Un sovrumano sforzo di unità (alias il dentifricio da far tornare nel tubetto a Milano)

Tutto cominciò con un’idea grandiosa in dicembre. Mettere assieme la sinistra-sinistra di Rifondazione, i liberal e gli ex arancioni scontenti dell’ultimo Pisapia e di Sala (alias Renzi),  alcuni comitati civici e  forse persino i radicali. Insieme, in una sola coalizione queste anime avrebbero fatto la differenza all’opposizione del Pd-nazione- Cl che si profilava come altrimenti inarrestabile.

Putroppo però, nelle settimane successive, questo esercizio difficile (nella sinistra di opinione è molto più facile dividere che unire) è saltato. Quasi da subito sinistra e liberal hanno cominciato a escludere, nei fatti, i radicali.

Poi varie lobbies si sono avventate sulle vulnerabilità del progetto. Si va da autorevoli esponenti del progressismo milanese (il maggior salotto pro-Pisapia) che hanno esercitato pressanti interventi di moral suasion sui candidati sindaco (candidati simbolo) via via ipotizzati. Insieme a lobbies molto ortodosse dell’area di Rifondazione che hanno sviluppato un identico lavoro di pressione per privilegiare un profilo “esclusivo e dominante” di quel partito. Indirizzato dietro il suo candidato storico, il peraltro bravo e ineccepibile Basilio Rizzo.

Risultato, a fine febbraio, dopo un interminabile e faticoso lavoro del tavolo unitario, tutto è esploso. La supposta inedita coalizione era collassata da sè. Il progetto originario è andato in frantumi. E ci si ritrova oggi con tre liste, Milano in Comune (Rifondazione), Alternativa Municipale (i civici di cui sopra), i Radicali (classicamente) per Cappato sindaco.

Tutte e tre, divise, queste liste rischiano di non passare la soglia minima, il quorum per eleggere almeno un consigliere comunale.  E se anche la lista Rizzo ci riuscisse non sarebbe granch’è. Rispetto al fatto che il progetto originario (molto inviso a Pisapia e al suo entourage) puntava a percentuali grosse, del 10%.

Sfasciare questo progetto unitario è stato probabilmente salutato come una vittoria dalle lobbies arancioni e rosse.  Ma oggi, con l’avanzata di Parisi, la confluenza di Passera e la noia assoluta di Beppe Sala come candidato, ci andrei piano a esultare.

La frantumazione significa che  a sinistra di Sala si apre un vuoto di almeno il 6%, dal 10 al 4%. E che, di fatto, viene meno un cruciale interlocutore per il ballottaggio. Forse regalando voti al 5 stelle o forse all’astensione (già a livelli altissimi a Milano).

Questa frantumazione operata a sinistra regalerà Milano alla destra, è quello che penso. A una destra stanca, senza idee, imbolsita. Ma capace, sul potere e sulle poltrone, di unirsi.

Sala, e il pd renziano, non mostrano di avere la forza dinamica che ebbe la coalizione di Pisapia negli ultimi giorni della campagna elettorale del 2011. Oggi non c’è un vento da cambiare nè un’aria nuova a immettere a Milano. Ci sono solo manager un po’ grigi, e tanti, tanti litigi.

La mia proposta è che, per salvare Milano da una nuova stagione regressiva, si abbia il coraggio e la pazienza di far tornare il dentifricio nel tubetto. Di ricostruire il progetto originario, di proporre onestamente a Milano una lista per il “patto di ballottaggio” con Sala. Ovvero di riconquistare quel 10% decisivo per chiedere l’esclusione degli affaristi ciellini, ottenere un assessorato e un’agenzia per la partecipazione, un impegno forte sulle case popolari, sulla trasformazione di Sea e poi A2A in grandi “public companies” gestite dai cittadini lombardi (salvo Golden Share pubblica), e quindi anche l’apertura dei navigli, la circle line, una nuova Atm metropolitana, e infine restrizioni del traffico automobilistico in entrata a Milano. Insieme a un fondo partecipato per l’efficienza energetica dei condomini. Tanto per affrontare la nostra invernale camera a gas (che ci costa, tanto per dire, qualche decina di migliaia di morti).

Elementi di programma che si possono rinvenire in tutte e tre le liste. Integrabili senza enormi difficoltà.

Una forza al 10% può limitarci o evitarci un ennesimo quinquennio di affaristi. E può aprire la via a quello che Pisapia prima ha promesso e poi non ha fatto. Far partecipare i milanesi (e oggi lombardi) alla cosa pubblica e ai beni comuni.

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