Quando iniziammo con Rcm (Rete civica di Milano) nel 1994 già pensavamo a Rcm due. Allora, per necessità (internet andava via modem e telefono) usammo la migliore Bbs commerciale esistente, la canadese Firstclass. Ma pensavano già, insieme ai ricercatori universitari, a un secondo passo: un ambiente di rete aperto, trasparente, replicabile e controllabile da chiunque.
Sono passati vent’anni. E si torna indietro. L’informatica civica, le comunità civiche in Italia paiono regredire alla peggiore incultura proprietaria.
Ieri ho seguito un convegno a Bologna indetto dalla Fondazione Rena, “comunità di cambiamento”. Un bel convegno, pieno di giovani interessanti e vitali, e anche disseminato di messaggi (reali) positivi. Come la crescita di Arduino (ovvero dell’hardware Open Source), le comunità di pratiche e conoscenze, la fioritura delle startup, persino l’avvio di monete parallele (comunità di scambio economico, Sardex) e tanto altro.
Ma mi ha fatto proprio male al cuore apprendere, da un paio di amici, che il Comune di Bologna abbia scelto (senza alcuna gara pubblica, da quel che mi risulta) Civici di Ahref come sua prossima piattaforma per la partecipazione online.
Bologna infatti, nel 1994, venti anni fa, con Iperbole fu per noi un punto di riferimento. Partì qualche mese dopo Rcm ma con un approccio full internet, gestita direttamente dal Comune, su gruppi di discussione Usenet, totalmente nella filosofia aperta della rete nascente. Ricordi, Stefano Bonaga? E tu, Franz Nachira?
Allora eravamo noi (per necessità) i proprietari e voi (che appoggiavate Iperbole sul Cineca) gli open. Ce lo facevate anche pesare un po’. Oggi le parti paiono invertirsi.
Ora, vent’anni dopo, vedere Iperbole ridursi a un software chiuso, proprietario fatto da un team trentino (una fondazione, Ahref, finanziata dalla straricca Provincia autonoma locale) che dichiara su Civici di essere il proprietario esclusivo del software:
Quindi. La Provincia Autonoma di Trento, ben rifornita dagli antichi privilegi economici accordati alla Regione a statuto speciale Trentino-Venezia Giulia, eroga finanziamenti (soldi pubblici non solo locali ma per tale motivo anche nazionali, cioè nostri) per una fondazione, Ahref, che produce una piattaforma a suo esclusivo controllo e copyright. Soldi nostri pagati dalle nostre tasse, quindi, per trasformare l’informatica pubblica italiana, le comunità municipali, in un sistema chiuso. Davvero una scelta politica lungimirante, questa su beni comuni di rete pagati da noi ma poi chiusi in poche mani. Vi piace?
In pratica. Chi adotta Civici non sa dove e come vengono gestite password e identità degli iscritti, magari bolognesi gestiti a loro insaputa a Trento. nessuno può mettere becco. Ahref non offre il suo codice ad altre amministrazioni, non è trasparente. E questo fa davvero un po’ male, considerato il nome della piattaforma.
Il sogno di un’Italia partecipativa, aperta, viene meno. Diventa la solita “buca delle lettere” (alias dammi il tuo commento) brulicante nei siti comunali e ministeriali. Diventa la solita dicrezionalità ad accettare o meno l’opinione del cittadino. Come le mail per la consultazione sulla spending review, 50 mila letteralmente buttate nel cestino (nella tristemente famosa consultazione indetta dal governo Monti) o per la riforma della Pa (oggi, ministro Madia, che almeno fa leggere le opinioni ai funzionari). E soprattutto la consultazione sulle riforme istituzionali, pilotata politicamente dall’alto da Quagliariello per fare consenso, poi finita nel nulla, irrilevante, e con l’apporto (graziosamente gratuito) proprio di Civici. Questa irrilevanza diventa la partecipazione a senso unico, pilotata, foglia di fico, orpello di moda, marketing. Un’operazione di potere, e esternamente un colorato servizio alla Facebook, alla Apple, un’App…
Finchè sono state queste operazioni italiote di palazzo (utili al più a fingere un’alternativa all’uso della rete da parte del 5 stelle), poco me ne sono curato. Ma quando cominciano ad arrivare nelle reti civiche delle maggiori città italiane, comincio seriamente a preoccuparmi.
Noi, dopo Rcm, abbiamo costruito dal basso, e con estrema fatica (nessun appoggio del Comune di Milano o di altri centri di potere), PartecipaMi, e poi OpenDcn. Una piattaforma, quest’ultima, a moduli: discussioni informate (non all’acqua fresca di Facebook), moderate e organizzate su thread creati dagli utenti, gestione dei problemi e delle proposte, voto online, brainstorming…Tutto open, tutto scaricabile, controllabile algoritmo per algoritmo. Anche Airesis è più o meno così.
Non è un buco nero in cui butti le tue idee, nè il gran fiume dei social network dove tutto passa e va. E’ un ambiente per discutere e progettare assieme.
Votate su Civici? E come potrete controllare se qualcuno dietro il server non abbia manipolato il vostro voto e i risultati? Su OpenDcn potete farlo. Solo questa è una differenza non da poco.
E poi, se dopo la consultazione sulle riforme istituzionali del governo Letta (anche qui un’adozione di piattaforma senza gara), anche Bologna va su Civici , questo rischia di diventare un segnale nazionale, potrebbero andarci anche Roma, Genova, Torino, Palermo…una bella Italia di reti civiche finte? Controllate da una sola regia? Va bene?
Se qualcuno sta sfruttando il lavoro di anni e anni di tanti come me me per introdurre e radicare una nuova cultura aperta della Res-publica., non si illuda. Ci troverà sulla loro strada.
Che Ahref faccia due sole cose. Metta in Open Source, seriamente e pubblicamente, il software di Civici, senza se e senza ma. E si metta a collaborare seriamente, senza occupare (male) ogni spazio possibile, con chi lavora in quest’area. Se non può, si dedichi ad altro dai Civici.