La visione (malscritta) di Monti

Ho letto con una certa attenzione “cambiare l’Italia, riformare l’Europa” , alias Agenda Monti.

Mi ha colpito, più che ciò che vi è scritto (ampiamente conosciuto dagli scorsi mesi nell’azione del governo e da vari documenti) ciò che non vi è scritto. Ovvero il senso di obbligatorietà europea che traspare da ogni riga dell’agenda. E la mancanza di un’agenda sociale, in un’Italia allo stremo.

L’agenda è un sistema di politiche  coerenti con il Fiscal Compact, sottoscritto dall’Italia, che impone dal 2014 in avanti un obbiettivo di riduzione del debito pubblico al ritmo di 2 punti di Pil annuo, fino al target finale del 60% del Pil.

L’agenda è il biglietto di ingresso, il solo secondo l’autore (o gli autori) per partecipare alla riforma dell’Europa in posizione non subalterna.

Perchè questo avvenga l’Italia deve sviluppare un’autentica metamorfosi. Da paese ingessato, stagnante, infestato da furbi, burocrati e sudditi a paese altamente dinamico, resilient, ma allo stesso tempo civico, rispettoso delle regole comuni. Con uno stato alleggerito e mercati aperti e concorrenziali. Un paese capace di crescere almeno al 2% all’anno e non in nero. E quindi di centrare gli obbiettivi (altrimenti pesantissimi) del Fiscal Compact, senza esplodere socialmente.

Creando persino un’Italia in inversione di tendenza dall’attuale progressivo suicidio demografico. Quindi probabilmente meno infelice.

Credo che sia questa, riassunta malamente (ma poi non tanto) la visione di Monti. Di sicuro è il segno dell’agenda Monti.

Di sicuro questo documento, se questo è il sogno (ed è un sogno di grande portata storica), lo comunica malamente.

L’agenda Monti è scritta in un terso, freddo linguaggio da economista, e a tratti da alto funzionario di Stato. E’ un documento programmatico professionale, ma non è un manifesto politico, capace di muovere animi e menti.

Questa, da uomo della strada che si informa, l’interpretazione della sostanza di quel documento.

Monti, e il network di economisti, ex-ministri, ex-colleghi e autorità europee, ha però un problema politico.

Sta proponendo all’Italia, nei fatti, un salto storico. Una sorta di decostruzione e ricostruzione del tessuto di regole e di istituzioni del Paese. Alla conferenza di fine anno l’ex premier non a caso  ha citato De Gasperi. Quello che propone ha precedenti simili solo con il 1946 di fuoriuscita dal ventennio fascista, e poi dalla guerra.

Altri, da allora, hanno lanciato programmi di rilancio. Come il roboante miracolo italiano di Berlusconi (finito in nulla, in condoni e evasione dilagante) oppure i programmi all’acqua di rose di D’Alema (vedi poi scalate private  a Telecom e Bnl). O infine il primo programma di Prodi, l’Italia che vogliamo, realizzato per un centesimo.

Quest’agenda è qualcosa invece di serio. Al suo centri c’è una visione (mal comunicata) di portata storica. La metamorfosi del paese da spazio di appartenenze, di gerontocrazie, di leggine, di lobbies, di caste, di congreghe di affari, di accordi sottobanco, di nero, di evasori, di elusori in un paese aperto dove si può ricominciare (e persino in meglio), dove dottorarsi non è l’anticamera dell’emigrazione….un paese aperto, dinamico. Dove è interessante vivere e rischiare, con un safety net per togliere paura al gioco sociale.

Questa visione andrebbe comunicata ai veri elettori di chi si riconosce nell’agenda: le giovani generazioni. Ma il documento non lo fa. E contiene anche qualche marchiano, macroscopico errore.

Perchè manca questo sforzo comunicativo, nonostante l’annuncio di Monti di voler parlare a tanti riformismi sparsi nello spazio politico italiano?

Perchè l’agenda non esplicita la visione e non contiene espliciti correttivi in termini di equità sociale (il suo principale punto debole)?

Credo per un, quasi inconscio, senso di monopolio e di obbligatorietà forzata. In altri termini: o vi mangiate questa minestra o saltate tutti dalla finestra.

Se l’Italia non seguirà l’agenda, la penalità non sarà quella di tenere Monti fuori dal governo, ma di ritornare in conflitto con la comunità, i governi, le istituzioni europee. E di conseguenza i mercati.

Il vero partito, diciamolo chiaro, che oggi sostiene Mario Monti.

E sarà il disastro.

