L’Italia è sostenibile?

Secondo quest’analisi di oggi, scritta da Federico Fubini,  uno dei più esperti giornalisti economici di Repubblica, decisamente no.  La prospettiva di un debito pubblico sul Pil al 150% nel 2017 (in tre anni) significa un carico annuo di interessi di oltre 100 miliardi sulle spalle di noi contribuenti. Significa un avanzo primario mostruoso, insensato. Significa un paese in svendita, senza margini, al collasso.

E’ urgente quindi che la questione debito, e non solo nostra, in Europa venga affrontata dall’intera Unione. A livello fondamentale. E’ ormai chiaro che da soli non ce la possiamo più fare.

Fin dalla crisi del 1992, ovvero il crollo di Craxi e Andreotti e il loro debito, è in atto in Italia un chiaro e evidente circolo vizioso. Il debito, venduto sul mercato finanziario globale, genera un costo  tale, sulle risorse pubbiche, da spiazzare qualsiasi intervento reale di rilancio dell’economia, di detassazione di imprese e famiglie, di investimenti pubblici. A sostenere il costo di questo debito non  ha partecipato e non partecipa circa  un quarto dell’Italia, del Pil italiano, “rubato” in evasione, nero, corruzione, criminalità organizzata.

Si è quindi creato un gap sistematico, che non ha mai consentito in trent’anni di pagare tutti gli interessi sul debito in un singolo esercizio di bilancio. Una parte di questi interessi sono così andati a creare nuovo debito, nonostante le politiche di austerità, e di tassazione sugli onesti, di cui è stata vittima l’Italia.

Risultato: abbiamo pagato, ci siamo svenati per ottenerne in cambio non la fine dell’incubo, ma solo altri debiti. Ci hanno guadagnato solo i ladri, i corrotti, i criminali organizzati e non,  i furbi, i supporter di evasori fiscali come Berlusconi e limitrofi, di para mafiosi come Dell’Utri, tutti con i loro bravi conti numerati in Svizzera o alle Cayman.

Oggi, dopo il disastro del 2011, dopo la mazzata di tassi di interesse esplosi al 5% e dopo 25 miliardi di nuovo debito di colpo accordati all’Europa per salvare la Grecia ci ritroviamo con un carico ancora più pesante del passato. Una soma tanto massiccia che anche una miracolosa crescita al 3% per 5 anni non riuscirebbe a ridurre.

Ma è credibile questo miracolo al 3%? Me lo auguro ma credo di no. Credo invece che il circolo vizioso  trentennale continuerà. A meno di un intervento esterno, con le nostre forze abbiamo solo una (malaugurata) prospettiva. Ripudiare o ristrutturare il debito, con le conseguenze che Fubini, nel suo articolo mostra sinteticamente ma con efficacia.

In questo caso  l’Italia finirà sotto le grinfie della troika. E di disastri alla greca ne è bastato uno.

Fubini, nel suo rimarchevole articolo, è molto prudente. E il più possibile positivo. Comprensibile. Se esiste un terreno minato è questo del debito pubblico italiano. Dove basta poco a scatenare, come nell’estate del 2011 una crisi di sfiducia (e speculativa) autoalimentante le difficoltà.

Nonostante ciò ci racconta una verità molto semplice. Spremere un crescente avanzo primario all’Italia, ovvero a chi paga le tasse in questo paese (e a chi si vede tagliati i servizi pubblici) “non basta più”.

E non bastava più da molto tempo. Come ben spiega Francesco Gesualdi nel suo saggio Le catene del debito – e come possiamo spezzarle“.

I 2100 miliardi di debito sono la stratificazione di interessi che lo stato italiano non è riuscito a pagare, nonostante un’austerità permanente, dal 1992 ad oggi.  Gli avanzi primari sono stati decurtati dalla massiccia evasione fiscale, dal costo della corruzione, da una struttura burocratica eccessiva.

L’austerità degli scorsi tre decenni ha però pesato sull’Italia, contribuendo massicciamente alla sua stagnazione, al suo irrigidimento e al suo invecchiamento. Ma non è servita a fermare il debito pubblico.

