Molto semplice. Perchè con lui mi sono inteso subito, su questo post di fine dicembre (Nessuno ci salverà). Un post che ho scritto di getto, mentre Milano e la pianura padana soffocavano nelle polveri sottili, non pioveva da settimane, il vento era inesistente. Il solito allucinante problema in cui viviamo, che genera circa 4mila morti nella metropoli ogni anno, e non fa distinzione tra poveri e ricchi, tra vecchi e giovani.
La mia tesi era ed è semplice. Lo Stato italiano, sia esso a livello centrale, regionale o comunale, non è in grado di affrontare il problema. Lo Stato italiano è in stato semi fallimentare dal 1992, da allora non si è più risollevato, stava di nuovo per fare default nel 2011 e oggi è comunque un sorvegliato speciale dell’Europa a guida tedesca.
Per affrontare la grande camera a gas padana sarebbero necessari massicci investimenti su almeno due fronti. I trasporti su ferro al posto di quelli su gomma e l’efficienza energetica degli edifici. E non con l’elemosina di qualche incentivo regionale, ma con iniziative vere, capaci di sostenersi.
Ci sono i soldi per fare questo? Certo che ci sono. Le famiglie italiane sono tra le più patrimonializzate al mondo (persino oltre la Germania) e detengono titoli e attività finanziarie per 4mila miliardi di euri, di cui circa 2mila nella pianura padana e 1000 nella sola metropoli milanese. Questa grande massa di risparmi è poi investita solo per il 10-20% in attività italiane. Le gestioni patrimoniali operano per loro con un click in tutto il mondo, alla ricerca del miglior rendimento.
Se solo riuscissimo a “convincere” noi stessi (milanesi) a investire per qualche punto in meno di rendimento ma per vivere sarebbe fatta. Per esempio in un fondo rotativo per l’efficienza energetica dei condominii, connesso a una Esco capace di gestire le ristrutturazioni (isolamento termico dei tetti e delle facciate…..) e di spalmarne il costo nel tempo utilizzando e suddividendo i risparmi in bolletta. Se riuscissimo a creare un sistema di trasporto su ferrovia intorno a Milano, raccordato alle metropolitane e ai passanti, e alla futura circle line, potremmo a un certo punto nel tempo tassare pesantemente l’ingresso in massa di auto pendolari nella metropoli. Chiunque, di fronte a trasporti da Monaco di Baviera, lascerebbe a casa l’auto.
Se riuscissimo a dimostrare che ambedue gli investimenti si sostengono, si potrebbero moltiplicare e diffondere in tutta la macroregione padana. Avremmo finalmente affrontato la “camera a gas”.
Ci sono, almeno in teoria, tre strade per mobilitare queste ingenti risorse. Una volta escluso il finanziamento diretto sul bilancio pubblico si potrebbe pensare al project financing. Peccato però che, con l’M4 e l’M5, la non rimpianta Letizia Moratti (e Sala) abbiano sostenzialmente “bruciato” questa possibilità. Le due nuove linee di metropolitana graveranno, con il loro canone sul bilancio del Comune di Milano per 150-200 milioni annui per 30 anni. Ogni nuova iniziativa di questo tipo così è quindi improponibile.
La seconda alternativa è quella forzosa, tanto cara alla sinistra estrema. Ovvero una pesante patrimoniale per finanziare le opere. Peccato però che questi 4mila miliardi in titoli siano estremamente mobili, e al primo annuncio di nuove tasse prenderebbero in un click ogni via di fuga possibile.
Resta invece la strada più difficile, da guadagnarsi giorno per giorno, senza scorciatoie. La strada della fiducia e della partecipazione.
Molti, troppi, a questa parola hanno assegnato significati diversi. Fino a riempirsene la bocca, trasformandola di fatto in un ammennicolo decorativo dell’amministrazione. Io invece sostengo che la partecipazione, dato il quadro descritto sopra, si ponga oggi come una questione “vitale”, di fronte a uno Stato semifallito e a una diffusa privatizzazione delle risorse patrimoniali disponibili.
La mia proposta è che il Comune di Milano e la Città metropolitana sviluppino con attenzione e determinazione una politica per la partecipazione, sia essa consultiva (forum di discussione aperti), deliberativa (bilanci partecipativi ogni anno) e produttiva (iniziative di crowdsourcing civico e promozione di public companies ad azionariato diffuso).
Si tratta di “allenare” Milano e i milanesi all’impegno volontario sulla cosa pubblica. Si tratta di costruire, iniziativa dopo iniziativa, quel contesto di fiducia capace di affrontare sfide via via più ampie e difficili. Si tratta di chiedere contibuti volontari anche piccoli per restaurare beni storici (come a Bologna) ma poi anche di offrire investimenti remunerati, o azioni di Sea o A2A. Si tratta, forse, di trasformare Atm in una public company non solo di trasporti urbani, ma anche metropolitani e regionali. Si tratta di cambiare molto nell’impostazione tradizionale dell’amministrazione.
