Fiscal compact al contrario?

Il sistema di trattati, in primis il “Patto di Bilancio” sottoscritto da 25 paesi dell’area Euro (fiscal compact), insieme ai regolamenti comunitari (six pack e two pack) per la riduzione forzosa dei debiti pubblici e il controllo delle politiche relative possono funzionare, in un certo senso, al contrario?

Non soltanto per imporre ulteriori e insostenibili sacrifici ai paesi aderenti più esposti ma per aiutare, in determinate condizioni, un liberatorio risanamento di situazioni, come quella italiana, in cui il macigno-debito si trascina da decenni, succhia le nostre risorse, ammazza fiscalmente le nostre imprese e lavoratori, aumenta le disparità e l’evasione fiscale, degrada lo stato sociale.

Sono convinto che in realtà tutto dipenda dalla politica monetaria, dalla Bce. Il vero player chiave, così come lo è stato nella primavera del 2012, quando ha fermato la speculazione selvaggia contro l’Italia mettendo in campo la sua offerta di liquidità infinita. Il suo bazooka, a misura delle reali condizioni della crisi europea, può essere la soluzione.

Oggi la Bce è l’unica che può risolvere il gap e tirare fuori l’Italia (ma anche la Grecia, Portogallo, in buona misura Spagna e Francia) dalla grande trappola. Ovvero: bilanci pubblici gravati dal servizio prioritario del debito pubblico, obbligo di pareggio oltre i limiti di Maastrict (originario), quindi pressione fiscale ai massimi, risorse inesistenti per investimenti di ripresa (persino per coprire i cofinanziamenti sui fondi europei).

Risultato. Il fiscal compact (e connessi), combinato al debito-macigno, agirà da camicia di forza e impedendo, di fatto, manovre di rilancio. E quindi ci avviterà nella deflazione-depressione. In mancanza di una variabile: nuova liquidità abbondante per, almeno temporaneamente, alleggerire la morsa, consentire la ripresa, generare il ritorno alla crescita e quindi, per questa via, ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil.

Se questo è vero (come è vero) proprio non capisco. Fino a quando il vertice, il consiglio direttivo della Bce, alias i 18 governatori dell’area Euro, vorrà aspettare prima di dare il via a una seria manovra reflattiva, sull’esempio della Fed e della Bank of Japan?

Fino a quando dovrà durare questa inutile agonia, spacciata per rigore?

La ripresa, in Europa, non sta funzionando. La Germania, il perno economico del continente,  accusa un -1,8%  nella produzione industriale a maggio dopo  il -0,3 ad aprile.  Un dato che fa il paio con il  -1,2% nell’attività manifatturiera italiana a maggio. Ambedue cifre commentate come “più negative delle attese”. E il segnale europeo si accompagna ad altri, persino asiatici e cinesi, di rallentamento.

Soltanto gli Usa sembrano continuare sulla strada della ripresa. Nel secondo trimestre dell’anno, secondo le minute della Fed rese pubbliche la settimana scorsa, il rimbalzo positivo viene giudicato “sorprendentemente ampio”.

Come la mettiamo, quindi, signori della Bce? Abbiamo di fronte a noi i dati di due grandi economie a confronto. In una, gli Usa, è stata seguita la strada della reflazione classica,  sgravando debito federale e tasse, nell’altra del rigore duro. La prima è in ripresa, la seconda sull’orlo della deflazione-depressione, ormai contagiosa anche per il suo inviolabile tempio dell’ortodossia neoliberista-rigorista, la Germania.

Ha torto Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, a consigliare “caldamente” alla Bce una manovra di “quantitative easing” alla Fed, con  il massiccio acquisto di titoli di debito pubblico europei? La fonte è non sospetta: l’Fmi ha collaborato attivamente a massacrare i greci per farli rientrare nei ranghi. Forse però quell’esperienza, finita a bombe sotto la loro sede, ha insegnato qualcosa ai supremi banchieri di Washington.

Ma, domandiamoci, che cosa può significare un “quantitative easing” in Europa, nell’area euro?

A differenza degli Usa, che hanno un debito pubblico in gran parte centralizzato sul Tesoro federale, l’area Euro è un sistema di stati ciascuno con una sua indipendente gestione fiscale e del debito. Ed è legata da un patto di bilancio (Fiscal compact) che vieta nuovo indebitamento. Scaricare debito, almeno temporaneamente, sulla Bce richiede quindi un approccio più strutturato.

 

Una proposta.

Partiamo da un’ovvia, piccola premessa. Ripercorrendo i fatti principali.

1)      Il costo della grande crisi finanziaria si abbatte, dal 2008, sui conti pubblici europei, con il salvataggio delle banche, inglesi, francesi, belghe, tedesche (non italiane) a carico delle rispettive finanze statali.

2)      Il debito pubblico in Europa è cresciuto in misura allarmante: in Germania, Francia, Olanda, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Cipro  le cifre presentano un balzo in avanti, nel 2008-2011. Siamo vicini al 90% del Pil in tutta l’area Euro.

