La tragedia del Pd renziano

I dati delle ultime amministrative, con le macroscopiche perdite di voti del Pd, mi confermano in una sensazione. Renzi ormai sta sulle balle agli italiani. E’ la solita ciclica storia, simile a quella di Berlusconi. La storia di continui bluff dal 1992 ad oggi, in un’Italia schiacciata dal debito pubblico, che non può permettersi manovre economiche di reale rilancio, che continua a distruggere il suo welfare state, svende beni comuni e soprattutto aumenta le tasse. Leader e formazioni politiche di successo che poi si bruciano.

Renzi doveva essere colui che offriva una via d’uscita all’eterna crisi dopo la cura da cavallo Monti del 2011. Ci presenta invece come soluzione una dose aggiuntiva, e forse mortalmente decisiva per la nostra democrazia, di autoritarismo istituzionale (lui lo chiama decisionismo). Una legge elettorale truccata, nominata, ad uso solo dei potenti partitici. E una non abolizione del Senato a favore di nominati regionali.  Ma con la Merkel, con l’Europa, dove si gioca la partita vera, non ha cavato un ragno da un buco.

Il debito, sì, è per ora tamponato  temporaneamente e artificialmente da Draghi e dalla Bce ma i margini di spesa resi disponibili vanno alle emergenze, in primis quella (vera) dei migranti.

Dal 1992 (fate il conto, 24 anni quasi l’eta’ di mio figlio) l’Italia è dentro una situazione ininterrotta di lacrime e sangue, di austerità. E si svena per pagare interessi alle multinazionali finanziarie (comprese quelle interne) e a una piccola classe patrimonializzata sempre più ricca. Si svena fino a non fare figli, a emigrare, a impoverire i suoi centri di sapere più alti. E a cadere dentro il livello statistico di povertà.

Il Pd oggi non ha una ricetta, una prospettiva credibile di uscita dalla lunga crisi italiana. Qui sta la fine di Renzi.

Propone solo di deformare la nostra povera democrazia in un sistema autoritario, chiuso, blindato su un centro di comando al vertice. Una falsa e perniciosa soluzione.

Sarebbe invece molto meglio che si sostituisse in velocità a quell’inutile e  dannoso referendum un’altra consultazione. Un referendum sull’Europa, come stanno facendo gli inglesi. Un referendum sul fiscal compact, che ci incatena alla più dura austerità di bilancio e di riduzione interna  (impossibile) del debito per gli anni a venire.

Persino l’ultima relazione della Banca d’Italia fa proprio l’obbiettivo di un debito pubblico europeo, così come quello federale Usa portò nei fatti alla nascita degli Stati Uniti d’America. Dietro il referendum si potrebbe scrivere: o Stati Uniti d’Europa oppure ce ne andiamo. Perchè a poco a poco stiamo morendo!

 

 

Questo referendum sull’Europa magari sarà solo un grande punto di dibattito. Ma almeno servirà a mettere in chiaro, da Berlino a Parigi a Bruxelles, che anche noi italiani siamo stufi. Peggio degli inglesi. Che vogliamo uscirne. Cinquanta milioni di voci italiane che dicono: basta!

Riguardo alle amministrative, e da milanese (ex sostenitore di Pisapia) vedo quel movimento arancione in cui ho militato come una vittima, stritolata da quel 2011 di quasi fallimento dell’Italia e che anche a Milano è costata la fine repentina di un sogno. Che ha messo Pisapia in una situazione di sudditanza al Pd di Renzi. Mi spiace che oggi il movimento 5 stelle milanese non sia abbastanza forte da rigenerare speranza (temporanea), e mi spiace che sia la destra (compresa quella lepenista e ciellina) a dover di nuovo prendere il controllo della città.

Rendiamoci conto però che qualsiasi esperienza politica, bella e brutta, sfiorisce rapidamente (e sfiorirà anche il 5 stelle a Roma) perchè dovrà governare un’Italia incatenata, e da 24 anni, alle assurdità di un debito pubblico, fin dal 1981, peggio gestito del mondo.

Dovrebbe essere un tema bipartisan. Invece tutti zitti.

Ma chi oggi non va a votare in realtà chiede: Cosa stanno facendo? Quando e come ci libereremo da questo incubo?

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