L’Italia è nella palta. E continua, lentamente ma inesorabilmente, ad affondare. Senza alcuna possibilità di risollevarsi con le proprie forze. Le cifre sono eloquenti, giorno dopo giorno. E’ come un nuotatore un tempo robusto ma ora stanco e invecchiato che si è legato una cintura di pesi anno dopo anno sempre più pesante. E il piombo ormai è ben oltre la soglia di galleggiamento.
Si dicono e si scrivono tante stupidaggini sul debito pubblico italiano. Si cita spesso quel 130% di rapporto tra debito e Pil. Non vuol dire niente. I giapponesi hanno il debito pubblico al 220% del Pil e riescono a campare. Tutto il debito giapponese è in mano ai risparmiatori giapponesi, e gli interessi da pagare sono pilotati dallo Stato e Bank of Japan e bassi.
Noi invece lo abbiamo messo sul mercato della finanza globale, grazie anche a Mario Draghi. Il prezzo ora lo fanno loro. E paghiamo, ogni anno, una tassa spropositata al moloch del nostro debito pubblico: il 5-6% del Pil. Questo è il numero che conta. Nove volte quanto Renzi sta cercando di estrarre dall’erario per sgravare il lavoro dipendente. Nove volte. 90 miliardi di euro che vanno per il 30% alla finanza internazionale (che detta i prezzi), per il 45% alle nostre banche e solo per il 25% ai risparmiatori italiani.
In pratica noi “regaliamo” all’estero 27 miliardi di nostro lavoro e tasse ogni anno. E oltre 40 miliardi vanno nei portafogli delle banche, una rendita facile che copre le loro tante operazioni clientelari e sconclusionate.
Questa cintura di pesi si è formata grazie ai maggiori criminali politici intervenuti dal dopoguerra nella storia d’Italia: Giulio Andreotti e Bettino Craxi in primis. Nel 1992 ci consegnarono un paese sull’orlo del crack, al 120% di debito/pil. Da allora è stata austerità continua, ma lo stato italiano non è mai stato in grado di ripagare completamente gli interessi, che hanno generato altro debito, fino alla situazione attuale.
Soprattutto dal 1994, quando Berlusconi diede di fatto il via libera all’evasione fiscale di massa. Sottraendo quelle entrate decisive per superare il gap.
Lo spiega bene Francesco Gesualdi nelle “Catene del debito”, un saggio che vi consiglio.
Torniamo all’oggi. Gravato da questo folle peso, senza la capacità di trovare risorse aggiuntive (tuttora prosperano criminalità, corruzione e evasione) l’Italia non può aspettarsi alcuna politica di ripresa, di riduzione di una pressione fiscale record (sugli onesti) al 50%, di investimenti pubblici, di incentivi all’occupazione. Quello che servirebbe.
Non è pensabile che un paese che vede crescere dal 3%, poi al 4% nel 2011, poi al 5% nel 2012 e oggi al 6% la “tassa debito” da pagare possa farcela. Pur essendosi dissanguato per 22 anni con il maggiore avanzo primario d’Europa. Tanto più che dal 2008, con l’esplosione della grande crisi da finanza impazzita. siamo entrati in avvitamento, abbiamo perso il 10% del Pil, la povertà in Italia è schizzata al 30% delle famiglie. Decine di migliaia di imprese hanno chiuso e la disoccupazione è esplosa al 26%.
Senza nessuna politica anticiclica da allora. Semplicemente perchè paralizzati dai vincoli di bilancio imposti dalla tecnocrazia di Bruxelles (e Berlino) e insieme dalla macina da mulino al collo, che ad ogni stormir di mercati ci ha imposto i suoi diktat. Monti e Fornero gli esempi preclari.
E veniamo a questi giorni elettorali, a questa kermesse mediatica ridicola e vergognosa.
Ancora una premessa. L’Italia che affonda, che non ce la fa a rimettersi in piedi da sola (per le ragioni esposte sopra) avrebbe disperato bisogno dell’Europa. Un’entità che abbiamo fondato, a cui destiniamo miliardi di euro togliendoli letteralmente dalla bocca dei nostri poveri e disoccupati, che onoriamo anche accollandoci 30 miliardi di euro di ulteriore debito pur di aiutare la Grecia. E che produce l’80% delle leggi che vigono anche da noi.