E’ quindi una congiura contro l’Italia, l’agenda? Non credo. La necessità di una svolta è evidente ovunque. Specie per l’apertura di spazi nuovi. Per i giovani e forse le donne. Le forze oggi inutilizzate del cambiamento.

Ma il punto resta. Il salto storico è un salto storico. Richiede, come fu per De Gasperi e De Gaulle un blocco storico a sostegno del progetto e della visione.

E questo blocco storico può essere Pierferdinando Casini, e un partito, come è l’Udc brillante per indagati, amici di mafiosi e altro?

Non facciamo ridere, per favore.

Il blocco storico dell’agenda Monti (e soprattutto della sua visione) può avere al suo centro solo le nuove generazioni. La metamorfosi dell’Italia in sistema aperto non si fa in pochi anni, e nemmeno in poche legislature. La lezione appunto dai tempi di de Gasperi fino al centrosinistra del 62 è stata evidente: l’italia povera del dopoguerra si è aperta ai mercati mondiali, si è sviluppata in modo straordinario. Ma già dal 1968 in avanti ha cominciato a richiudersi su se stessa. Ogni shock successivo non ha fatto che accelerare questo ingessamento, queste trincee sociali. Sia nella classe dirigente politica, che nell’impreditoria pubblica e privata, nelle regole sindacali, nelle corporazioni.

L’Italia si apre se è con le spalle al muro. Raggiunto un minimo di status tende a richiudersi. Quindi la visione contenuta nell’agenda Monti è di lungo, lunghissimo periodo. E’ una strategia permanente di innovazione nel sistema.  Fatta da soggetti che da questa strategia ci guadagnano.

Sottoponiamo a un giovane laureato precario l’agenda Monti, così come è scritta. Leggerà tante belle cosette, anche ben condivisibili, ma resterà freddo.

Certo, la prospettiva di far valere la sua laurea in medicina, la sua sudata pratica ospedaliera in un concorso in cui già si sa che verrà scelto un suo collega, mediocre, ma di Comunione e Liberazione gli piace. Ma vede anche che nel campo montiano già si muovono i politici di Cl (Mario Mauro) . E allora?

Perchè nell’agenda non è esplicitato il no alla selezione per consorterie, oggi imperante?

Ma soprattutto. Il nostro giovane precario chiederà. Posso anche battermi per un’Italia più competitiva e mono protetta, ma con quale prospettiva di stabilità sociale (e non solo economica o finanziaria)?

Negli scorsi vent’anni, in tutto il mondo e in Italia, il liberismo ha prodotto una forte polarizzazione dei redditi e delle ricchezze. Combatto, alla fin fine, per perpetuarla e persino accrescerla?

A queste due domande Monti deve rispondere.

Se vuole un’Italia aperta ci deve spiegare quale strategia ha di  contrasto reale alle consorterie, siano essere Opus Dei, Comunione e Liberazione, massonerie varie, coop rosse e altre affiliazioni di potere minori…

E insieme quale “seconda faccia” (di stabilità sociale) dovrà avere la sua visione. Quale riequilibratore. Quale “agenda sociale” La presenza di questa potrebbe, a mio avviso, attenuare di molto l’attuale opposizione anche della Cgil.

Altrimenti la sua agenda è solo una ricetta obbligata europea. Una ricetta nella sostanza di tipo  liberista, utile, necessaria, ma monca e un po’ miope.

Non tale da coagulare intorno a un progetto una generazione. Non tale da formare un blocco storico stabile di governo. Non tale da generare autentico entusiasmo e speranza.

Non sono poi molte le correzioni da apportare all’Agenda. Se credibili e ben fatte (così come sono credibili quasi tutte le misure contenute nello scritto) potrebbero portare davvero a un “manifesto per la metamorfosi italiana”.

Ma se Monti vuole insistere solo sul riferimento politico a un centro conservatore, lasciando l’agenda sociale di pertinenza del Pd, liberissimo di farlo.

Monti governerà con Bersani? Ok. La sua agenda, quella di oggi, non invade il campo elettorale e di consensi del Pd? Bersani si occuperà di gestire l’opposizione di Cgil e di Sel? Ok.

Un gioco delle parti. Insomma.

Forse necessario. Ma è un peccato che l’agenda Monti, chiaramente dimezzata, non appaia in termini di progetto compiuto e ben comunicato. Avrebbe potuto risollevare tanti, giovani e non, dalla rabbia o dalla depressione.

P.s. Caro professor Monti, oggi si insegna con la partecipazione attiva degli studenti. Pertanto le consiglio che la prossima versione della sua agenda se la faccia scrivere non da un attempato ordinario ma magari, da uno come Matteo Renzi. Vedrà la differenza.

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