Un Governo comunque

Da oggi, con le posizioni prese da Beppe Grillo al meeting romano dei parlamentari 5 stelle, la prospettiva di una fiducia (o di una non sfiducia, con uscite dall’aula) a un costituendo governo Bersani mi paiono oggettivamente cadute. E sarei quantomai sorpreso di singole defezioni al Senato in un movimento al massimo del suo entusiasmo, oltre che costruitosi su idee di legalità e trasparenza.

In pratica “l’offerta Bersani” mi pare rifiutata. Impraticabile. Ma il ricorso immediato alle urne altrettanto osteggiato da Napolitano, e a norma di Costituzione che ormai gli ha tolto il potere di sciogliere le Camere (semestre bianco). Bisognerà quantomai prima eleggere il nuovo Capo dello Stato.

Ci vorranno alcuni mesi. Il periodo elettorale (nuovo Presidente, scioglimento del Parlamento, elezioni) non si aprirà prima di giugno-luglio. Se non settembre-ottobre.

Mettiamo settembre: rivoteremo dopo altri sei mesi d’inferno per l’Italia. Altri sei mesi di licenziamenti, aziende che chiudono, famiglie sul lastrico, giovani disperati.

E questo nel caso migliore, al netto dell’arrivo di un’altra bufera finanziaria. La cui probabilità aumenta esponenzialmente in caso di “non governo”. Vedi minacciati declassamenti del debito pubblico italiano.

A questo punto questo supplemento di massacro, nella crisi economica italiana più profonda dal dopoguerra, con il 30% delle famiglie in condizioni di povertà e 3 milioni di disoccupati, a chi potrebbe giovare?

Secondo me a nessuno. Nemmeno al Cinque Stelle.

Perchè le dichiarazioni di Grillo e Casaleggio dei giorni scorsi e di oggi (non daremo la fiducia a nessuno) verranno comunque memorizzate come un “no al Pd” dal corpo elettorale. E i sei mesi di “non governo” verranno messi in conto da molti (soprattutto le prossime vittime della crisi) anche a loro.

Non credo infatti che facendo saltare la legislatura Grillo e Casaleggio otterranno alle elezioni anticipate il 51% dei voti.

Milioni di italiani li hanno votati perchè l’M5s faccia qualcosa subito per loro, non dopo sei mesi di altra follia.

Potrebbero ritrovarsi, da qui a sei mesi, con l’etichetta in fronte della delusione. E magari di qualcosa di peggio, tipo Alba Dorata.

A questo punto, quindi, un Governo, autorevole e il più possibile stabile, è essenziale.

Il Pd, prima per bocca di Bersani e poi di D’Alema ha però seccamente escluso l’opzione “governissimo”, con una maggioranza Pd-Pdl-Monti.

Tra i veti incrociati non resta che un Governo di scopo. Di almeno un anno di durata. E focalizzato, non solo su una legge elettorale decente (il mattarellum) ma soprattutto sulla ricostruzione di una rete sociale di welfare, e incentivi alla ripresa del lavoro, quali sgravi fiscali sulle imprese che investono. Il tutto finanziato da una patrimoniale sui grandi patrimoni (da 5 milioni in su) e soprattutto dalla lotta all’evasione fiscale (abolizione del contante) e la riduzione della spesa pubblica (tagli ai costi della politica in prima fila).

Su questi provvedimenti credo che l’M5s potrebbe votare a favore a un governo guidato da una personalità non partitica, se non altro per restare in sintonia con il suo elettorato. E intanto maturare politicamente.

Poi, a novembre, potrebbe presentarsi finalmente la schiarita: la vittoria socialdemocratica anche in Germania e forse il mutamento di rotta strutturale della Bce, da banca centrale europea a raggio d’azione limitato, a vera autorità di politica monetaria per il continente.

Ma di questo si parla poco perchè è ancora un agurio.

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Alcuni motivi per non deprimersi

 

1) Il nuovo parlamento vede l’ingresso, e non marginale (163 rappresentanti) , di una nuova generazione di italiani, sotto i 40 anni, in massima parte nativi digitali interconessi tra loro e con le loro comunità.

