Tra le tante cose che si leggono in questi ultimi tempi sui giornali, tra le tante opinioni, tra le tante chiacchiere a vanvera (tipo, siamo fuori dalla crisi, Monti ha fatto il miracolo…) spicca in positivo l’intervista di oggi sulla Stampa a Enrico Morando. Putroppo non c’è una versione online, ma solo qualche riassunto.
Morando dice una cosa molto semplice, ma condivisibile. Monti non può fermarsi qui ma, per il suo tempo fino alla primavera 2013, impostare due grandi (e vere) riforme. Quella della spesa pubblica e quella fiscale.
Un paese che destina il 50% del pil alla spesa pubblica (e vi fa vivere quote non lontane della popolazione) e ne ottiene bassa crescita e elevata disuguaglianza (aggiungo anche alta corruzione, evasione, criminalità) deve necessariamente darsi una fortissima e strutturale regolata.
E’ noto che Piero Giarda sarebbe all’opera su una (supposta) gigantesca spending review della spesa pubblica italiana. Si dice anche che la sua titanica operazione di studio sia ostacolata, se non arenata dalle corporazioni e dai gruppi di interesse operanti dentro i partiti. Nessuno sa se, e come, ne verrà a capo.
La riforma strutturale della spesa pubblica, dalle miriadi di incentivazioni fino alle strutture amministrative sovrapposte, è peraltro la condizione vera per la riforma fiscale, ovvero per la riduzione di tasse che, balzello dopo balzello, oggi superano in media una pressione pari al 51% del Pil. In particolare su chi produce e potrebbe reggere la mitica crescita.
Rivedere la spesa pubblica significa per esempio riorganizzare con maggiori risorse (tolte per esempio a spese militari inutili o a incentivi arcaici) la giustizia, sia civile che penale. Mettere più forza di accertamento nella lotta all’evasione, alla criminalità, alla corruzione. Autentici giacimenti di risorse occulte che anche Morando (come altri) indica cruciali per ridurre il peso fiscale su chi produce e fa realmente crescita. E infine per riavviare investimenti propulsivi, nelle infrastrutture e nei beni comuni (in gran parte invecchiati).
In pratica è, per dirla da economista, un problema di mix della spesa, delle risorse (anche umane) investite e dell’attenzione di governo e amministrativa. Spostarle da aree non prioritarie (in primis l’eccesso di assemblee elettive, di politici e portaborse ma anche apparati militari e voci di costo inutili) per metterle laddove si generano reali e tangibili benefici: legalità civile e penale e recupero di imposte evase. E investimenti sui beni comuni e le infrastrutture, molte ormai in fase di degrado, ma vitali.
Il problema è che questa manovra non si può fare oggi (se non a parole) con i partiti attuali. Con la Lega di Renzo Bossi, il Pdl di Cosentino, il Pd di Filippo Penati (tuttora consigliere profumatamente pagato alla Regione Lombardia) e tutto il resto del corteo.
Una manovra di questo genere sarebbe possibile solo se l’attuale 40-50% degli italiani rifugiatisi nell’astensionismo per disgusto divenissero di colpo e magicamente nuova maggioranza politica, con un atto costituente di una forza politica nuova esclusivamente dedicata al sostegno, impermeabile a qualsiasi lobby, di questa storica manovra.
Sogno? Non tanto, soprattutto se si considera lo scenario europeo, che sta rapidamente tornando alla pericolosità dello scorso autunno. Sempre sulla Stampa oggi Enric Juliana, il vicedirettore della Vanguardia (quotidiano di Barcellona e uno dei più vivaci in Spagna) racconta la crisi del suo paese come “una caduta verticale dal sesto piano”. C’è poco da scherzare dalle parti di Madrid: famiglie indebitate al 90% del Pil e debito pubblico che a fine anno arriverà all’80%. E il sospetto, come in Grecia, che i conti pubblici siano stati manipolati da Zapatero (che sosteneva che il debito tendenziale 2012 fosse al 60% e il deficit al 6%, contro l’8,5% dichiarato pochi giorni fa dal suo successore Rajoy).
E cambiare le cifre fondamentali da dare ai mercati oggi, come Atene del 2008 insegna, è piuttosto pericoloso.
Morale: forse un nuovo, durissimo, piano di austerity, dopo tre manovre consecutive varate dal nuovo governo conservatore. Ma intanto il riacutizzarsi della crisi finanziaria europea. Con l’apertura, qui sì, di una “fase due” che potrebbe vedere la Spagna come la nuova Grecia.
