La luce in fondo al nostro tunnel

Ieri sera, quando un amico mi ha passato questo link leggendolo sulle prime non ci credevo. Che la Bce potesse prestare euri a bassissimo tasso di interesse a una banca pubblica italiana (per esempio il Bancoposta) perchè quest’ultima acquistasse in tutto o in parte il debito pubblico italiano. Incredibile. Eppure gli autori dell’articolo,  Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni, documentano i loro scambi di email con la Bce (affermativi) e il connesso l’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che prevede questa possibilità.

Per l’Italia reintermediare il debito pubblico sarebbe ovviamente un’operazione decisiva. Risparmiare 70-80 miliardi all’anno di interessi, per metà pagati alle famiglie italiane e per metà agli investitori internazionali, significherebbe avere i fondi, davvero, per ridurre il carico fiscale sul lavoro e le imprese, per avviare programmi di investimenti pubblici, persino per rimettere in piedi la disastrata Pompei. E ripulire quel terreno di genocidio chiamato terra dei fuochi.

Con i soldi, e soldi tuoi, puoi davvero rimettere in moto la crescita, ridare speranza alle imprese e ai giovani, sbloccare il credito,  fare tutte le riforme necessarie senza laceranti tensioni sociali. Puoi disporre dei margini temporali anche per ridurre gradualmente la massa del debito (senza che si accumuli con i massicci interessi aggiuntivi) vendendo in modo controllato e oculato i pezzi superflui di patrimonio pubblico immobiliare. Senza svendere.

E di più. Oggi le famiglie italiane detengono circa metà del debito pubblico nazionale. Quindi oltre 1200 miliardi in Bot e Cct. E lucrano interessi generati dalle entrate pubbliche. Una sorta di partita di giro, a favore dei più abbienti e a detrimento delle imprese e lavoratori, sotto il cuneo o macigno fiscale. Se però questo debito fosse finanziato diversamente i 1200 miliardi verrebbero necessariamente investiti in altri titoli, azioni, fondi, obbligazioni italiane e estere. Ne verrebbe una crescita massiccia di introiti finanziari dall’estero e di maggiore liquidità per le imprese. Un effetto potentemente benefico per un’economia sottocapitalizzata qual è quella italiana.

Risultato. In cinque anni l’Italia che ritorna a crescere, senza macigni fiscali addosso, che resta comunque in pareggio di bilancio (avendo il più ampio avanzo primario d’Europa) e può finanziare lo snellimento dello Stato e la competitività del suo lavoro. Alla fine dei cinque o dieci anni un’Italia con un debito dimezzato sul Pil? Possibile, e senza l’automatismo infernale del Fiscal Compact.

Non è un sogno. Con formule diverse sia la Fed che la banca centrale giapponese stanno finanziando con nuova moneta i rispettivi debiti pubblici. Le banche inglesi sono tutte nazionalizzate.I margini di manovra in questi paesi sono completi.

E fino al 1981 l’Italia è stata ricostruita con un simile “matrimonio” tra Banca d’Italia e Tesoro. Quest’ultimo emetteva debito (in modo controllato) che veniva finanziato dalla prima a basso costo e messo nelle riserve obbligatorie del sistema bancario italiano.

Di fatto la banca pubblica che finanzia il debito con i fondi a bassissimi tassi della Bce sarebbe la stessa cosa. E nessuno sulla carta vieta questa soluzione, che i due autori dell’articolo. E citano due grandi banche pubbliche, la BpiFrance e la KfW. E la seconda finanzia con fondi Bce gli investimenti locali in Germania.

Perchè noi siamo tanto stupidi da non farlo? Forse perchè potenti forze sbarrano la strada.

Si tratta di battere la lobby bancaria italiana, che per decenni si è arricchita sull’intermediazione dei titoli del debito pubblico e i connessi investitori internazionali. A cui abbiamo regalato, in nome del dio mercato, dal 1981 a oggi più di mille miliardi di interessi, ovvero di nostre tasse e di nostro lavoro. Per mantenere sul mercato un costosissimo debito che si alimentava da solo via interessi cumulati. E che dal 1992 ci ha tenuto in costante austerità depressiva. Una follia, cominciata con Craxi nel 1981.

E’ necessario un cambiamento politico, quindi. Sia in Europa che in Italia.

Sto appoggiando, in questi giorni, la neonata lista Tsipras. Il giovane leader della sinistra greca ha messo al centro un programma contro la crisi di dieci punti, di chiaro taglio keynesiano.

Ebbene, è centrale in questo progetto appunto una Bce che possa essere messa in grado di finanziare non solo le banche ma anche gli stati. E una conferenza europea sul debito, per sbloccare il Sud-Europa  e trovare un modo per far decollare eurobond mirati sul nuovo ciclo di sviluppo delle produzioni sostenibili.

C’è una forte assonanza tra l’articolo di Zibordi e Bertoni e questo programma, nato dalla necessità di evitare l’esplosione dell’Eurozona e di dare una nuova speranza per uscire dalla crisi europea.

Uscire dall’Euro, come vorrebbero leghisti e 5stelle, ci costerebbe almeno la metà dei risparmi nazionali. Oltre alla beffa (abbiamo fin qui pagato oltre 1000 miliardi di interessi alla grande finanza globale, stimano gli autori dell’articolo) avremmo quindi un folle danno.

Personalmente, dalla lettura di ambedue i testi ne ricavo qualcosa anche di mio. Da neo-giornalista, ospitato sul Manifesto, criticai nel 1981 il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro. Mostrando per primo i dati del debito (allora 375mila miliardi di vecchie lire, pari al 60% del Pil), mettere sul mercato una massa simile sarebbe divenuto “un macigno sul destino dell’Italia”. Valentino Parlato mi mise in prima pagina il pezzo con il titolo “Quando lo stato fa Bot”. Ne nacquero altri articoli e interrogazioni parlamentari. Formica, il craxiano, disse che erano tutte balle. Andreatta, ministro del Tesoro, si incazzò. Fu la nota “lite del pianerottolo”. E il governo Spadolini esplose.

In realtà si combatterono due fazioni. La craxiana che voleva mano libera sul deficit e il debito (per farsi sue clientele) contro la sinistra Dc di Andreatta e i repubblicani che volevano mantenere il controllo sulla spesa e il debito. Purtroppo vinse la prima, anche grazie alla feccia andreottiana.

Assurse quindi a palazzo Chigi, con grandi fanfare,  quel losco figuro chiamato Bettino Craxi. Che portò il debito, e i suoi crescenti interessi dal 60 al 120% del Pil. E l’Italia arrivò nel 1992 al fallimento. Da allora non abbiamo fatto altro che soffrire, grazie a questi delinquenti. E Berlusconi poi non fece nulla di nulla per affrontare il problema,  fino al bunga bunga e alla sua esplosione politica nel 2011, atterrato dalla Germania.

Oggi è davvero tempo di cambiare registro. Vivere in un paese condannato a un ergastolo finanziario nella cella di numeri sempre avversi non mi va proprio.

Una strategia praticabile per uscirne c’è. E il punto di svolta potrebbero essere proprio queste elezioni europee, su un modello diverso di governo dell’eurozona.

Leggetevi quindi l’articolo e i dieci punti. E riflettete da voi.

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