Che barba questa campagna elettorale. Tutta di nomi (all’80% i soliti), di calciomercato, di liste e di liti. Non un idea credibile, in giro, per far uscire l’Italia dalla depressione, in cui è stata cacciata dal 2011.
Fanfaluche varie. Berlusconi che pretende che la Bce garantisse il debito pubblico italiano (con conseguente pernacchia dell’80% europeo). Grillo che ciancia di uscita dall’euro (e conseguente fragoroso fallimento del paese). Bersani che sommessamente si limita al bricolage di tanti provvedimenti possibili (e forse è il più onesto). Monti che lancia messaggi di solo rigore, lasciando la crescita alle magiche virtù dei mercati. E il peggiore di tutti: Maroni che si rinchiude nel 75% di tasse appropriate in Lombardia e nella prospettiva di una “repubblica del nord” (Lombardia, Piemonte, Veneto), ovviamente a guida leghista. Come dire, un altro modo per spaccare e poi far fallire (al rallentatore) l’Italia. Poi c’è chi vagheggia il ritorno all’industria di stato e persino a monete parallele all’euro.
Chi salvo di tutta questa congrega? Bè, Renzi qualche idea ce l’aveva, ma ha perso le primarie. Ma salvo soprattutto Di Stefano, il giornalista in corsa in Lombardia con il suo progetto di sviluppo basato sulla green economy e l’agricoltura biologica. Con fondi tratti dalle prebende accordate da Formigoni nella sanità ai suoi pervasivi accoliti di Comunione e liberazione.
Il modello Di Stefano è replicabile non solo in Lombardia. E mi pare l’unico realistico (e un po’ entusiamante) nella attuali condizioni. Piuttosto buie.