Per chi, come me, ha vissuto da dentro e partecipato, dalla seconda metà degli anni Novanta, agli esperimenti di democrazia elettronica il seminario, I codici (software) della democrazia, (organizzato dal Dipartimento di Informatica
dell’Università di Milano, in collaborazione con Fondazione RCM e ICONA) , è stata una sostanziale boccata di ossigeno.
Il motivo è semplice. Fino al 2009 questo mondo dell’e-democracy era buono per qualche titolo di giornale. In realtà, era relegato nella marginalità da un sistema e da una classe politica che ne diffidava, se non l’aborriva. Oggi invece sta diventando un terreno di diffusione, di contagio tra esperienze. E di opportunità di prima grandezza.
Per chi se n’è occupato, volontariamente e con tanto impegno e speranze, la prima fase è stata una lunga marcia nel deserto. Ma poi, dall’esplosione della crisi capitalistica in Europa sono avvenuti due eventi: la formazione del partito pirata (nato in Svezia e poi radicatosi soprattutto in Germania) e in Italia la crescita del movimento Cinque stelle.
Come se la crisi che ha investito frontalmente una generazione (interconnessa) l’avesse costretta a sviluppare una strategia positiva con gli strumenti storicamente disponibili.
Ambedue questi movimenti, infatti, pongono al centro della propria organizzazione (e visione) l’e-democracy. Il primo – ha spiegato Carlo Von Lynx – struttura il suo essere partito come assemblea permanente deliberativa tramite la piattaforma Liquid Feedback, un sotware sviluppato dai pirati stessi (movimento nato originariamente sulle libertà di rete, e ad alta intensità di informatici e programmatori) che consente di proporre idee, discuterle, integrarle e infine selezionarle con un rigoroso processo di votazione. Una piattaforma deliberativa che oggi coinvolge circa 4mila partecipanti in Germania, e si è estesa in Austria e anche in Italia (ovviamente qui con numeri più piccoli, non oltre le 400 persone iscritte al partito pirata italiano).
L’obbiettivo dei pirati – dice Marco Ciurcina - è di far funzionare il loro partito senza la necessità di un “gruppo dirigente”, e con il minimo di autonomia dei rappresentanti eletti, che invece devono assumersi, per statuto, il non facile compito di portavoce “fedeli” delle deliberazioni e dei programmi sviluppati in assemblea.
Utopia? Mica tanto, se si tiene conto che alle scorse elezioni a Berlino i pirati si sono attestati all’8%, e sono accreditati ora dai sondaggi per il Bundestag al 2-4%. Secondo non poche analisi il loro successo (almeno finora) è stato dovuto alla forza attrattiva della democrazia liquida e la conseguente qualità dei programmi (soprattutto nel caso berlinese) sviluppati e messi in campo.
In Italia l’altro pilastro dell’e-democracy è il Movimento Cinque Stelle. Il punto di riferimento è la democrazia diretta, l’orizzontalità, la rappersentanza parlamentare o nelle istituzioni strettamente vincolata (come per i pirati) alle deliberazioni della rete degli iscritti.
E i due movimenti in qualche misura hanno cominciato a interpenetrarsi. Soprattutto attraverso la piattaforma Liquid Feedback, che viene sperimentata, spiega Andrea Ravasio, dalle comunità grilline a Bergamo, poi in Lombardia, Sicilia, Basilicata. Un’adozione dal basso, a dimensioni locali (e in alcuni casi appena partita) ma che rende molto più efficace il lavoro politico rispetto ai soli, e spesso caotici, gruppi di discussione.
C’è chi poi, dentro il movimento Cinque Stelle, sta puntando all’obbiettivo grosso. Alla realizzazione di un’intera assemblea parlamentare su una versione ampiamente modificata di Liquid Feedback. Il gruppo di programmatori grillini del Parlamento Elettronico , coordinati da Emanuele Sabetta, hanno davvero fatto un lavoro di rilievo. Costruendo un’interfaccia gradevole su un software da questo punto di vista iper-spartano. Creando aiuti alla navigazione in processi deliberativi non sempre facili. Inserendo nel processo di formazione delle proposte di legge anche l’intervento di commissioni di esperti (come nel Parlamento tradizionale) per il controllo di costituzionalità, giuridico, tecnico e economico delle proposte.
Infine, fedeli anche loro all’ideale della democrazia diretta, hanno abolito una delle funzioni più discusse di Liquid Feedback. La delega. Ovvero la possibilità di delegare un’altra persona nelle deliberazioni. Una funzione, sempre revocabile, ma che in Germania, a tre anni di funzionamento della comunità pirata, sta acquisendo peso (non tutti gli attivisti possono dedicare ore ogni giorno alla partecipazione deliberativa).
