Effetto valanga?

Sono andato a Bologna, l’altroieri, per l’assemblea dell’Altra Europa per Tsipras, la lista per le europee dello scorso maggio divenuta, non senza fatica, un movimento stabile. Con l’obbiettivo di riunire tutta la sinistra italiana intorno al programma di Alexis Tsipras, dieci punti che vertono su un “new deal europeo” e una rinegoziazione dei debiti pubblici, a partire dai paesi in crisi.
Così come mi ero entusiasmato quando, ad aprile, lessi questi dieci punti ho provato entusiasmo a Bologna. E non tanto per i discorsi, pur condivisi, di Marco Revelli o di Barbara Spinelli, o di altri italiani. Quanto per l’intervento di una giovane spagnola e di un più attempato greco. Podemos la prima, movimento completamente nuovo e accreditato del 27-28% alle prossime elezioni in ottobre. Syriza il secondo, che domenica prossima si proverà a superare il 31% dei consensi, con l’obbiettivo di poter governare in autonomia il paese.
In tanti a Bologna hanno immaginato una continuità sud-europea di queste forze di sinistra. Manca all’appello l’Italia, almeno finora.

La partita di Syriza, se vinta (come è quasi certo) sarà però il primo segnale. Che darà forza agli altri. A Synn Fein in Irlanda, a Barriera Umana in Croazia, a Podemos. Alla fine del 2015 il panorama politico europeo potrebbe essere ben diverso da quello di oggi. Con una vera inversione di tendenza dai trent’anni di neoliberismo squilibrato che abbiamo vissuto. Un mondo di diseguaglianze crescenti, di esclusioni, di privatizzazioni distruttive, di crisi fatte pagare ai più deboli.
Se questo effetto valanga, questa sinergia multipla prenderà forza, è abbastanza facile prevedere che avrà un impatto anche in Italia. Soprattutto se Tsipras riuscirà a fare qualche passo avanti concreto sul suo obbiettivo chiave: una conferenza europea sui debiti pubblici, per ristrutturarli.
Qui è la sostanza della grande stagione di conflitto che sta per aprirsi in Europa. E l’Italia, che ormai viaggia a un debito pubblico del 140% del Pil e 100 miliardi annui di interessi (nostre tasse, nostri mancati servizi che vanno a ingrassare banche e patrimoni) credo che sarà molto molto interessata a questo conflitto tra Grecia, Spagna, forse anche Irlanda contro Berlino, la tecnocrazia di Bruxelles e di Francoforte.

Credo che persino l’elettorato francese sarà interessato.

Sul piatto c’è un nuovo inizio, un nuovo futuro non solo per i popoli dei paesi europei in crisi, ma di tutti i paesi dell’Unione, popolo tedesco compreso. Sul piatto c’è l’inversione di un lungo ciclo, avviatosi negli anni 80, che ha fatto del mercato il suo feticcio e ha progressivamente demolito quello che un tempo qualcuno definì il “sogno europeo”.
Questa inversione sarà cruciale per far entrare aria fresca e giovane in uno spazio invece sempre più ammorbato da nauseabondi lezzi di guerra.

Per noi sul piatto c’è una ripartenza strutturale dell’Italia. Tagliare di 50 miliardi annui l’emorragia da interessi, il regalo che facciamo ogni dodici mesi a banche e rentiers, significa avere finalmente spazio per investimenti, un reddito di base oltre la Cassa integrazione in deroga,  venture capital per i giovani, sgravi fiscali consistenti. Iniezioni di fiducia, la percezione che il peggio è alle spalle.

Un esempio di cosa si potrebbe fare lo trovate qui. Ci abbiamo lavorato in undici a questo documento, un po’ diverso dai canoni tradizionali della sinistra italiana.

Non ho mai visto un’opportunità politica tanto grande non tanto per la sinistra, ma per l’Italia.

Che fu condannata a questo lento strangolamento, mai interrottosi in 30 anni, nato da una delle prime grandi operazioni neoliberiste avviate in un paese europeo: il cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Ovvero i titoli di stato, i bot, venduti all’asta sul mercato aperto. E non più immessi, a prezzo fisso, nelle riserve bancarie.