2) Bersani ha scelto un formula di governo inedita. Basata su maggioranze caso per caso su provvedimenti concordati con il Movimento 5 Stelle. Questo significa che il Governo dovrà governare non a decreti ma con il Parlamento. E il parlamento in gran parte diverrà il punto di sintesi di comunità telematiche deliberative.

3) Leggi e provvedimenti a lungo rinviati, per azioni di lobby o quant’altro, come il conflitto di interessi, la riduzione di costi della politica, il welfare per i senza lavoro, le politiche energetiche alternative diverranno cruciali.

4) Se questo tipo di governo mostrerà caratteri di stabilità, è possibile pensare a una retroazione innovativa anche sul Pd e sulla coalizione di centrosinistra.

Come vedete non tutto il male potrebbe venire per nuocere.

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Spinta centrifuga?

Leggo i risultati elettorali non tanto come destra o sinistra, emergenza del populismo o del movimento 5 stelle. Ma come segnale dell’entità della crisi italiana. E questa entità risulta inaudita.

Otto milioni di voti si sono mossi. Cinque dal centrodestra e tre dal centrosinistra. Verso un movimento di opposizione pura invece che verso le alternative (tradizionali) di governo.

Un’enorme spinta centrifuga nel corpo elettorale. Messa in moto dalla crisi, dalla non risposta alla crisi, e dall’insensibilità della casta politica (per poco) dominante.

In presenza di questa crisi, e questa risposta alla crisi, credo sia ragionevole supporre in una nuova esplosione politica più o meno tra sei mesi.

Oppure, alternativamente, che i giovani rappresentanti di questa opposizione trasversale riescano a prodursi in una sorta di miracolo stabilizzante. Riuscendo a imporre, con il loro 25% di voti, una politica completamente diversa dal passato.

Tutto è aperto, come non mai

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La bufala

Di fatto Berlusconi da oggi non ha più un programma economico. E’ morto in Svizzera.  Per questo forse non va a Napoli a chiudere la campagna elettorale. Non saprebbe cosa rispondere ai suoi stessi elettori.

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Cari grillini lombardi

Da blogger fin dal 2002 ho visto nascere il vostro movimento. E ieri ero in Piazza Duomo, ad ascoltare Beppe Grillo e voi.

Mi sono fatto un’idea, parlando con alcuni di voi. Aiutateci a non consegnare la Lombardia a Maroni.

A Maroni, a  Berlusconi e anche  di nuovo a Formigoni.

Ambrosoli è una brava persona. Non è della casta, è un po’ come noi e  voi.

E poi si potrà far politica positiva, senza distorcere i ruoli di ciascuno.

Anzi, sulla democrazia diretta e sulla partecipazione potremo persino trovarci vicini. Noi con esperienze come LiquidFeedback per il programma di Ambrosoli, voi con le primarie online, i referendum, i bilanci partecipati.

Non buttiamo via la Lombardia regalandola a un tizio che vuole costruire un pericoloso stato separato al Nord, e una ridicola moneta alternativa, il Marone.

Non è questa la strada per ricostruire questo paese, come credo sappiate bene.

Cambiamo la Lombardia con facce nuove e oneste. E con una leale competizione partecipata.

Cambiamo.

Un blogger e militante di base.

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Troppo poco da illudersi

Perchè è vitale puntare a una prospettiva politica più ampia. Non suicidandosi fuori dall’Europa, ma all’esatto opposto.  E perchè pochissimi lo spiegano e ne parlano (come al solito per le questioni vere, ma che non portano voti).

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Per fortuna il Corriere della Sera ha commissionato a Oxford Economics un’analisi comparata, sulla base di un modello econometrico dell’economia italiana, dei programmi dei principali quattro partiti in lizza. Ovvero il piccolo Fare, il grande Pd, il Pdl e Scelta Civica di Mario Monti. Alla lista Ingroia sono stati chiesti i dati della loro manovra economica ma non vi è stata risposta. Al Cinque Stelle pure, ma in risposta è stato indicato il loro sito web, ritenuto però dagli economisti inglesi del tutto inutilizzabile per trarne  il profilo di una strategia economica intelleggibile. E non paiono in effetti i soli ad essere giunti a questa conclusione.

