(Quantitative) Easing Tsipras

Nel post precedente, sfruttando l’analisi di due valenti economisti,  postulo uno scenario forse possibile, o forse persino obbligato.

Il Quantitative Easing (Qe) verrà avviato a marzo e durerà fino a quando la deflazione in Europa (la discesa dei prezzi) sarà invertita, dai valori negativi di oggi a una risalita fino al 2%.

Per far questo l’eurosistema (Bce e  le 19 banche centrali  dell’eurozona) acquisterà debito pubblico per 1100 miliardi di euro, generando pari liquidità (a disposizione delle banche e poi dei mercati finanziari) e contribuendo a una netta discesa dei tassi di interesse sui debiti statali.

Il tutto avverrà contemporaneamente nei 19 paesi, come è spiegato nel post precedente.  Mai si era vista un manovra finanziaria pan-europea tanto ampia e sincronizzata. E sui debiti pubblici.

Il post precedente, ancora, segue le considerazioni di Giavazzi e Tabellini. Se il Qe dovesse divenire permanente, ovvero l’Eurosistema non procedesse a tempo al rientro sui titoli di stato acquisiti, si avrebbe di fatto un effetto di “congelamento” di ampie porzioni di debito pubblico nei 19 paesi.  E se dovesse continuare ben oltre il 2016, di fatto il Qe permarrà nell’azione di abbassamento del costo del servizio del debito.

Una prospettiva che non è uno scherzo per paesi come l’Italia, con un debito pubblico che ci costa il 5% del Pil (avanzo primario necessario a servirlo, primo al mondo), ovvero 80-90 miliardi prelevati dalle nostre tasse e destinate ai detentori (banche, famiglie italiane, investitori internazionali) dei titoli di stato. Un macigno su di noi che pesa dal 1992, l’anno di infausti personaggi come Bettino Craxi e Giuliano Amato (per inciso, il secondo figuro ce lo siamo appena scampati come presidente della Repubblica, grazie a Renzi che ha mandato a quel paese il solito Berlusconi).

Ma lasciamo perdere gli squallori di casa nostra….

Avere un alleggerimento di 130 miliardi (che vanno sommati ad altri 100 già nelle casse di Banca d’Italia) significherebbe congelare quasi il 10% del debito, ovvero oltre mezzo punto di Pil da destinare a investimenti per la ripresa. Non poco. E mettiamoci anche l’effetto minori interessi. su tutta la montagna debitoria. Parliamo di 10 miliardi annui per riprendere a respirare?

Non solo. Negli Usa la Fed ha dovuto pompare nuovi dollari  per cinque anni filati prima di avere consistenti segnali macroeconomici positivi. Ed è intervenuta praticamente subito dopo l’esplosione della crisi. La Bce invece avvia il suo easing con altrettanti anni di ritardo, con paesi irriconoscibili sulla situazione pre-2008, ferite profonde dell’Europa che non si rimargineranno con un colpo di bacchetta magica.

Quindi il Qe europeo sarà “lungo”, lungo e crescente. E finirà per trasformare (spero in meglio) l’Unione stessa. Sarà un mix di disciplina di bilancio e di manovre reflattive. Di bassi tassi di interesse, di congelamento e consolidamento dei debiti. E,  probabilmente, di emersione de facto di un governo dell’economia continentale.

E questo potrebbe succedere per Bruxelles, per Francoforte e per tutti i 19 paesi dell’eurozona. Domanda: anche la Grecia?

Tsipras chiede esattamente questo, un alleggerimento del debito tale da evitare alla Grecia di dover procedere a un avanzo primario “all’italiana” in grado di  mantenerlo (non ripagarlo perchè un debito pubblico al 170% del pil non è ripagabile, come concordano anche 300 economisti).

Ma il 5% di surplus per un paese stremato com’è la Grecia è impensabile.

Tsipras, di fronte al netto rifiuto da parte dei paesi dell’eurozona “creditori” di concedere una cancellazione parziale del debito, ha avanzato un piano b: un prestito ponte fino a giugno, ovvero fino a un possibile accordo con l’Unione europea su un piano di risanamento e crescita fatto dal governo greco, e diverso dalle passate imposizioni della Troika.

Si approssima infatti, per il nuovo governo Tsipras, un semestre da incubo (ma non molto serio).

La danza comincerà a fine febbraio, con la review da parte della Troika degli impegni per il 2015.  Samaras, il predecessore, non aveva fatto abbastanza in termini di tagli, privatizzazioni, distruzione di servizi e beni pubblici. Tutto è stato spostato avanti di due mesi. Guarda caso a carico del governo di sinistra.

