Perchè è vitale puntare a una prospettiva politica più ampia. Non suicidandosi fuori dall’Europa, ma all’esatto opposto. E perchè pochissimi lo spiegano e ne parlano (come al solito per le questioni vere, ma che non portano voti).
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Per fortuna il Corriere della Sera ha commissionato a Oxford Economics un’analisi comparata, sulla base di un modello econometrico dell’economia italiana, dei programmi dei principali quattro partiti in lizza. Ovvero il piccolo Fare, il grande Pd, il Pdl e Scelta Civica di Mario Monti. Alla lista Ingroia sono stati chiesti i dati della loro manovra economica ma non vi è stata risposta. Al Cinque Stelle pure, ma in risposta è stato indicato il loro sito web, ritenuto però dagli economisti inglesi del tutto inutilizzabile per trarne il profilo di una strategia economica intelleggibile. E non paiono in effetti i soli ad essere giunti a questa conclusione.
Ok, al netto di queste significative annotazioni messe sul report finale della simulazione la questione di sostanza era (ed è): quale dei programmi ci porterà, e come e in quanto tempo, fuori dalla crisi che attanaglia il paese?
I ricercatori scoprono, che almeno sui grandi capitoli, i programmi economici dei quattro partiti coincidono notevolmente: tutti, più o meno, puntano alla vendita del patrimonio pubblico per ridurre il debito (e conseguente carico di interessi sul bilancio dello stato), tutti, più o meno vogliono una riduzione della pressione fiscale, sulle famiglie e sulle imprese. Tutti vogliono rilanciare i consumi (e l’occupazione) e tenere a freno il deficit pubblico.
Bene. Il più performante, guarda caso, si rivela alla simulazione il programma del Pdl. Il più lento, ma sicuro, quello del Pd.
Il problema è che, come sempre, il programma Pdl contiene il trucco. Ovvero il famoso accordo con la Svizzera, un super-condono fiscale per i patrimoni scappati che viene spacciato, da Brunetta e altri, come imminente. Questo introito permetterebbe, secondo il Pdl di defiscalizzare l’Imu e dare impulso rapido all’economia. Il problema che l’accordo salvifico imminente non lo è affatto. E la cifra di introiti lanciata da Berlusconi, 25-30 miliardi, è del tutto campata per aria.
Ma, al netto delle solite furbastrate, quello che mi colpisce nell’analisi è un elemento semplicissimo.
In ogni caso, con ogni partito, la crisi acuta durerà almeno quattro anni. Sarà, con chiunque e comunque, una legislatura in salita pesante. E il tasso di disoccupazione non si riporterà ai livello del 2010 nemmeno nel 2018. Nessuna illusione.
Stiamo quindi votando per partiti portatori di programmi, nella sostanza, in larghissima parte coincidenti, soprattutto in termini di impatto sull’economia reale. Con buona pace delle sbandierate diversità e persino degli insulti che i vari schieramenti si scambiano.
Una truffa? No. Più benevolmente e realisticamente: gli economisti dei quattro partiti hanno fatto quello che potevano, nelle condizioni attuali del paese e nei vincoli europei e internazionali.
Quindi un dato più profondo emerge evidente.
L’Italia, da qualunque parte la si rivolti, non ha le risorse reali per il suo rilancio nella prossima legislatura. E’ il messaggio che viene da una lettura attenta del documento. Può solo gestire un lento e doloroso recupero. Per avviare dopo, dal 2018 in avanti, il suo ritorno (semmai ci sarà) ai livelli del 2007, prima della grande crisi.
E allora? Perchè un documento (nato per altri scopi) risulta tanto preoccupante? Semplice: perchè ci dice che nel suo grafico c’è un grande spazio bianco. Manca una variabile. E grossa: l’Europa.
Non aggiungo altro. Vedi il post sotto.
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