Il passaggio del ridimensionamento dell’articolo 18, ovvero dell’eliminazione del divieto di licenziamento per motivi economici (unico al mondo), mi pare compiuto. Certo, ha suscitato un fronte di opposizione piuttosto vasto, e la Cgil promette lunga battaglia.
L’Italia, messa com’è, ha bisogno di un’ennesima stagione di conflittualità? E su un simbolo, che gioca a nostro sfavore nell’immaginario imprenditoriale mondiale, ma poco a favore di un sistema industriale che sta andando a pezzi, e che licenzia via chiusure e delocalizzazioni di intere fabbriche?
La stagione conflittuale della Cgil potrebbe invece essere utile. Se focalizzasse su due obbiettivi, oggi per noi vitali. Primo. Grazie al doloroso “compito a casa” oggi compiuto ottenere da Bruxelles e dalla Bce le risorse per un significativo programma di investimenti pubblici, tale da risvegliare l’economia. E, secondo, la messa in opera di un vero e efficace sistema di ricollocamento, formazione, flexsecurity.
Su questi due obbiettivi la Cgil e la Fiom possono esercitare un ruolo decisivo, di spinta e di controllo. Possono persino divenire un soggetto attivo, insieme a Cisl e Uil, nel sistema di flexsecurity. Possono proporsi una strategia di evoluzione verso un sistema di relazioni industriali non più solo contrattato ma cogestivo, come mostra il vincente (piaccia o no) caso tedesco.
Se invece sceglieranno la strada del muro contro muro sarà solo un’ennesima stagione perduta per l’Italia.
C’è il problema che l’economia, a questo punto, non può risollevarsi con investimenti pubblici.