Nel caso che Tsipras chini la testa alla Troika dovrebbero arrivare nelle casse di Atene 1,8 miliardi dell’ultima tranche di prestiti europei, e la Bce dovrebbe girare alla Grecia 1,7 miliardi di interessi via via maturati sui bond greci.  Non solo: l’Imf contribuirebbe per 3,5 miliardi. In totale 7,3 miliardi in entrata.

Oltre alla promessa (promessa) per l’inizio del 2016 di un intervento finale dell’Fmi per 13 miliardi.

Ma si tratta di cifre virtuali. Nel solo primo trimestre 2015 la Grecia dovrà versare 2,5 miliardi all’Imf e 2,5 nel secondo trimestre. E tra luglio e agosto Atene dovrà rimborsare la Bce per 6,7 miliardi di bond acquisiti dalla banca centrale nel 2010, all’epoca della crisi ellenica acuta.

Nb.(Tutte le cifre sono di fonte Economist). E il pagamento a breve di 2,5 miliardi significa di fatto il fallimento dello stato.

Morale, una mortale partita di giro in cui (a patto dell’ennesima sottomissione alla Troika) la Grecia riceve 7 miliardi di aiuti, ma contemporaneamente e subito dopo deve versarne oltre 11 agli stessi soggetti generosi titolari del “piano di aiuti”. Una faccenda ridicola, se non fosse tragica per i bambini greci senza medicinali e assistenza sanitaria.

Dove si è mai visto che un paese oggetto di un “piano di salvataggio” deve versare 4 miliardi netti ai suoi (supposti) salvatori? E con scadenze da strangolamento?

Non è il caso di cancellare tutto? (e cancellare, in questo mondo istituzional-diplomatico significa rinviare, e poi rinviare di nuovo….)

Non è il caso di un programma temporaneo, quale quello che chiede Tsipras?

Eppure la Grecia oggi è un paese con un leggero avanzo primario, un’economia prevista in ripresa al 2,7%, una bilancia dei pagamenti in attivo….La Grecia, se non avesse l’incubo dei pagamenti alla Troika e il peso dell’enorme debito, sarebbe un paese europeo pienamente eleggibile per il programma di iniezione di liquidità della Bce. Pareggio di bilancio in primis.

Il prossimo 11 febbraio la questione greca verrà discussa dall’Eurogruppo. Ma le previsioni restano negative, i falchi (tedeschi in primis) vogliono imporre la permanenza della Troika, ovvero una Grecia senza sovranità, commissariata, garantita solo da tecnocrati liberisti. E infine derubata, cifre alla mano.

Sarebbe bene che l’Eurogruppo facesse chiarezza abolendo, di fatto, l’assurda partita di giro dei prossimi mesi (in cui comunque la Grecia rischia il fallimento – e l’uscita dall’euro) per reimpostare completamente, e in modo sensato, la questione.

I nuovo governo greco, al contrario, ha promesso sulle piazze di liberarsi da questo giogo della Troika. Ne va della sua credibilità presso il suo popolo, e se fallisse l’alternativa sono i nazisti di Alba dorata (già oggi terzo partito).

Una Grecia disperata, fallita e nazista nel cuore d’Europa?

Questo per il primo lato della barricata.

Passiamo al secondo.

Vediamo il vero, autentico problema politico. Che sta in Germania. L’equilibrio politico tedesco, anch’esso, è diventato fragile (e mobile). I giornali di destra non fanno che terrorizzare i tedeschi sui loro soldi, i loro risparmi. Che verranno rubati dai paesi ladri corrotti e fannulloni del Sud Europa. I Piigs. Alternative for Deutschland sta crescendo su questa paura, sottraendo voti conservatori alla Cdu.

Ogni percepito cedimento del governo Merkel accelera il travaso. E la Grecia è il primo e maggiore test.

C’è poi un problema di contagio politico.  Supponiamo che alla Grecia venissero accordate condizioni particolari e  misure straordinarie (come quelle chieste da Tsipras), cosa avverrebbe in altri paesi in cui stanno crescendo partiti e movimenti con richieste analoghe? Per esempio Podemos in Spagna (24% nei sondaggi, davanti al partito socialista spagnolo), la Lega di Salvini e l’Altra Europa in Italia, il Sinn Fein irlandese….Tutti costoro avrebbero buon gioco nel “facciamo come in Grecia” (vincente sulle piazze) sino alla disintegrazione dell’Eurozona.

Rischio Grecia (nazismo), rischio interno Germania, rischio contagio. Come uscirne?

