Mi sarebbe piaciuto farvi gli aguri di buon anno con almeno due buone notizie. Di un 2013 che chiude una fase disastrosa e, insieme, un nuovo inizio. Purtroppo però, per realismo minimo, devo limitarmi alla prima. E considerare la seconda tristemente, e prematuramente, sfumata. Poteva essere un partito del futuro vicino a Monti. E’ invece la solita pappa, una mezza Dc.
La buona notizia è che comunque il 2013 vedrà finalmente, con ogni probabilità, la chiusura dell’era Berlusconi. Certo, il Cavaliere di Arcore resterà sulla scena politica all’opposizione. Ma non sarà più in grado di creare un suo sistema di potere, quale quello che abbiamo dovuto subire nel corso degli ultimi venti anni.
Avremo, con buona probabilità, un centrosinistra forse anche con maggioranza parlamentare stabile. Il miglior regalo che il 2013, a febbraio, potrà portarci sarà una coalizione di governo in grado di governare il paese per tutta una legislatura che si annuncia durissima. E persino, almeno sulla carta, in grado di approfittare di tempi migliori.
Sono ottimista. Il 2013 sarà un anno in cui la crisi toccherà il suo punto di massimo. Ma già a settembre avverrà qualcosa di importante, forse di decisivo: le elezioni in Germania. Forse qualcosa cambierà in Europa. Forse qualcuno capirà che dopo il 1934 successe qualcosa.
Dopo quella boa di settembre , anche il governo di Berlino (probabilmente ancora guidato dalla signora Merkel) non dovrà calibrare ogni dichiarazione, ogni mossa, ogni provvedimento sul metro dei sondaggi di opinione e elettorali. Forse anche qualche grande consiglio di amministrazione bancario discuterà di Europa, Europa reale.
Se è ancora il caso, politici della Cdu e banchieri, di fare ad ogni piè sospinto la faccia arcigna di chi sta difendendo i “soldi dei tedeschi”.
Soprattutto se, a fine 2013, come anche molti commentatori ripetono (tra cui il non sospetto Economist) tutta la “periferia europea”, dopo due anni e passa di crisi durissima, entrerà in forte instabilità sociale, qualcosa probabilmente succederà anche ai piani alti tedeschi.
Le molotov hanno un bagliore indimenticabile.
L’Euro sarà, infatti, di nuovo a rischio. E non solo per l’eccesso di debito dei paesi periferici (deindustrializzati), quanto per la loro destabilizzazione sociale collettiva. E un Euro a rischio non piace molto a Francoforte. Pubblica e privata che sia.
Cento milioni di europei senza lavoro e impoveriti non sono il massimo nemmeno per la più conservatrice eurostruttura. Che ora non portà più lavarsi la coscienza elargendo le piccole brioches dei programmi comunitari.
Assisteremo, a fine anno prossimo, ai primi segnali di una inedita situazione prerivoluzionaria in Grecia, Spagna, Portogallo? Me lo auguro, sarà un bene per l’Europa, per una futura Federazione. Me lo auguro a patto, ovviamente, che restino solo segnali. Subito spenti da appropriate politiche di rilancio.
Ciascuno di questi paesi ha infatti già oggi tassi di disoccupazione pazzeschi, (un giovane su due e un quarto dei lavoratori in Spagna e Grecia) e crescite dei senza lavoro di questo tipo si cominciano a vedere anche in Italia con qualche segnale persino in Francia.
Contemporaneamente, con il Fiscal Compact, vengono meno gli ammortizzatori sociali del welfare state. In Grecia manco a parlarne, in Spagna idem, in Italia si vedrà, forse.
Italia. Cito l’ultimo rapporto di “Sbilanciamoci”, con la sua efficace sintesi:
quest’anno il Pil diminuisce del 2%, un terzo dei giovani non ha lavoro, la spesa sociale si è di fatto dimezzata provocando uno smantellamento del welfare, abbiamo oltre centosessanta crisi industriali in atto con il rischio di perdere altri trecentomila posti di lavoro, più di un miliardo di ore di cassa integrazione nel 2012, più di un milione di posti di lavoro persi dall’inizio della crisi, il potere d’acquisto tornato ai valori di dieci anni fa, oltre cinquanta comuni di media grandezza che il prossimo anno rischiano il dissesto finanziario e di non poter pagare più gli stipendi ai propri dipendenti. È una crisi tremenda, drammatica.
Risultato netto. Una recessione che, per larga parte d’Europa, sta sconfinando in depressione. Senza redditi e senza investimenti. Con chiari sintomi virali, sistemici, automoltiplicativi.
Ci salverà la ripresa dagli Usa? Molto dubbio, dato lo stato estremamente precario delle finanze pubbliche statunitensi, e la stretta fiscale, le maggiori tasse necessarie per fermare il fiscal cliff. Saranno i ricchi a pagarle? Benissimo, ma comunque sarà un bel colpo di retromarcia su un’economia appena in moto.