Con l’inflazione al 20% di allora era facile prevedere che gli interessi sul debito sarebbero schizzati. Schizzarono e lorsignori non riuscirono a pagarli tutti, mettendoli a nuovo debito. E così via, per anni e anni. In un ciclo infernale.

Come spiega l’analisi di Francesco Gesualdi, da allora ci siamo svenati per pagare interessi sugli interessi. Nè la Banca d’Italia nè il Tesoro, gli apprendisti stregoni, sono riusciti a governare questa automoltiplicazione finanziario-mercatista  del debito (innescata dalla grandiosa politica di spesa pubblica clientelare di Bettino Craxi e Giuliano Amato).

Nonostante il fatto che l’Italia sia stata messa sotto il torchio di politiche di austerità fin dal 1992, ( l’anno del suo primo fallimento) a nulla è servito. Altro che crisi del 2008. Noi la soma ce la siamo tenuta addosso per 22 anni filati. Senza venirne a capo, nonostante promesse, chiacchiere, barzellette e leader televisivi.

22 anni. Pensate. E non c’è un economista che dica che quella decisione del 1981 fu una scommessa scellerata. La peggiore operazione di politica economica nella storia del paese. Soprattuto per come fu gestita (e non gestita) dai vari governi (Tommaso Padoa Schioppa unico escluso).

Oggi l’Italia dà la misura storica di quanto soffre. Ha il primo avanzo primario pubblico del mondo. Per reggere il macigno lo stato italiano deve succhiare un ammontare imponente di risorse ai suoi cittadini, tagliare i servizi essenziali, nascondere la sua paralisi ad ogni manovra di rilancio positiva. E regalare i nostri soldi a un sistema di parassiti, a banche che lucrano sui titoli di stato ma non prestano agli imprenditori, nè muovono l’economia. E a quel sistema di super-ricchi partimonializzati, l’1% della popolazione mondiale, che si avvia, secondo Oxfam, a superare il 50% della ricchezza globale. E che ha guadagnato dalla crisi.

Dentro quel 50% non c’è solo la diseguaglianza. Ci sono  33 anni filati di “contributi” del popolo italiano. Estratti (legalmente, per carità) dal nostro lavoro e dalle nostre vite per riempire un gran secchio bucato. Gesualdi ha calcolato che, sommando tutti i pagamenti di interessi, il debito ce lo siamo ampiamente ripagato. E invece stiamo sempre peggio.

 

Siamo un paese “virtuoso”, ma anche cornuto e mazziato (secondo Frau Merkel siamo una “cicala”).

In realtà noi abbiamo pagato dal 1980 ad oggi la bellezza di 3447 miliardi di interessi, secondo una ricostruzione di Scenari Economici . Accettando (salvo i soliti furbi) una eterna austerità e sacrificando la nostra crescita, fino a subire una crisi provocata proprio da coloro che abbiamo arricchito. Ci stiamo impoverendo sull’altare di una cricca di uomini di potere impotenti che, guarda caso, mai ci hanno spiegato il problema, creato da loro. Lo hanno nascosto, dissimulato. E per due volte, nel 1992 e poi nel 2011, ci hanno portato sull’orlo del fallimento.

 

Non è che siamo stufi di pagare, di sperperarci? E’ ora di dire basta. E di schierarci con le altre sinistre emergenti europee per forzare la gabbia comune del debito. Di agire insieme in Europa, l’unico spazio in grado di darci una soluzione (non distruttiva e autodistruttiva). Come quella, molto semplice, che potete leggere qui.

Per questo il cambiamento politico in corso nei paesi vicini d’Europa è cruciale. Dobbiamo esserci anche noi in questa battaglia. Se non altro perchè il cappio sta stringendoci di nuovo, con il debito che accelera al 140% del Pil.

Io scommetto su questo cambiamento. Del resto non ho altro da sperare oggi. Ma non mi pare neanche poco.

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P.s. Oggi il sistema propone Giuliano Amato alla presidenza della Repubblica. Proprio uno dei massimi protagonisti del disastro italiano qui sommariamente descritto. Un membro della casta rovinosa.

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