Il gruppo laziale del 5stelle non la pensa così. Fedele al principio “uno vale uno”.
Questo fermento, in un movimento che oggi rappresenta quasi un terzo degli italiani, ha di fatto esercitato una forte pressione anche sui “concorrenti” per adeguarsi, o quantomeno rodare, il nuovo paradigma partecipativo. Di qui, nel gennaio scorso, la partenza a razzo di una piattaforma “estesa” Liquid Feedback per la candidatura di Umberto Ambrosoli alla guida della Regione Lombardia. In poco più di un mese, grazie soprattutto al lavoro della Fondazione Rcm dell’Università di Milano, il server, secondo il suo direttore Mario Sartori, ha raccolto, selezionato e votato circa 300 proposte programmatiche, con circa mille iscritti. E queste proposte, riportate su apposite aree esterne (della piattaforma complementare OpenDCN) hanno ricevuto in gran parte l’adesione dello stesso Ambrosoli.
Peccato che la sua mancata elezione oggi abbia un po’ oscurato la qualità politica di quel programma per la prima volta nato dal basso dai cittadini lombardi.
Subito dopo però è stata la volta di Laura Puppato, e di altri parlamentari “illuminati” del Pd (e altre forze del centrosinistra) nell’avviare (sempre con Fondazione Rcm) ,Tu Parlamento, un server deliberativo anch’esso basato su Liquid Feedback con aree di comunicazione e discussione integrate da OpenDcn (la base, tanto per spiegarci, di PartecipaMi).
Questo sito è diviso in due parti. La prima è l’area libera per i cittadini delle proposte, degli emendamenti, delle votazioni finali. La seconda è invece a disposizione dei parlamentari promotori (14) che vogliono avviare dei percorsi consultivi aperti su temi che stanno seguendo o stanno loro a cuore. Ad oggi 4 parlamentari hanno aperto dei temi. Siamo davvero ancora agli inizi.
Ma ciò che si è mosso dal 2009 intorno a Liquid Feedback ha influenzato anche l’altra maggiore iniziativa spontanea presentata nel workshop di Milano. Ovvero Airesis, nata da un gruppo spontaneo di sviluppatori (team leader Alessandro Rodi) che hanno creato una piattaforma con le capacità immediate di discussione di Facebook (persino riprendendone lo stile) ma con, dentro, anche il motore deliberativo di voto (palese e segreto). Il punto di forza di Airesis sta comunque nella sua interfaccia gradevole e facilità d’uso. Al punto che oggi molti partecipanti ai Meetup del M5s stanno migrando su questa piattaforma, dalla precedente, ormai decisamente invecchiata.
Un esempio. Airesis è oggi un piattaforma in evoluzione e si prefigge l’aggiunta di nuovi strumenti e moduli. Tra cui quello, oggi indispsanbile, per generare petizioni sottoscrivibili dalla rete. Un modulo appena completato anche da OpenDcn e messo in open source (come è del resto anche Airesis). Sarà questo un caso di scambio di funzionalità e codice tra le varie piattaforme emergenti italiane? A sua volta il gran lavoro fatto dal gruppo degli sviluppatori laziali del 5 stelle sull’interfaccia utente di Liquid Feedback potrebbe essere incoporato anche in altre versioni e progetti. Si va quindi verso una rete interconnessa – nella proposta formulata l’ultimo giorno da Fiorella De Cindio fondatrice del Laboratorio di Informatica Civica dell’Università di Milano – nello sviluppo di software di e-democracy?
Anche e soprattutto per l’adozione di autentiche innovazioni radicali. Qui è d’obbligo citare il lavoro di un matematico, Pietro Speroni Di Fenizio , che ha sviluppato un sistema di voto, Vilfredo goes to Athens che, invece di far vincere una sola proposta su altre concorrenti (come nel voto classico o nell’algoritmo di Schulze usato in Liquid Feedback) genera un processo recursivo in cui le proposte via via dominanti vengono selezionate e i proponenti sono forzati a scegliere tra una rosa dominante sempre più ristretta (fronte di Pareto), ad aggiustare le proposte, convergere, e alla fine a raggiungere l’unanimità sulla soluzione finale.