Noi però continuiamo a rimbalzare verso il fondo. Mentre per esempio la Spagna mostra, nelle ultime rilevazioni Eurostat, un segno positivo di crescita noi restiamo a segno meno. Il nuotatore affonda, continua ad affondare. Quando gli mancherà l’aria e comincerà a dibattersi?
Non una discussione, una, sulle proposte e i programmi.
Campagna elettorale per le europee a suon di cretinate e di insulti. Grillo contro Renzi, Berlusconi contro Grillo, e così via. Tralascio.
Invece, cosa ridicola che nessuno fa, dare uno sguardo proprio ai programmi.
Uno sguardo che non hanno dato i Formigli, i Flores, i Paragone. Con le loro trasmissioni che assomigliano, sempre più, a esternazioni senza domande, a lunghi comunicati stampa vocali. Forse i conduttori non sanno in quale paese vivono.
E non sanno nemmeno chiedere ai politici le cose elementari da loro stessi scritte.
Si scopre (segreto di Pulcinella) che sulla cruciale questione del debito pubblico, della cintura di pesi o se volete della macina da mulino, Pd, Cinque Stelle, Forza Italia, Ncd-Alfano, Lista Tsipras hanno tutti la stessa identica parola d’ordine: Eurobond. Ovvero un debito pubblico europeo.
Si scopre anche che tutti costoro propongono di tenere fuori dal tetto al 3% di deficit gli investimenti pubblici. La regola aurea che un tempo propugnava persino il professor Monti.
Per inciso. Scorrendo i programmi risaltano i “dieci punti” di Alexis Tsipras. La sintesi keynesiana più completa e coerente, che aggiunge agli eurobond, alla riforma della Bce anche una conferenza europea sul debito e un piano Marshall (di investimenti) per il sud-Europa.
Sarà per questo che le televisioni hanno di fatto chiuso la bocca alla lista Tsipras? Per impedirle di spiegare (non sono cose semplici) il suo progetto, competitivo con gli altri?
Restano fuori solo la lega del geniale Salvini e Fratelli d’Italia che puntano all’uscita dall’Euro. E gli ultralibersti di scelta europea che vorrebbero privatizzare anche strade, canili e spiagge.
Il dato paradossale è che, dietro gli insulti da stadio reciproci, l’80% dello schieramento politico italiano va quindi alle europe con idee (sulla carta) quasi identiche. Non solo gli eurobond (mutualizzazione del debito) ma una riforma della Banca centrale europea tale da finanziare gli stessi eurobond, prestare a tassi minimi agli stati, emettere liquidità per la ripresa (Pd, Forza Italia, Ncd, Lista Tsipras). In pratica, sembra un blocco keynesiano.
Si badi, Eurobond e riforma Bce sarebbero due bombe atomiche, due nuovi pilastri secolari per un Europa finora conservatrice e neoliberista. Una rivoluzione. Mica bruscolini. Sulla carta.
Incredibile, no, questa convergenza e, insieme, questo silenzio? La lettura incrociata di questi programmi ci dice implicitamente qualcosa di più di tutte le fregnacce che corrono sui talk show televisivi. Ci dice che l’80% dell’offerta politica italiana ritiene il debito pubblico il problema numero uno, che l’Italia da sola non ce la fa (come è avvenuto dal 1992 ad oggi) e che è vitale vincere la battaglia con la destra tedesca (Merkel) per ottenere quella “chanche” quantomeno per risollevare il paese.
Floris, toc toc. Formigli?
Se questo è vero ha senso che chi verrà eletto domenica sera vada in ordine sparso ad annullarsi nell’europarlamento di Strasburgo? O non sarebbe meglio dichiarare (e soprattutto perseguire) un’alleanza bipartisan per gli eurobond, per la vera riforma dell’Europa? E aggregarvi altri soggetti europei, magari senza distinzioni ideologiche?
European Keynesian Group? (Ekg) da proporre come nuova formazione a Strasburgo?
Mettiamo quindi da parte, a urne chiuse, puttanate, insulti e altro rumore. L’Italia sta male. E ha bisogno dell’Europa. Concentriamoci sul problema vitale. O diamo una svolta (vera) stavolta o siamo fottuti.
O meglio, siete fottuti. E parlo anche a Beppe Grillo.
Che condurrà i suoi 25 europarlamentati alla più assoluta irrilevanza.
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C’è un progetto,una speranza per gli italiani, dopo questo 25 maggio?