Rajoy procederà sulla linea di manovre violente su pensioni, pubblico impiego e welfare? Bruxelles e la Bce premono e….sarà appunto come la Grecia. Un avvitamento di impoverimento e recessivo, automoltiplicante anche sul deficit e sul debito pubblico. Senza parlare delle banche spagnole, cariche di mutui verso famiglie incapaci di onorarli. Ed è proprio il rischi ravvicinato di questa spirale recessiva che contribuisce alla fuga degli investitori dai Bonos e dalle azioni bancarie spagnole.
E l’Italia, di fronte a questo “secondo round”? Risponderà con una “fase due” tipo quella ipotizzata da Morando? Oppure con un altro carico di tasse e di tagli sul welfare?
La “fase due” italiana implica una rivoluzione politica. Ma la sua necessità è estremamente ravvicinata. Non c’è molto tempo. L’unica soluzione, quindi è di procedere rapidamente, il più rapidamente possibile, a elezioni anticipate. Mettendo in campo soggetti politici nuovi, come per esempio questo.
Elezioni politiche subito, quindi. Ovviamente vengono alla mente due problemi. Il rischio che ne deriverebbe con una condizione italiana sui mercati tanto instabile. E, secondo, l’infinito problema dell’attuale, indecente, legge elettorale.
Proviamo però a fare qualche semplice considerazione sulla storia recente della crisi finanziaria europea, a mò di scenario.
Supponiamo che la Spagna, che ha un’economia dieci volte più grossa, entri in una spirale greca “cadendo dal sesto piano”. Ovvero manovre “dure” (già quattro da 40 miliardi da parte di Mariano Rajoy), rifiuto tedesco (e quindi europeo) di aiuto diretto, amministrazione controllata del paese da parte di Bce e Ue, quindi ulteriori tagli, tensioni finanziarie e sociali acute, instabilità, caduta del Pil e ancora tagli.
Di cosa stiamo parlando? Di un paese, la Spagna, in cui tutti sono pieni di debiti, in particolare esteri (Stato, famiglie, imprese). La bellezza di 2900 miliardi di euro complessivi su 1400 miliardi di Pil. Il 200% secco. Una bella bomba. Da maneggiare con estrema cura.
In questo scenario negativo l’Italia si troverebbe comunque coinvolta. E la proclamazione di elezioni a breve (ferma restando la presenza di Napolitano e Monti al timone, come garanti) non aggiungerebbe, con ogni probabilità, molta instabilità aggiuntiva. Specie se indette e attuate velocemente. E con Monti comunque in sella. Potrebbero invece essere viste come il passo necessario a più incisive riforme.
Nel caso di una crisi spagnola più rallentata, o frenata da opportuni interventi europei, le necessarie elezioni italiane potrebbero prendere il loro tempo (compatibili con la necessità immediata interna di una robusta fase due). E, in presenza di effettivi disegni di riforma “reale” sulla spesa pubblica e il fisco sviluppati dall’attuale governo, tenersi anche come una sorta di referendum su ambedue i temi.
Problema legge elettorale: al limite, chissenefrega. Se i partiti non riusciranno a varare il loro supposto schema proporzionale alla tedesca, giocando sulla nostra pelle il balletto “niente nuova legge elettorale-niente elezioni” meglio procedere anche con lo schifo attuale, per far nascere comunque soggetti politici nuovi e una maggioranza inedita in grado di fare la manovra reale e cambiare realmente la legge elettorale. E quidi procedere, di nuovo a elezioni decenti. Una eventuale logica di ricatto va spezzata.
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Oggi sul Fatto Quotidiano ci si domanda se Monti abbia ancora la fiducia dei mercati. I fatti degli ultimi giorni ci dicono che di sicuro gli investitori (o speculatori) non hanno fatto molta distinzione nei giorni scorsi tra Spagna e Italia. E non a caso Morando, vicino a Napolitano e primo proponente dell’esecutivo Monti, se ne esce, proprio oggi, con l’intervista citata sulla fase due (che sollecita Monti a darsi una seria mossa) .
Giusti moniti e giusti scenari. Di fatto irrealizzabili data l’attuale geografia partitica e parlamentare. Con un esecutivo Monti che non potè fare la patrimoniale per il niet di Berlusconi, nè abolire le Province per i niet bipartisan degli amministratori locali. Salvo ridursi oggi a un’abolizione per decreto dei consigli provinciali già contestata in sede giudiziaria dalla connessa lobby.
Caro Morando, facciamo la rivoluzione politica, quindi. Quella che davvero serve alla fase due. Elezioni subito e soggetti politici nuovi capaci di rimettere in gioco il 40% dei cittadini italiani autoesclusisi. Perchè delusi da voi.
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