Riassunto delle precedenti puntate: la partecipazione produttiva è l’unico antidoto realistico allo stato di miseria pubblica e di repressione fiscale in cui versa l’Italia da ben 24 anni.
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A Budelli, in Sardegna, per salvare una delle spiagge più belle del mondo dalle grinfie di qualche mafioso russo, è in corso un crowdfunding, una ricerca pubblica di fondi. A Cogne, in val d’Aosta, un fabbricato storico, la casa dell’orologio del dottor Grappein, è oggetto di restauro da parte del Comune, che ha chiesto ai cittadini di contribuire. A Milano, nel quartiere Stadera, i cittadini hanno raccolto 43mila euro cper salvare il loro asilo d’avanguardia, la Giocomotiva. A Bologna, finora il maggiore caso di crowdfunding civico in Italia, hanno riportato al suo stato primigenio il portico di San Luca, uno dei più lunghi d’Europa.
E’ solo l’inizio di un trend strutturale. Sotto il peso ammorbante di uno stato fallito, gravato e paralizzato da un debito pubblico esorbitante da 24 anni, l’unica fonte per i beni pubblici diventano i cittadini stessi. Le privatizzazioni sono fallite un po’ ovunque. Svendite e insieme tradimenti dei termini di servizio pubblico verso i cittadini. Prezzi più alti e più alto sfruttamento dei lavoratori privatizzati. Per non parlare della corruzione.
C’è una strada migliore? Nei precedenti quattro post ho cercato di delinearla. In tutta la pianura padana, Milano al centro, sono necessarie inziative e investimenti massicci sui trasporti e sull’efficienza energetica degli edifici. Ci hanno spacciato come toccasana cose come l’Area c, quando invece serve un sistema che abbatta quel mezzo milione di auto che arriva a Milano ogni giorno. E quel carico di polveri sottili sull’atmosfera ferma della padania dai camini delle nostre case.
Può essere redditizio un fondo di investimento sull’efficienza energetica ad azionariato diffuso? Può essere redditizia una nuova consociata metropolitana dell’Atm che si metta in diretta concorrenza con Trenitalia per fornire servizi di trasporto ai pendolari di alta qualità? E avrebbe senso che questa consociata fosse finanziata da decine di migliaia di acquisti di azioni?
Già, ma scendo con i piedi più in terra. La partecipazione attiva è , almeno finora, un costume minoritario in Italia. Minoritario per i cittadini e super minoritario per i politici. Ormai vent’anni di esperienza sul campo me l’hanno insegnato.
Si cresce a poco a poco, passo dopo passo, su questo terreno. Crowdsourcing tra i genitori per non far chiudere l’asilo? Ok. E domani per un’altra scuola, per un restauro, per un impianto sportivo. Tante possibili iniziative, fino ad avvicinarsi agli obbiettivi grossi.
Ecco la necessità di un soggetto organizzato per promuovere la partecipazione. Nelle sue tre forme: consultiva (es. PartecipaMi), deliberativa (bilancio partecipativo, come a Monza), produttiva (crowdsourcing civico e public companies).
Questa agenzia sostiene le reti di comunità, organizza eventi deliberativi, ma soprattutto studia e accompagna le opportunità per la partecipazione produttiva. Ciascuna di loro è un investimento su Milano di enorme valore, culturale in sè (fosse anche un asilo finanziato dai cittadini) ma anche materialmente economico, a fronte di uno stato fallito che non fa che tagliare.
L’Agenzia per la partecipazione è la proiezione del Comune sui prossimi decenni. Aiuta i processi partecipativi ma non li dirige, suscita ma non distorce. Una volta attivato il motore in una città con patrimoni mobiliari per 1000 miliardi molto diventa possibile. Persino il contagio al resto d’Italia e un flusso di investimenti tale da risvegliare davvero questo paese che ristagna da 24 anni.