E’ quanto normalmente avviene in molte situazioni diplomatiche (stesura di trattati, accordi…) ma Vilfredo è una sorta di “tutor matematicamente guidato” che consente a tutti, in gruppi di una dozzina di persone, di sviluppare proposte condivise. L’algoritmo infatti non si presta (per ora) a grandi numeri di partecipanti. Ma è in fase di avvio, con la fondazione Href, una sua implementazione per aiutare il lavoro delle commissioni parlamentari, tipici consessi deliberativi con meno di venti partecipanti.
Non solo, “Vilfredo” potrebbe funzionare egregiamente nella fase di formazione delle proposte su Liquid Feedback, soprattutto quando più idee concorrono sullo stesso tema e possono essere integrabili. Un modulo “Vilfredo” in questa piattaforma è quindi pienamente ipotizzabile.
Lo scenario che ho tentato di descrivere fin qui non è tanto una disamina tecnica delle piattaforme presentate nel seminario quando una descrizione di larga massima di una sinergia in atto (nemmeno tanto potenziale come si vede) tra un’offerta di una tecnologia (tutta open source, e vale per ogni piattaforma) e una domanda, nativa o indotta, da parte di una larga parte della giovane generazione italiana.
In questo ha un ruolo trainante il “popolo del 5 stelle” , con il suo ideale di un corretto uso democratico della rete come cura e antidoto dei mali della Repubblica.
Mie personali considerazioni sul futuro dell’e-democracy
Essendo economista di formazione, mi sono chiesto: queste piattaforme nascenti di e-democracy hanno soltanto un significato politico, ideale, o possono avere anche un fondamento e ritorno economico?
Il mio preferito, sotto questo aspetto, è infatti un progetto presentato alla fine del seminario: una piattaforma per i bilanci partecipati. Bipart. Un ambiente che aiuta nel processo, ma non si sostituisce alla fondamentale attività “fisica” (assemblee, votazioni nei Comuni) tipiche del bilancio partecipativo.
Qui c’è un giacimento di valore potenziale molto elevato. Lo dico a ragion veduta. Sulle cifre dei ricorrenti rapporti della Corte dei conti sulla corruzione in Italia, stimata in circa 60 miliardi annui, e in buona parte concentrata nelle opere pubbliche (anche incompiute) nelle consulenze, nella sanità.
L’adozione diffusa di bilanci partecipativi su progetti di opere pubbliche nei comuni italiani potrebbe quindi fruttare, letteralmente, miliardi di risparmi di danaro pubblico in termini di minore corruzione, attivazione e controllo continuo da parte dei cittadini.
Potrebbe generare la base economica per un ridisegno dell’amministrazione e per molte altri programi, dal welfare al sostegno di nuove imprese. Compreso un netto innalzamento nella trasparenza e legalità pubblica. Ma, del resto, questo è l’obbiettivo di tutta l’e-democracy.
Il bilancio partecipativo è quindi un gioco win-win che andarebbe diffuso (per esempio con apposite leggi regionali di incentivo ai comuni, come in Toscana e forse prossimamente in Sardegna).
L’obbiettivo vero è quello di formare una generazione di italiani in grado non solo di rispettare le leggi ma di contribuire attivamente alle scelte, e al loro controllo di attuazione, secondo criteri di economicità normali.
Già questo sarebbe un sostanziale passo avanti. Dimostrare che la partecipazione e l’e democracy serve a ridurre e evitarci quel quarto di Pil che finisce in corruzione, criminalità, evasione. E insieme genera decisioni politiche più equilibrate. Senza rinunciare alla partecipazione deliberativa e agli ideali di una generazione.
In tal modo hanno ragione pirati e grillini: la rete ben organizzata è davvero la cura e l’antidoto al degrado attuale della Repubblica e dell’Italia.
Il problema però, è indirizzare forse e risorse non sull’e-democracy generica, ma su azioni mirate (come i bilanci partecipativi) a forte carica trasformativa. E su questa trasformazione reale, avvertita dai cittadini (meno tasse, meno corruzione, meno burocrazia incomprensibile finalizzata alla corruzione….) costruire il cambiamento della Repubblica.
L’e-democracy e la partecipazione attiva non potrà limitarsi alla (pure necessaria) fase dell’ ideazione e della proposta all’interno di movimenti e partiti. Ma deve estendersi a quella del controllo dell’esecuzione e della modifica e variante dell’esecuzione. Fino al risultato finale. Altrimenti si rischi di assomigliare agli illuministi napoletani del 700, con i loro grandi proclami ma con le forze borboniche e sanfediste alle porte.
Costruiamo quindi i prossimi risultati della partecipazione attiva. C’è già qualcuno che lo sta facendo in Italia. Uno per tutti: la rete Libera di Don Ciotti.
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