Ok, al netto di queste significative annotazioni messe sul report finale della simulazione la questione di sostanza era (ed è): quale dei programmi ci porterà, e come e in quanto tempo, fuori dalla crisi che attanaglia il paese?

I ricercatori scoprono, che almeno sui grandi capitoli, i programmi economici dei quattro partiti coincidono notevolmente: tutti, più o meno, puntano alla vendita del patrimonio pubblico per ridurre il debito (e conseguente carico di interessi sul bilancio dello stato), tutti, più o meno vogliono una riduzione della pressione fiscale, sulle famiglie e sulle imprese. Tutti vogliono rilanciare i consumi (e l’occupazione) e tenere a freno il deficit pubblico.

Bene. Il più performante, guarda caso, si rivela alla simulazione il programma del Pdl. Il più lento, ma sicuro, quello del Pd.

Il problema è che, come sempre, il programma Pdl contiene il trucco. Ovvero il famoso accordo con la Svizzera, un super-condono fiscale per i patrimoni scappati che viene spacciato, da Brunetta e altri, come imminente. Questo introito permetterebbe, secondo il Pdl di defiscalizzare l’Imu e dare impulso rapido all’economia. Il problema che l’accordo salvifico imminente non lo è affatto. E la cifra di introiti lanciata da Berlusconi, 25-30 miliardi, è del tutto campata per aria.

Ma, al netto delle solite furbastrate, quello che mi colpisce nell’analisi è un elemento semplicissimo.

In ogni caso, con ogni partito, la crisi acuta durerà almeno quattro anni. Sarà, con chiunque e comunque, una legislatura in salita pesante. E il tasso di disoccupazione non si riporterà ai livello del 2010 nemmeno nel 2018. Nessuna illusione.

Stiamo quindi votando per  partiti portatori di programmi, nella sostanza, in larghissima parte coincidenti, soprattutto in termini di impatto sull’economia reale. Con buona pace delle sbandierate diversità e persino degli insulti che i vari schieramenti si scambiano.

Una truffa? No. Più benevolmente e realisticamente: gli economisti dei quattro partiti hanno fatto quello che potevano, nelle condizioni attuali del paese e nei vincoli europei e internazionali.

Quindi  un dato più profondo emerge evidente.

L’Italia, da qualunque parte la si rivolti, non ha le risorse reali per il suo rilancio nella prossima legislatura. E’ il messaggio che viene da una lettura attenta del documento. Può solo gestire un lento e doloroso recupero. Per avviare dopo, dal 2018 in avanti, il suo ritorno (semmai ci sarà) ai livelli del 2007, prima della grande crisi.

E allora? Perchè un documento (nato per altri scopi) risulta tanto preoccupante? Semplice: perchè ci dice che nel suo grafico c’è un grande spazio bianco. Manca una variabile. E grossa: l’Europa.

Non aggiungo altro. Vedi il post sotto.

 

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Scommettiamo su un’Europa socialdemocratica

Mi sono andato a guardare, per controllare le affermazioni di Bersani di ieri, la geografia politica della socialdemocrazia in Europa.

Bè, è proprio così come lui dice. I partiti laburisti e socialdemocratici stanno nettamente avanzando nel continente.  Francia, Portogallo, Olanda (dove, crescendo, potrebbero strappare una calizione alternatica a quella liberal-democristiana attuale). Il trend è evidente. Ed è ovvio: di fronte a un crisi capitalistica, che colpisce i più deboli, la risposta socialdemocratica è classica.

Sul rafforzamento di questo trend si giocano oggi due decisive partite. Le elezioni in Germania (a novembre) e, di conseguenza, una diversa politica dell’Europa verso la crisi.

Supponiamo, dice Bersani, che la coalizione socialdemocratica dovesse vincere, e pienamente, anche in Italia. Quindi, nonostante lo sciagurato porcellum, prendere la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Un vittoria pulita, al 51% dei seggi.