A giugno i nostri ineffabili eurocrati cercheranno di elargire, come possono, un pò di fondi anticrisi agli stati più esposti. In cambio, ovviamente, delle mitiche riforme strutturali (ma che impatto può avere, mi chiedo, liberalizzare un mercato del lavoro per metà di licenziati e disoccupati?).
Pannicelli caldi. Ideologia. Di un’Unione Europea che gioca a governare con un bilancio pari all’1% del Pil continentale.
Scrive Barbara Spinelli, su Repubblica, in un commento all’Agenda di Monti:
L’idea alternativa a quella di Monti è di suddividere i compiti, visto che gli Stati, impoveriti, non possono stimolare sviluppo e uguaglianza. Se a questi tocca stringere la cinghia, che sia l’Unione a assumersi il compito di riavviare la crescita, di predisporre il New Deal concepito da Roosevelt per fronteggiare la crisi degli anni ’30, o la Great Society proposta negli anni ’60 da Johnson “per eliminare povertà e ingiustizia razziale”. L’idea di un New Deal europeo circola dall’inizio della crisi greca, ma non sembra attrarre Monti. È un progetto preciso: aumentare le risorse del bilancio dell’Unione a sostegno di piani europei nella ricerca, nelle infrastrutture, nell’energia, nella tutela ambientale, nelle spese militari. Non mancano i calcoli, accurati, dei vasti risparmi ottenibili se le spese dei singoli Stati verranno accomunate.
Per tale svolta occorre tuttavia che il bilancio dell’Unione non sia striminzito come oggi (l’1% del pil. Nel bilancio Usa la quota è del 23). Che aumenti alla grande, grazie all’istituzione di due tasse, trasferite direttamente dal contribuente alle casse dell’Unione: la tassa sulle transazioni finanziarie e quella sull’emissione di diossido di carbonio. La carbon tax (gettito previsto: 50 miliardi di euro) segnalerebbe finalmente la volontà di far fronte a un disastro climatico già in corso, non ipotetico. Cosa ne pensa Monti? Sappiamo che vuol tassare le transazioni finanziarie, ma gli eventuali introiti già sono accaparrati dal Tesoro nazionale.
Eccoci al punto. Noi stiamo per votare un’Agenda Monti che non ci dirà che cosa c’è “insieme” e “dopo” il Fiscal compaq.
Unici impegni concreti sono il pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico in Italia.
Monti probabilmente guiderà una coalizione che non ha una chiara percezione del 2013 e poi del 2014 e del 2015. Che ha acceso un cero alla Madonna, come l’intera Europa, sperando che le difese finanziarie da un lato tengano, dall’altro che i tedeschi comincino a ragionare, e che i giovani greci e spagnoli non diano fuoco, a fine anno, ai rispettivi parlamenti. E che magari l’onnipotente dio mercato serva in tavola la ripresa globale anche sui piatti europei più impoveriti. Impoveriti ovviamente dall’imperativo categorico assoluto di aver assolto i propri “compiti a casa”.
Ma se poi questi “compiti a casa” generano il mostro della depressione e quindi della destabilizzazione sociale? Se questi “compiti a casa” per salvare l’Euro finiscono per destabilizzarlo peggio dei debiti pubblici?
Risposta dall’Agenda Monti: boh.
Tutto questo, mi rendo conto, è un po’ crudo, poco elettorale. E non lo troverete nell’osannata Agenda Monti. Troverete tante nobili frasi, specie all’inizio, sull’Europa. Sul prossimo parlamento costituente, eccetera. Come se a un pensionato greco, spagnolo o italiano che si muore di fame basta un, seppur altolocato, pezzo di carta.
Troverete un vuoto, evidente, sulle politiche reali per la ripresa. Un buco che forse verrà riempito solo dopo settembre.
Buon 2013, primo di una serie di anni interessanti.
P.s. L’Economist dice:
The fate of the euro will depend as much on the choices of creditor states, above all Germany. Its approaching election in the autumn of 2013 will make Mrs Merkel increasingly cautious about staking more German money.
French calls for joint eurobonds were rejected months ago. An alternative French idea, to create a central euro-zone budget to help counter economic shocks, was killed off at the European summit on December 13th-14th. These and other proposals were part of the European Commission’s “blueprint” for long-term reforms (including treaty change) and a similar but more limited “road map” drawn up by Herman Van Rompuy, president of the European Council. At the height of the crisis, EU leaders felt it necessary to set out a long-term vision to reassure markets. Now that the pressure is off, the vision has gone as well.
“It’s not dead. It’s in hibernation,” says Alexander Stubb, Finland’s Europe minister. But he admits that the prospect of a big treaty change to re-engineer the euro is receding. For the foreseeable future, the euro zone will be based more on a modified Maastricht system, with tougher rules, more money in extremis and a more active central bank, than on true fiscal federalism.
This may be enough for the euro to survive, but not to thrive. At best, recovery in peripheral countries is likely to be slow, even if they have undergone deep reform. At worst, the lack of a long-term plan will invite markets to push the euro back down the rungs of financial hell.
(parola di un autorevole, stagionato e conservatore periodico britannico)