Il coraggio di combattere per gli Stati Uniti d’Europa

Il superstato neo liberista, amico dei poteri forti del continente (Banche, Finanza, grandi imprese, lobbies) e indifferente alla crescente disuguaglianza, all’impoverimento degli strati deboli, è entrato ufficialmente in crisi ieri, 23 giugno 2016. E oggi, giorno di San Giovanni, questa crisi  è esplosa sui mercati finanziari, e sulla geografia politica dell’Europa.

La Brexit inglese, votata dai più poveri e indifesi, è un rifiuto della globalizzazione disumana, dello smantellamento dello Stato sociale operato in tutto il continente negli scorsi decenni.  E’ un rifiuto della perdita di ogni protezione. Fino a tramutarsi in paura xenofoba.

Spagna, Francia, Olanda, forse persino Italia potrebbero seguire la strada inglese. Il paventato effetto domino.

C’è un motivo economico preciso. Dalla crisi finanziaria del 2008 l’Europa (eccettuata Germania e satelliti) continua a strisciare sul fondo della deflazione. La ripresa, tanto strombazzata ad ogni discorso, è una chimera. Da dodici anni ci prendono in giro, aspettando che le forze del libero mercato ci tirino fuori dai guai, del tutto comuni.

E’ una grande truffa. La ripresa non ci sarà mai perchè siamo in una situazione che alcuni economisti (come Larry Summers, ex ministro di Clinton e rettore di Harward) chiamano “stagnazione secolare”, ovvero una sovrabbondanza di capitale (privato) rispetto a opportunità di investimento sempre più asfittiche.

Semplice. Se a livello globale, per decenni, privilegi i profitti sui salari hai alcune interessanti conseguenze. Questi profitti si accumulano in una massa enorme di capitale, da remunerare costantemente. Mentre i percettori di salari, relativamente sempre più poveri, attivano domanda, consumi e investimenti diretti e indiretti in misura decrescente.

Quando il pianeta esaurisce le aree da sviluppare, inoltre, ecco che si entra nella stagnazione secolare.

La Cina è satura, l’Asia è satura, L’Africa e il Medio Oriente sono nel caos, l’America latina è in involuzione. L’Europa è in deflazione, gli Usa hanno fatto politiche fiscali formidabili (Obama, senza dirlo troppo) ma ormai sono saturi anche loro. Dove si investe, dove si trovano rendimenti?

La grande transizione energetica verso la sostenibilità non è (ancora) redditizia. Deve essere sostenuta artificialmente con incentivi pubblici. Persino il mondo digitale, con due miliardi e passa di smartphone, appare relativamente saturo.

L’Europa affonda dentro questo dilemma da fine esausta del neoliberismo squilibrato (a favore dei ricchi e super-ricchi). La gente vede il ghigno arrogante di Juncker e dice, almeno lui se posso lo cancello. Lui con la sua burocrazia di Bruxelles, con il suo pareggio di bilancio in costituzione, il suo Fiscal Compact, il divieto di aiuti di stato alle aziende che chiudono, le sue normative Invasive che arrivano alla ricotta e ai formaggi.

E’ una catena, un complesso di cause e effetti, che porta al rifiuto dell’Europa. Al rifiuto dell’Euro. Non si può più svalutare la lira, e va bene. Ma allora si tornava a lavorare, anche se con inflazione più alta. Oggi si sta a casa a marcire.

Niente, nella gabbia di un debito pubblico creato, dal 1981 in avanti, per entrare in Europa. Prima nello Sme e poi nell’Euro. Ci siamo svenati pagando interessi a ricchi e banche internazionali. E cosa in cambio? Oltre 20 anni di stagnazione e di austerità dura, per tenere i conti. Ne è valsa la pena?

Possiamo pensare che non tutto il male sta venendo per nuocere? Che questa ondata emergente di rifiuto del sistema neoliberista europeo possa cambiare finalmente le cose, rompere le inferriate della gabbia?

Quello che l’Europa chiede, a mio avviso, non è la disintegrazione politica del continente ma un “Superstato keynesiano”, capace di spezzare il circolo vizioso della stagnazione secolare.

Oggi le classi deboli europee chiedono a gran voce investimenti. Chiedono la ricostruzione di larghi pezzi di welfare state, chiedono una “safety net” che li assicuri del futuro, il risveglio della scuola e della sanità pubblica. Chiedono quello che Obama ha fatto per rispondere alla crisi del 2008. E l’Europa no.

E allora che lo sappia l’opinione pubblica tedesca. Di questo passo l’Euro è metematicamente morto. Conviene cambiare registro, costruire un “superstato keynesiano”.

Mettere in comune grosse quote dei debiti pubblici, istituire un ministero economico e fiscale europeo, quantomeno. Stampare moneta non solo per comprare debito pubblico e bond esistenti ma per canalizzarla in investimenti diretti.

Solo così si ferma il disastro, la bomba a tempo.

Quindi: cambio completo della dirigenza di Bruxelles, a partire dall’odioso Junker. Un esecutivo di radicale cambiamento. Un progetto di ampio respiro, una svolta comunicata subito.

E qui spero che esca dal pallone Matteo Renzi, fin da lunedì prossimo in occasione del vertice straordinario. Questa è la vera alternativa a quella schifezza suicida di referendum costituzionale più legge elettorale truffaldina.

Tutta Europa, Italia compresa, chiede di uscire dalla crisi. E c’è solo un progetto credibile possibile. Difficile, rivoluzionario ma possibile: gli Stati Uniti d’Europa.

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P.s. Leggo con piacere un’intervista a Giulio Sapelli, economista che stimo, sul Fatto Quotidiano. Parla, senza perifrasi, di “Stati socialisti d’Europa”.  Io non arrivo a tanto.

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