queste nuove iniziative?
Non sono un fautore del protezionismo ma qualcosa va fatto, e di concreto. Sta a voi governanti dirci cosa. Non si vive di sola finanza, anche rigorosa e corretta. Generalmente (salvo pochi privilegiati) si campa lavorando, anche nei paesi pieni di debiti. E allora inventiamocelo questo lavoro.
E’ dal 2008 che vedete morire le nostre aziende, sotto il maglio del “grande aggiustamento” (come lo chiamate voi) e ancora attendiamo una vostra proposta sensata al riguardo. Ora che “l’aggiustamento” sta degenerando in depressione cominciamo, francamente, a perdere la pazienza.
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Cambiamo, e presto, prima che sparisca tutto.
E’ possibile costruire a Bruxelles, al posto dell’inutile attuale, un vero centro di governo, non servile sui poteri forti, dell’industria e della geografia del lavoro dell’eurozona?
E’ giusto che in Cina si sfruttino i bambini per vincere la competitività con i paesi europei deboli? Si può mettere qualche minima regola etica nel commercio?
E’ giusto che un’intera generazione di giovani spagnoli, portoghesi e greci debba vivere in una cupa depressione? Possono almeno avere un prestito per provarci?
E così via: una grande Grameen Bank europea, a rete, efficace. Diffusa come Twitter, quotidiana, sostenibile.
La banca umana dopo le banche-squalo.
Questa banca-rete, etica e questo sistema di incubazione credo darebbe entusiamo, senso di futuro alla generazione europea.
Potrebbe essere una luce fuori da questo maledetto tunnel.
Unico biglietto per il viaggio: un buon business plan.
Questo è il vero compito che ci aspetta, dopo aver messo una pezza ai debiti, una disciplina ai conti e un paio di museruole a un mercato di matti.
E nel posto più povero del pianeta Grameen Bank ha mostrato che il (micro) credito è solo un atto di fiducia tra esseri umani. Anche poveri, brutti, sporchi e cattivi.
Umanizzare l’economia globale non è socialismo o comunismo. E’ prendere atto di quanti danni, dal 2001 ad oggi, ha prodotto per tutti questo cinismo globale, questo demone darwiniano.
Spero vivamente che la riforma dell’Eurozona implichi i primi passi per un network globale di banche centrali con sufficiente potere per procedere concretamente su questa strada. Del riequilibrio dell’economia verso una dimensione un po’ più umana.
In tal caso il messaggio nascosto da parte dei 17 economisti potrebbe avere risposta. Nel documento da più parti si lamenta (ovviamente) della sfiducia sociale per l’economia. Le persone, le famiglie, i giovani europei sono stufi di questa economia demenziale. E così le famiglie americane e, penso, anche tanti uomini e donne dell’Asia. Licenziati, precarizzati, sotto-occupati, taglieggiati, raggirati, indebitati, venduti e comprati. Soggetti a padroni feudali, o ad anonime e indifferenti multinazionali. Con la vita cambiata da un click su un mouse a decine di migliaia di chilometri.
Se la ristrutturazione dell’Eurozona fosse l’occasione per reinnestare, su basi nuove, l’umanizzazione dell’economia sarebbe quindi solo una semplice discontinuità, una sorta di malattia infantile, del “sogno europeo”, costruito in oltre un secolo.
E allora sì che nascerebbe di nuovo entusiasmo e voglia di impegnarsi. E non solo in Europa.
“Hai visto cosa fanno gli europei per uscire dalla crisi? Finanziano in massa i loro ragazzi.”