I 60mila di Milano

Milano ha una caratteristica nascosta. Ma impressa nella sua storia. Non è una città di sudditi. Da quasi 50 anni è la capitale italiana delle iniziative alternative. Un lungo percorso, ancora da raccontare. Dai negozietti con abiti colorati a mano degli anni 70, alle bancarelle del cuoio artigianale, ai centri culturali messi su in uno scantinato, le librerie con testi politici e esoterici spesso fotocopiati da rari esemplari di biblioteca, i centri studi polverosi, i comitati di quartiere antifascisti e  comunisti (dal basso), poi i centri sociali, quindi i punti alimentari biologici, le cooperative agricole e di orticoltura, i gruppi di acquisto solidali (Gas, la rete più fitta d’Italia), i comitati  permanenti per zona, prima per Pisapia e poi per Milano. E insieme la galassia del volontariato e del non profit, dalle ambulanze alla regina, simbolo di questa Milano: Emergency.

E anche altro: centri di coworking, startup sociali….La mia stima, ricavata sulle 700 iniziative esistenti in Zona 3 è di 6mila iniziative circa in corso. 10 persone per iniziativa? Ragionevole: un popolo di 60mila persone attive, Gli eredi (ma anche “nonni”) del miglior 68 italiano. Quello che preferì il fare allo sparare. E’ così riuscì a durare.

A questi 60 mila possiamo tranquillamente aggiungerne altrettanti come “corona attiva”. Professionisti con ideali progressisti, funzionari pubblici puliti, docenti elementari,delle medie, dei licei e universitari.

120mila persone almeno, quasi tutte ormai di ceto medio. Alcuni imprenditori famosi come Gismondi di Artemide-Abaco, altri in apparenza semplici pensionati. E insieme i giovani di Emergency, Libera, Action Aid, Oikos e altri nomi del non profit.

Non ha coscienza di sè questo popolo cruciale di Milano. Questa è la mia tesi. Questi 120mila sono infatti l’unico detonatore di una rivoluzione necessaria (vedi il post sopra). La rivoluzione degli investimenti vitali per Milano e per 25 milioni di padani.

Come sviluppare questa coscienza di sè del miglior segmento sociale di Milano? Quale forme di rappresentanza e soprattutto di azione politica e economica?

Questi 120mila saranno in grado di innescare, con il loro esempio soprattutto, una reazione a catena in una città che custodisce (improduttivamente) circa 1000 miliardi di patrimoni familiari, solo per il 10% investiti sull’Italia? E questa reazione a catena si potrà spargere per tutta la padania liberandola dall’incubo “strutturale” della camera a gas (incubo che crescerà con il clima che comincia realmente a dare segni di squilibrio).

Questi 120mila sono l’antidoto potenziale a quello che definisco come lo Stato fallito italiano (vedi post precedente). Potenziale.

Per passare dal potenziale al reale sarebbe necessaria un seria riflessione allargata su quanto “rende” un bene pubblico. E quanto far “rendere” un bene pubblico.

Se infatti Milano (o la Padania, fino a Venezia e Bologna)  ha un “bene pubblico” (l’aria) tale da dterminarti un canco o un infarto, quanto ti “rende” un’opera che aiuta a ridurre questo rischio, a te, ai tuoi figli, ai tuoi nipoti? Qual è il rendimento “non economico” di questo tuo contributo?

L’intera padania è un caso di gigantesco “fallimento del mercato”. In questi casi sono gli stati, ci dice la teoria economica, a dover intervenire, per ridurre le “esternalità negative” delle attività economiche. Ma se lo Stato è paralizzato da un mostruoso debito architettato da Carlo Azeglio Ciampi e Nino Andreatta fin dal 1981 per “arginare” socialisti e comunisti, subito perso di controllo via speculazione, squali, interessi automoltiplicativi (anatocismo) e poi sfociato nel quasi fallimento dell’Italia nel 1992? Se il nostro Stato è ancora questo, se il nostro stato  fallito ci torchia, a noi onesti, al 42% del reddito (ed è ancora questo, per di più sotto tutela di un filandese e e di un lussemburghese), se ci elargisce, in risposta alla camera a gas, ben 12 milioni di investimenti (e un connesso solito sacco di balle per 400 milioni di lungo periodo), come ne usciamo in Padania?

Una prospettiva positiva è possibile. Partendo dai 120mila di Milano è possibile costruire, insieme, un programma di iniziative, di opere, e di public companies per cominciare a dare il segno a Milano , della nuova direzione del Nord Italia.  Un programma alternativo in senso autentico, non una inutile suppplica ai falliti, ma capace di portare a soluzioni.

Meglio se questo movimento dal basso trovi un alleato forte nella pubblica amministrazione. Per esempio su una public company per il completamento e poi la gestione della circle line che ci serve (e non quelle due linee in finto project financing  – 180 milioni annuii di tassa a Impregilo e Astaldi per 30 anni – chiamate M5 e M4, a carico delle nostre tasche). Con una circle line, stazioni efficienti, e magari un secondo passante Milano potrebbe proibire a tutti di entrare in città con un mezzo a combustione, dato che il sistema di trasporti per i pendolari sarà agevole e completo (e controllato dai cittadini-investitori).

Stiamo parlando di 7milioni di tragitti a combustione in meno ogni 12 mesi.

E’ solo un esempio. Io non ho la minima idea di come questa rivoluzione si possa fare. So solo, da milanese, che ne ho pieni gli zebedei e che la voglio.  E non voglio più parole. Per mio figlio, per mia moglie e per me. E per i restanti 1,3milioni di fratelli con cui condivido questa bella città.

 

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