Sarebbe un fatto di enorme rilevanza che risuonerebbe in tutta Europa. L’Italia, simbolo da decenni di instabilità politica, di coalizioni tenute su con lo sputo (degli elettori, spesso) ha deciso una strada chiara e inequivocabile. Uscire dalla sua crisi con un mix di politiche sia di rinnovamento che di equità sociale. Ha votato Keynes.

Questa vittoria inedita ridarrebbe vigore alla socialdemocrazia francese. E indurrebbe, soprattutto, una spinta analoga anche in Germania.

Con la prospettiva di tre governi di legislatura relativamente omogenei a Parigi, Berlino e Roma. Tre partner, al meno sulla carta, al massimo grado di affidabilità reciproca. E poi un effetto a catena anche su altri paesi europei.

Il 2014 potrebbe così configurarsi come l’apertura di una fase europea “socialdemocratica”, con ricette di politica economica attiva e industriali per il riequilibrio, per la generazione di nuove imprese, di investimenti, di liquidità nel sistema. E non solo di rigore e di tagli.

Sarebbe una prospettiva che ci farebbe dimenticare, in gran parte, i difficili anni passati.

Di questo scenario “socialdemocratico” Monti non può essere parte, se non laterale. E non è certo lo scenario di Berlusconi che, anzi, ci spingerebbe all’isolamento. Nè infine di Grillo che la socialdemocrazia europeo manco sa cosa sia (forse un nemico), e così di politiche anticrisi continentali, oggi in bilico e cruciali.

Quindi, anche per un borghese (ma con cervello acceso) conviene assolutamente votare convinto Bersani. Perchè vinca pienamente. E’ l’unico, oggettivamente,  che può innescare un vero cambiamento sulla scala che a noi disperatamente serve per uscire dalla crisi.

 

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Bersani s’è desto

Era da diversi anni che non tornavo contento da una manifestazione del Pd. Oggi mi è successo. Ero molto preoccupato dalla campagna elettorale di Bersani, troppo debole. Ma oggi ho ascoltato da lui un discorso comprensibile,  e anche piuttosto alto, di progetto e di legislatura. E non le solite menate politiciste sulle alleanze con questo o quello.

Il Pd si muoverà su due assi, ha detto: moralità e lavoro.  Finalmente abbimo sentoto l’impagno per plurimi provvedimenti sul primo. E i fondi per il secondo da una diversa linea politica europea (dove i progressisiti stanno vincendo, e potrebbero riuscirci anche in Germania) e dal recupero di quella “risorsa nera” (evasione, corruzione, criminalità, lavoro nero) che assomma per quasi un quarto del Pil.

Mi basta. Sono posizioni semplici e chiare che fanno progetto. E che i tre milioni di partecipanti alle primarie potranno controllare in corso d’opera.

Bersani ha messo una marcia superiore oggi.

Con oggi segno, almeno personalmente, una svolta. Si può fare, si deve fare. E non c’è, di fatto, alternativa (salvo panzane).

La situazione mi pare migliorata.

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Grillo. Un soliloquio o niente.

Cinque anni fa Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso e blogger, chiese un’intervista a  un altro blogger di successo, Beppe Grillo. Che già allora muoveva gli animi con le sue denunce.

Grillo rifiutò. Opponendo il fatto che lui era abituato, per mestiere, a produrre “soliloqui” e non a rispondere a domande in un normale intervista. «Io sono un monologhista», fu la prima risposta.

Gilioli non si perse d’animo. Gli inviò le domande. Grillo risposte che erano indegne e chiuse la comunicazione.

La vicenda fece sensazione nella piccola cerchia dei blogger italiani. Scatenò un putiferio di commenti sul blog di Gilioli.

Commentò alla fine Gilioli: “Attenzione, ragazzi, perché se questo è il futuro della politica in Rete fa veramente schifo”.

Oggi Grillo ha fatto lo stesso con Sky.

Evidentemente hanno inviato domande sul programma economico del 5 stelle, notoriamente scritto da Casaleggio (alla faccia delle primarie)  e notoriamente ridicolo (per una, la statalizzazione di tutte le banche, peggio dei soviet di Bucharin).