Ribaltando completamente i termini della questione. La crisi greca è parte di una crisi sistemica dell’Europa. Non va affrontata assolutamente come negoziato bilaterale (Grecia contro Europa). Che in ogni caso sarebbe perdente (e esiziale).

La crisi europea è una crisi di un sistema istituzionale lasciato a metà. Disfunzionale. Incapace di gestire l’esplosione finanziaria del 2008. E solo ora, con il Qe, sulla strada di una prima, parziale risposta.

Lo mostra con evidenza un semplice confronto con gli Usa, oggi in forte ripresa. Qui un solo debito pubblico federale è stato ampiamente finanziato da una sola banca centrale federale (Fed) consentendo al governo un deficit spending senza precedenti. E questo sta risollevando gli Usa, mentre Obama si permette di avviare politiche fiscali anti-disuguaglianza e di tuonare contro l’austerità autodistruttiva (tanto cara ai nord-europei).

E allora? Allora bisogna trovare una soluzione concreta, ampia, lungimirante, win-win per tutti i 19 dell’euro gruppo. Ma anche mascherata, spalmata nel tempo, non alla portata mediatica di un Salvini.

Che cosa realmente serve alla Grecia? Di non dover spremere un avanzo primario del 5% del Pil per sostenere un debito palesemente insostenibile (peraltro fatto di prestiti della Troika per ripagare banche tedesche e francesi). A Tsipras serve una netta riduzione del servizio del debito, una moratoria de facto sugli interessi. Ovvero un debito a interesse zero, agganciato ai rendimenti attuali e futuri dei bund tedeschi (ai minimi grazie al Qe). E, siccome il debito di Atene è in mano a Bce e Fmi, a loro spetta l’indicizzazione (tramite cambio dei loro bond greci) in raccordo alla pari con il Qe.

Un debito a interesse zero è nei fatti solo una posta contabile.

E la soluzione per la Grecia è riportarla alla pari con gli altri paesi oggetto del Qe. Nè più nè meno.

Quindi un Qe permanente a cui possa partecipare alla pari anche la Grecia (perchè infatti la Grecia dovrebbe restarne esclusa, dopo tutti i sacrifici che ha fatto?). Sarebbe una moratoria sugli interessi, de facto. E non è facile, dato che i titoli di stato greci sono fuori mercato, declassati (dai soliti boss del rating) a spazzatura. Ma è possibile. E qui Bce, Fmi e Commissione europea (alias Troika) che detengono il debito pubblico ellenico, possono lavorarci, invece di imporre riforme punitive alla Grecia. Collaborando invece al programma umanitario e di ripresa del governo greco. Su un progetto sviluppato insieme.

La Grecia quindi partecipa, come membro dell’Europa, al cauto e controllato processo di formazione di un necessario debito pubblico federale europeo. E magari a connesse nuove istituzioni.

Con un vantaggio politico. In questo caso la Troika potrebbe trasformarsi, da percepita  entità affamatrice e distruttiva, in soggetto positivo, che sostiene e aiuta.

Vedremo se l’11 febbraio emergerà un po’ di buon senso. Per quanto mi riguarda questa mi pare la via maestra. Un processo graduale e inclusivo, non troppo esplicito ma win-win. Aperto al futuro di un’Europa compiuta.

Ovviamente, un approccio di questo tipo alla soluzione dell’emergenza greca sarebbe nei migliori interessi italiani, spagnoli, portoghesi, francesi. Di tutti i paesi europei gravati da pesanti debiti. E che invece troverebbero dentro un Qe sempre più centrale una via d’uscita comune e razionale. Di sicuro sarebbe meglio rispetto a un semplice accordo bilaterale tra Bruxelles e Atene. Anche se il Qe verso la Grecia dovesse rivelarsi un po’ “speciale”.

Meglio di sicuro del trauma della sua uscita dall’Euro, con prevedibili effetti di contagio su altri paesi. Primi tra tutti  i più indebitati, come nel 2011. E ce li ricordiamo bene quei mesi.

Una soluzione per Atene, quindi, ma anche per noi.

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D. Voi dite che bisogna rispettare il voto della Grecia, ma non bisogna rispettare anche il voto tedesco, olandese o finlandese?
R. Guardi, il punto è che la struttura dell’Europa è profondamente non funzionale, l’unica possibilità di sopravvivenza di un’economia comune è avere un bilancio comune, un governo che spende che tassa. Si parla sempre di Fiscal Compact ed è una citazione del Fiscal Compact degli Stati Uniti di inizio 800.
D. Quindi?
R. La prima parte prevedeva regole ferree per il bilancio, ma ce n’era una seconda di cui non si parla mai che diceva che il governo centrale si prendeva carico dei debiti dei diversi Stati.

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