3)      Il peso del servizio del debito corrispondentemente aumenta. E insieme la dipendenza dai mercati, dai soggetti finanziari.

4)      Il macigno sulle politiche economiche è evidente già nel 2010. Il debito pubblico, per gran parte dei paesi europei, è nei fatti insostenibile.

5)      Il fiscal compact è la risposta, ovvero ridurre forzosamente il debito pubblico al 60% del Pil europeo, paese per paese, in 20 anni. Da una media europea oggi dell’87%.

6)      Emerge chiaro  il circolo vizioso.  Ovvero: se solo la ripresa e la crescita consentono la riduzione del gigantesco debito, oggi il peso abnorme degli interessi sul debito (pari al 5% del Pil in Italia) bloccano qualsiasi manovra di crescita. E’ una trappola che paralizza intere economie, come la nostra.

Supponiamo invece una iniziativa dal basso,  dei cittadini europei. Una proposta di atto legislativo (ex art. 11.4  del trattato di Lisbona) per uscire dall’impasse e creare le condizioni strutturali  per un New Deal europeo. Per indicare una strada comune. Contrapposta all’austerità e alle ricette dettate, in ultima istanza, dalle lobbies finanziarie e neoliberiste.

Una strada basata sulle seguenti proposte:

1)      Fiscal compact al contrario. Il debito in eccesso il 60% del Pil viene, quantomeno gradualmente e temporaneamente (almeno 5 anni), mutualizzato in un fondo gestito dalla Bce. Invece di acquisti di titoli di debito sul mercato secondario si tratta un’operazione strutturata. Graduata in relazione alla gravità della situazione dei singoli paesi oltre il 60% di debito/pil.

Ma non con il meccanismo punitivo del cosiddetto European Redemption Fund studiato dalla commissione Barroso (che prevede il conferimento forzato del patrimonio pubblico e di quote di entrate fiscali da parte dei paesi aderenti, nonchè programmi alla Troika e altre cessioni di sovranità) quanto attraverso una iniziale massiccia creazione di moneta da parte della Bce (sull’esempio di Fed, Bank of England, Bank of Japan) diretta alla “sterilizzazione” degli interessi sul debito pubblico temporaneamente mutualizzato. Quindi un apporto oneroso degli stati membri nullo o molto limitato nella prima fase. Una infusione di liquidità diretta nei bilanci statali. E poi, in relazione alla ripresa, un rientro attentamente contrattato su base trilaterale (paese membro, supervisione del parlamento europeo e Bce).

2) Il fondo, da un punto di vista tecnico, di fatto esisterebbe già. Si chiama Esm (Mes) e con poche modifiche formali potrebbe servire egregiamente allo scopo. Il suo obbiettivo statutario è appunto quello di aiutare gli stati europei in grave crisi. Non vi è nemmeno bisogno di modificare (per ora) lo status della Bce (articolo 134 del trattato di Lisbona), perchè finanzierebbe un soggetto dotato di licenza bancaria. Ovviamente l’Esm dovrebbe rinunciare, per questa operazione, ad ogni approccio neoliberista da “Troika”.

Il fondo incamererebbe velocemente le quote di debito pubblico, offrirebbe di fatto una moratoria su grandi ammontari di interessi per 5 anni (minimo) e poi ritornerebbe agli stati partecipanti il debito acquisito in modo graduale, in relazione al ritorno alla crescita degli stessi.

Un inciso. La vendita controllata di asset pubblici (dal 2020 in poi) ha senso solo in una situazione  economica europea tornata positiva. Bisogna quindi prima fornire risorse iniziali (ma massicce, non le attuali) alla ripresa, liberare (almeno in parte) gli avanzi primari dei paesi ad alto debito, riequilibrare economie e società e quindi procedere in modo controllato alle dismissioni in situazioni di mercato accettabili, e senza le lobby bancarie o finanziarie sul collo, con i loro ricatti.

3)      Il fondo comune “pagato” dalla Bce consente di liberare nei bilanci statali rilevanti risorse (ipotizzabili anche 20 miliardi annui di minori interessi da pagare per i maggiori paesi  europei nei primi 5 anni) destinati al New Deal continentale.

Inciso: la speculazione non può operare per due motivi. Primo perchè tutto è sotto l’egida della Bce. Secondo perchè il programma riguarda tutti i paesi europei, “cattivi” e buoni.

4)      L’Europa torna a crescere in modo sincrono, su  investimenti, creazione di lavoro, detassazione di imprese e famiglie, welfare. I programmi comunitari trovano corrispondenti cofinanziamenti nei paesi membri. Bruxelles mantiene la regia e il controllo sulla manovra reflattiva continentale. Come da trattati.

5)   Questa crescita comune, gestita, crea un clima meno dissimmetrico. Non viene creato nuovo debito, anzi il debito viene gradualmente riassorbito (ma in modo sostenibile e consensuale). Le opinioni pubbliche più conservative non si mobilitano. Il six pack, il two pack restano operativi e controllano la manovra di New deal.