Grillo, come successe con Gilioli, avrà decretato come “indegne” queste domande. E ha inopinatamente cancellato l’intervista. In questo modo ha evitato l’imbarazzo di dover difendere le evidenti fregnacce passategli dal suo compagno di merende.

Mi spiace per i ragazzi del 5 stelle.

“Attenzione, ragazzi, perché se questo è il futuro della politica in Rete fa veramente schifo”.


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Oltre il baratro

 

 

L’Italia, eleggendo Berlusconi e Maroni in Lombardia, si avvierà al disastro? Farà saltare l’Euro, come vogliono ambedue? Si coprirà di un odio e disprezzo che andrà dagli spagnoli ai finlandesi?

La posta in gioco, con queste elezioni, è davvero grossa. Il destino di un paese, appassita dopo 33 anni di governo di malfattori e corrotti.

Irrigidita, per paura di questa gentaglia, in istituti anni 70. Un’Italia invecchiata nei privilegi acquisiti, mentre il 25% dell’economia e del Pil è divenuta corruzione, criminalità organizzata, evasione e lavoro nero.

I due pilastri del baratro sono questi. Quel 25% e i privilegi acquisiti. I malfattori dei terribili 33 anni (Andreotti, Craxi e poi Berlusconi) manco hanno lontanamente pensato a riformare l’Italia. Avevano altri obbiettivi, prevalentemente personali. Per loro sostenere la magistratura contro le mafie era una grana,  una grana far pagare le tasse ad amici ed elettori, una grana scontrarsi con i sindacati, liberalizzare i notai superprotetti, i taxisti, i farmacisti. Una gran enorme rivedere i cinque livelli della pubblica amministrazione, uno sull’altro accatastati inutilmente. Grane, grane, grane. Ma è governare o no?

Nel 2012 il sistema Italia è finalmente destabilizzato. Nulla sarà più come prima di fronte alla grande crisi. E’ un bene, doveva succedere, come tante cassandre (tra cui questo blog, fin dal 2002, tre anni prima di Grillo)  avevano facilmente previsto.

L’Economist vede come unica via d’uscita il duo Monti-Bersani (o Bersani-Monti). Ci metto anche Vendola e il cruciale Ambrosoli.

Vincere in Lombardia è decisivo. Significa impedire un’inutile e dannosa spaccatura dell’Italia in tre regioni del Nord. E sigifica, vincendo, ridurre la Lega Nord a quello che è: un partitino marginale con programmi fantasiosi, sovente fascisti e fuorvianti.

L’Italia di federalismo ne ha fin troppo, infatti (e costoso in termini burocratici) . E fin troppo maltratta i suoi immigrati, essenziali per un paese che invecchia a rotta di collo (a causa delle non-politiche folli dei 33 anni). L’Italia non ha bisogno della Lega. Soprattutto di una Lega dai leader manifestamente corrotti.

Bersani, Monti, Vendola e Ambrosoli? Non basta. Subito dopo le elezioni, subito dopo la vittoria, va aggiunta una seconda gamba per uscire dal baratro. Non sono i leader e il governo ma anche i cittadini partecipanti. Attivamente partecipanti.

Chi scrive lo sta facendo a Milano, con i comitati ex-Pisapia.  Sto collaborando a un giornale dal basso di quartiere, a un gruppo sull’energia e il risparmio energetico, a un sito programmatico aperto.

Potrei fare di più, e tanti come me. E lo farei gratis, anche se mi tagliano la pensione. Perchè conosco il valore dell’investimento sociale, pur operato nel mio piccolo.

Conosco il valore della partecipazione attiva. E del controllo dal basso che dovremo esercitare, grillini compresi, nei prossimi cinque anni. I 33 anni di marcescenza lo esigono a tutti.

Dopo le elezioni, sia questa una prima o seconda (più terribile) tornata, non c’è alternativa. Prepariamoci tutti a una lotta (positiva, per quanto è possibile) per ricostruire l’Italia.

 

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