Ci si domanda. Che fine ha fatto Francesca Balzani? Colei che accompagnò Giuliano Pisapia in pellegrinaggio a Roma, poco dopo che Renzi aveva autocraticamente designato Beppe Sala, l’eterno campione di Expo, a candidato sindaco del Pd e quindi della sinistra milanese?
Bè, della Balzani oggi non vi è traccia. Dopo che Sala si rifiutò di tenerla in coalizione con un posto da vicesindaco prefissato decise di passare nelle retrovie. E questo è solo uno dei tanti rebus di questo strano suicidio di una sinistra che ha governato Milano per 5 anni, mediocremente per molti, ma con non piccoli meriti per tanti (e anche per me).
I cinque anni di Pisapia sono stati anni di legalità, di tenuta dei conti (devastati da quelli prima), di buongoverno liberale. Persino di innovazione liberista. Una parentesi di sano conservatorismo. Nonostante le bastonate di Monti.
Però alla fine tutto si è sfilacciato. E, primo mistero, Giuliano Pisapia decide inopinatamente di annunciare in anticipo, nellautunno scorso, la sua volontà di non ricandidarsi. Riprendendo una frase su un solo mandato detta nel 2011. Un po’ poco, francamente. Forse sapeva dei veri conti di Expo o forse ne aveva soltanto le balle piene di fare il sindaco. Nessuno lo sa.
Di fatto, però, quella che appariva a tutti come una marcia in discesa verso una sua rielezione e un secondo mandato comincia a inerpicarsi su un sentiero in salita. Che poi sfocia nel caos.
Entra in gioco Renzi, che spara il nome di Sala. E, secondo mistero, Pisapia (supposto leader alternativo) accetta la sua egemonia e dice di sì, riservandosi una trattativa a Roma con Balzani. Non si sa cosa si siano detti con Renzi, ma Sala va avanti.
Subito Sel, una forza politica importante, il centro della sinistra milanese, comincia a spaccarsi. Cristina Tajani, suo esponente di punta, va subito a baciare l’anello renziano di Sala. Precorre quella che poi sarà una vera spaccatura di quel partito. Oggi di fatto omologato con i renziani per un pezzo e per l’altro scomparso dai radar. Salvo piccole frange finite con Rifondazione-Milano in Comune. Eppure Sel fu l’anima, il motore del 2011 arancione.
Si tengono le primarie. Sala promette a Majorino un futuro ruolo di primo pèiano nella sua giunta, da vicesindaco. E l’ineffabile assessore ai servizi sociali di fatto fa vincere il Commissario Expo, mantenendo la sua candidatura contro Balzani. Quest’ultima abbozza dopo la sconfitta. Poi chiede anche lei un ruolo da vicesindaco. Niet. E si sfila, lasciando gli arancioni senza un leader.
L’unità della sinistra milanese va in pezzi. Comincia a formarsi un’area alternativa a Sala. Fatta di civici, liberal, ambientalisti, sel dissidenti, sinistra estrema. E anche radicali. I primi cinque tentano di unirsi. Ma le lobbies storiche della sinistra radicale milanese fanno sotterranea opposizione. E alla fine prevalgono contro la lista unica, decapitano ogni candidatura unitaria e finiscono per imporre il candidato storico Basilio Rizzo. Il solito tranquillo piccolo cabotaggio di opposizione minoritaria, e per giunta su un paio di listarelle divise.
Il dato però è chiaro. La sinistra che nel 2011 era unita sul nome di Pisapia (persino ai radicali) oggi è spaccata, anzi frantumata. L’ha spaccata l’inopinata scelta di Pisapia, l’imposizione renziana di Sala, l’accettazione a 90 gradi arancione del candidato manager.
Temo davvero che questa sinistra artificialmente spaccata possa finire per perdere. E non per calcoli elettoralistici sul primo e secondo turno. Nè per la forza dell’avversario. No.
Nel 2011 c’era entusiasmo. Finalmente Milano si toglieva di dosso la cappa berlusconiana di Albertini e Moratti, con il loro codazzo di inquisiti e politiche per i soliti noti. Si desiderava aria nuova. Con decine e decine di comitati in campo, dall’estrema sinistra ai boys scout. Oggi invece queste scelte folli e questa spaccatura stanno depotenziando migliaia di cervelli, migliaia di persone attive, migliaia di cuori. Basta leggere il grigiore dei programmi e degli eventi.
Parisi potrebbe finire per vincere solo per demerito dei dirigenti dell’altra parte. In particolare della leadership arancione che ha accettato il renzismo come dominante e il grigio e opaco Sala come leader.
Per quanto mi riguarda ho scelto di starne fuori. Questi ultimi otto mesi mi hanno davvero deluso. Dopo cinque anni di impegno volontario nella mia zona. Ho scelto una vecchia zattera sicura che conosco. Ancorchè piccola, quella radicale. Dando una mano a Marco Cappato, un oppositore serio che ha lavorato bene nei cinque anni a palazzo Marino. Un compagno (già, perchè anche i radicali si chiamano così tra di loro) di cui mi fido.