6)   Non c’è discontinuità, se non sul nuovo fondo temporaneo sul debito (e se questo è l’Esm non c’è discontinuità per niente), con le istituzioni create in Europa. Anzi. La minor dissimmetria tra nord e sud Europa porta a un maggior consenso sulla riforma democratica delle istituzioni europee.

Fase 2.

Se la prima fase di mutualizzazione temporanea dei debiti pubblici avrà, come credo, successo, è possibile pensare a un passo successivo, con il consenso di tutti. In pratica alla nascita di un sistema fiscale-federale continentale.

1)   Viene varata una riforma delle fondamenta dell’Unione. Il Parlamento europeo accresce il suo ruolo reale di indirizzo e supervisione.  Tra le riforme chiave viene istituito un “ministero delle finanze” continentale che armonizza le politiche fiscali (via two-pack) e si fa carico di un eventuale fondo di debito pubblico europeo non più temporaneo (project bonds, eurobills…..). Gestendolo in relazione ai progetti e alle condizioni delle economie degli stati membri. Un fondo alimentato da entrate fiscali concordate con i vatri stati.

2)   L’unione fiscale viene così perfezionata in modo equo e democratico. E il debito pubblico europeo cessa di essere un mostro. Ma diviene, come è da secoli, uno strumento di finanziamento dei beni pubblici. E del risparmio.

(una volta risolto il nodo debito il passo verso uno stato federale europeo, gli Stati Uniti d’Europa, diviene drasticamente più breve)

3) L’iniziativa dal basso dei cittadini europei su questo tema è l’unica carta, a mio avviso, in grado di rompere l’egemonia negativa da parte del complesso bancario-industriale tedesco e del suo partito conservatore. Credo che, se adeguatamente informati, milioni di tedeschi, francesi, spagnoli e italiani possano rendersi consapevoli della questione in gioco. Senza parlare di greci, portoghesi, irlandesi e ciprioti.

Una ipotesi di questo tipo serve soltanto per far capire che una manovra temporanea (ma a  medio termine) sui debiti pubblici conviene a tutti. E’ un gioco a guadagno condiviso. Una manovra equa, capace poi di sfociare in un nuovo processo anche istituzionale europeo. Finalmente democratico.

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Qualche considerazione esplicativa.

Nota: Perchè questo meccanismo invece di un semplice, massiccio e indifferenziato acquisto di titoli di debito pubblico da parte della Bce?

Per vari motivi.

1) Una manovra di questo genere creerebbe sì base monetaria ma al costo, ben visibile negli Usa, di un ulteriore abnorme aumento dei debiti pubblici nei paesi dell’eurozona. In totale contrasto con il Fiscal compact e il six pack, che invece puntano sulla riduzione al 60%.

2) La manovra sul servizio del debito qui indicata libererebbe risorse dove è più necessario. Ovvero nella drastica riduzione della pressione fiscale e nell’attivazione di investimenti infrastrutturali (cofinanziati e non) essenziali per settori come l’edilizia e il manifatturiero.

3) La manovra indifferenziata “all’americana” non garantisce alcuna politica di incentivi fiscali per le piccole e medie e le nuove imprese. Nè misure di detassazione per la spinta sui consumi interni. La moratoria sugli interessi invece permette di conoscere in anticipo le cifre del sostegno. E di coordinare piani di investimento, incentivo e rilancio su scala continentale.

4) Le operazioni di quantitative easing, nei fatti focalizzate sulle banche, anche negli Usa hanno mostrato un grave limite: la nuova liquidità solo in misura ridotta finisce per fluire nell’economia, ma in gran parte viene incamerata dai giganti della finanza come riserva straordinaria. Anche i programmi emergenziali adottati dalla Bce nel 2011 e 2012, ovvero finanziamenti alle banche a tassi super-agevolati, raccontano la stessa storia. Le banche hanno ricostituito riserve e profitti, sostenuto i debiti pubblici in pericolo (per esempio in Italia) ma non hanno riaperto i rubinetti del credito. Al punto che il nuovo Ltro annunciato da Mario Draghi un mese fa (Targeted long term refinancing  opera operations) è stato “mirato” solo su titoli che implicano prestiti a imprese e famiglie.

Agire dal punto di vista del debito pubblico, generando massicci sgravi fiscali e investimenti pubblici, assicura quindi una produttività reale della manovra per ogni euro di nuovo conio nettamente superiore.

5) Questo approccio ha un altro importante vantaggio. Consente di definire scale di priorità. Per esempio concentrando gli interventi sui paesi che presentano il maggiore “gap” tra peso del debito pubblico e necessità di manovre di rilancio. Parliamo di Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e forse anche Francia. Su di loro lo sforzo può essere più rilevante. E, come è nella natura della proposta, non per addossare i loro debiti ad altri paesi membri, ma per una manovra temporanea.

Solo in un eventuale fase due, spece se la prima avrà successo, si potrà pensare ad un autentico consolidamento in  un debito pubblico europeo (magari decrescente) e a istituzioni democratiche adatte alla sua gestione.

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One Response to Fiscal compact al contrario?

  1. 4xfbXL Very informative article. Fantastic.