Una task force per la partecipazione a Palazzo Marino sarà ovviamente necessaria e fondamentale per architettare e accompagnare le tappe del processo. Ma non è solo questione di funzionari attivi e di entità non profit alleate. La partecipazione presuppone fiducia (bene non molto abbondante oggi nei rapporti tra cittadini e politici), la fiducia si fonda sulla legalità, e su poteri di controllo esplicitamente previsti per chi partecipa investendo.
Mi rendo conto che questo è un progetto politico da far tremare le vene dei polsi. Di fatto prevede di evolvere da un’amministrazione sui cittadini verso un’amministrazione con i cittadini. E non a parole, come ha declamato per anni la deludente giunta Pisapia, fino al suo esito: il sedicente bilancio partecipativo (per pochi intimi sorteggiati) firmato Balzani-Rozza.
Le vene ai polsi tremano anche leggendo le statistiche di Legambiente e Oms su quanto ci costa in vite umane e in cure mediche la “camera a gas”. E’ mai possibile che, in una città e in una Regione con i materassi pieni di soldi si debba poi vivere, ammalarsi e morire così?
Deluso da Pisapia e dal suo entourage mi sono guardato intorno. Con chi posso proporre queste idee? Ho subito escluso Parisi e il centrodestra, non molto inclini a politiche partecipative (spero persino di sbagliarmi in futuro). E ho escluso anche Sala e il Pd, il primo un tecnocrate, il secondo co-protagonista della non partecipazione degli anni scorsi.
Restavano due alternative. La lista Rizzo di sinistra (con molti di loro sono buon amico) e i radicali di marco Cappato. Ho scelto Cappato per due motivi. Il primo è che i radicali, da sempre, hanno una tradizione di partecipazione popolare, referendaria, che ha animato tanti passaggi della democrazia italiana. Poi la loro attenzione e azione sulla legalità.
Qui si situa la vicenda dei quattro referendum fatti saltare surrettiziamente dal Comune,. Oggi la lista radicale ha un progetto di trasformazione di Milano. In particolare sulla circle line ferroviaria e l’estensione dell’area C. Ma anche sui necessari alloggi popolari.
I primi due progetti fanno un pezzo dell’attacco alla “camera a gas”.
Progetti che andrebbero finanziati con gli introiti dalla vendita di Serravalle, Sea e A2A. E qui, meglio di classiche privatizzazioni, sarebbe la formazione di grandi aziende ad azionariato diffuso (il testo del referendum prevede una preferenza nella vendita ai cittadini milanesi) magari con una “golden share” del Comune per la Sea.
Si può cominciare quindi a costruire subito quel complesso di interventi per rendere più sostenibile la nostra città e regione.
E qui entra il secondo motivo per cui ho scelto la lista Cappato. Con tutto il rispetto e l’affetto per i partecipanti della lista Rizzo (con cui ho collaboro da anni nella mia zona, la 3) la mia proposta di “partecipazione produttiva” è diretta ai ricchi come ai poveri (forse più ai primi che ai secondi). Ed è quindi logico che cerchi di parlare a tutti, senza limitazioni, vere o presunte che siano.
Quello che mi interessa è che queste idee, questo tracciato partecipativo entrino nel dibattito della polis minalese. Che venga riconosciuta l’opzione come praticabile e possibile. A Bologna sta già succedendo. E anche in alcuni piccoli comuni (Sori, Cogne…).
Anche Milano può partire piano per poi crescere. E io sarò comunque della partita.
Infine. Questo paradigma partecipativo “esteso” può essere il vero antidoto allo “stato fallito” in cui ci dibattiamo da ben 24 anni. Da allora la politica di bilancio centrale è stata di austerità, non abbiamo avuto mai alcuna manovra di rilancio (anche ai tempi del più immaginifico Berlusconi) e il debito non è mai riuscito a scendere sotto il livello del Pil.
Risultato: l’Italia ristagna, imprigionata nel debito, da un quarto di secolo.
Possiamo attenderci che Renzi e Padoan possano fare il miracolo, facendo scendere il debito sul Pil di qualche decina di punti percentuali in pochi anni? Possimo pensare che riportino il paese a una crescita del 3%?
No.
E allora?
In questi 24 anni (anzi 35 se consideriamo l’esplosione del debito dal 1981) è però cresciuta una vasta platea di italiani che si sono avvvantaggiati del debito pubblico con lauti e lautissimi tassi di interesse. I bot people, oggi detentori di vasti patrimoni. Anche ceto medio, anche classe operaia. Risparmiatori.
La stragrande maggioranza tra loro sono persone perbene, che hanno a cuore il futuro dei loro figli e nipoti. Hanno a cuore il loro campanile, la loro città, la loro nazione.
Queste persone hanno in mano il futuro del paese. Sono i soli che possono immettere risorse per far ripartire l’Italia. Ma le immetteranno se e solo se avranno di fronte soggetti che rispettano il loro risparmio (spesso sudato), e che possono dimostrare di essere degni della loro fiducia.
A Milano siamo vicini a questi requisiti. Le cose migliori, a mio avviso, che ha fatto la precedente giunta sono state due: ha fermato il debito del Comune e ha ristabilito un regime di legalità. Le basi ci sono.
Nessuno di noi ha da perderci. Solo da guadagnarci.Quindi proviamoci.