Ora siamo al dunque, sempre più vicini alla soglia del non ritorno. Quando gli interessi da pagare supereranno la soglia psicologica dei 100 miliardi annui, e siamo a 82 (nonostante il calo dei tassi di interesse), quando spenderemo più del 6% del Pil per servire Bot e Cct entreremo davvero in zona rischio.

E ci entreremo se l’Europa continuerà ad affondare nella deflazione. Fatta salva, ovviamente, la Germania. E i “pannicelli caldi” (taglio nel tasso di interesse, fondi alle banche che prestano alle piccole e medie imprese) oggi annunciati da Mario Draghi non muoveranno, è una scommessa facile, la ripresa. Ci vorrà tempo perchè i vertici tedeschi si convincano della necessità di immettere moneta su larga scala. E nel frattempo…..nel frattempo l’Europa continuerà ad avvitarsi e l’Italia continuerà a slittare…

Avremo probabilmente qualche grosso prestito di salvataggio da Fmi e Bce. Iniezioni di liquidità per ridurre il carico di interessi per qualche anno. Contando che gli interessi sul debito così risparmiati siano sufficienti a reinnescare la crescita, abbassando la quasi insostenibile attuale pressione fiscale (43, 8% del Pil, cinque punti sopra la media europea e soprattutto 68% per le imprese, 20 punti in più della Germania) e avviando una congrua attività di investimenti per la manutezione del paese.

Però, Fmi e Bce non sono benefattori. A quel punto tutto il patrimonio pubblico italiano sarà in vendita (o svendita), compresi beni comuni culturali di inestimabile valore. E così per il servizio sanitario nazionale, i contratti di lavoro….l’Italia come la Grecia.

Tre, quattro anni di taglio sugli interessi a questo prezzo? Con quale garanzia che la mitica e miracolosa crescita riparta?

Vediamo. Osserviamo l’Europa, l’Italia e l’Asia. Oggi  un telefonino viene assemblato in Cina a salari da fame e ritmi di lavoro massacranti. Tuttora, dopo 13 anni dall’entrata nel Wto. Certo, una nazione che dispone di nuovi operai dalle campagne a decine di milioni ogni anno può permettersi di estendere a migliaia di prodotti questa primordiale competitività.

Risultato. Dagli anni 90 in poi questa “globalizzazione” senza alcun rispetto dei diritti umani ha deindustrializzato Usa e Europa. Concorrere con i cinesi è durissima. E se, come è avvenuto dal 2011 in poi, crolla anche il tuo mercato interno cessano le risorse per investire e tenere il passo nella guerra economica. E chiudi o delocalizzi.

C’è solo un paese che regge questa gara. La Germania. Perchè è il grande fornitore di mezzi di produzione avanzati alla Cina e all’Asia. Qui sta il suo miracolo, essersi strutturalmente accoppiata a questo tipo di globalizzazione, a senso unico.

Invece, sotto il martello della crisi, stanno crollando i sistemi industriali non solo italiani, ma anche francesi, olandesi, spagnoli. Globalizzazione a senso unico e crisi finanziaria e fondi pubblici solo per la finanza. Il mix che sta portando l’Europa alla disintegrazione.

Se non si affronta il nodo della globalizzazione squilibrata, sarà ben difficile che l’Europa torni a una crescita auto-sostenuta. E la Cina deve rapidamente diventare competitiva con un assetto sociale umano. Quello che Clinton si scordò di pretendere quando fece entrare il gigante asiatico nel commercio mondiale.

L’unica soluzione, a mio avviso,  ora sta in un’Europa sostenibile. l’obbiettivo chiave per i suoi soggetti deboli, per la sua sinistra, per il suo ceto medio. Per molti aspetti si tratta di un autentico stato federale, con una banca centrale con pieni poteri (come la Fed) capace di finanziare e mutualizzare il debito pubblico. E capace di modificare l’attuale modello di globalizzazione, con un ritorno all’industria nel continente.

Molti condividono questa impostazione. E spero davvero che questa legislatura che si apre all’Europarlamento sia una legislatura costituente. Quantomeno sui tre punti chiave: debito, Bce, politiche industriali.

In questo scenario l’Italia, anche l’Italia, tornerà sostenibile. E forse di più di quel che immaginiamo oggi.

 

This entry was posted in home. Bookmark the permalink.

Comments are closed.