Perchè devo accettare la riforma dell’articolo 18

Pur avendo fatto la campagna elettorale con la Lista Tsipras (Per la sua promessa per una conferenza europea sul debito, finora disattesa), sono d’accordo, un po’ a denti stretti, per la riforma dell’articolo 18.

Il motivo è semplice. Se l’Italia andrà avanti come ora per altri cinque anni sarà l’ombra dell’ombra di se stessa. Un paese al di sotto dei livelli civili dell’Estonia o dell’Ungheria, un fanalino di coda assoluto. Da cui emigreranno non solo giovani ricercatori o laureati, ma giovani e basta, spinti da quel 45-50% prevedibile di disoccupazione (e sotto-occupazione) delle nuove generazioni.

L’Italia era fallita già nel 1992, grazie a statisti come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Giuliano Amato. Poi la lunga fola berlusconiana non ha fatto che peggiorare le cose. Questa  gentaglia ha distrutto il paese, regalandoci il secondo maggiore debito pubblico del mondo, che ogni anno ci divora il 5-6% del Pil, soldi nostri, nostre tasse, che vanno a remunerare banche, investitori e speculatori internazionali, e un po’ di famiglie ricche.

Non vi è modo di mettere quel 5-6% al servizio del rilancio dell’Italia. Che davvero farebbe la differenza. E questo da 25 anni filati. Morale, l’Italia è in austerità dal 92, in stagnazione e i soloni di cui sopra (compresi altri di sedicente sinistra)  ci raccontano la favola di una Italia spendacciona, che vive oltre i suoi mezzi. Siamo spremuti e pure derisi.

Certo, non abbiamo ripagato il debito e gli interessi grazie a un’evasione fiscale dilagante (favorita dalla criminale politica fiscale al contrario di Berlusconi e Tremonti), certo l’Italia onesta veniva e viene torchiata oltre ogni record europeo. Certo, la criminalità organizzata, la corruzione e il lavoro nero hanno fatto la loro parte. Quando un paese consente che un quarto del suo reddito si occulti, la partita del debito è matematicamente persa. E così interessi non pagati e trasferiti a nuovo debito hanno costellato i 25 anni. Il risultato è che già nel 2011 eravamo sull’orlo del precipizio. E i mercati se ne sono accorti….

Di fatto siamo arrivati alla crisi del 2011 come un “papero seduto”, per dirla all’americana. Ci hanno massacrato, così come ci massacrarono nel 1992, quando George Soros capì che l’Italia craxiana-andreottiana era fallita e si mangiò a spese nostre tutte le riserve della Banca d’Italia, poi affannosamente ricostituite con i prelievi forzosi notturni di Giuliano Amato, l’ex compare del malaugurato lider maximo socialista.

In quei giorni Beniamino Andreatta (uno e dei comprimari del disastro) lavorava a un piano di “default” dell’Italia. Un fallimento ordinato. Molto probabilmente meglio della lunga, venticinquennale agonia economica che ha dovuto subire questo paese. Ma qualche potere forte non volle “il nuovo inizio traumatico”, preferì il continuum Amato-Ciampi-Berlusconi.

Oggi il paese continua ad essere fallito come allora (non si è mai davvero ripreso), ha galleggiato, ora sprofonda.

Perchè sprofonda? Semplice. Perchè il suo fallimento, il suo debito inamovibile,  priva l’Italia di ogni risorsa pubblica. La priva di ogni sovranità economica. Perchè è divenuta così debole da dover sottostare alla lettera ai vincoli e ai diktat europei e dei mercati finanziari, perchè il suo debito pubblico si avvita, tra Pil che decresce e debito che aumenta e deve continuare a pagare una montagna di interessi. A spese di qualsiasi investimento per lo sviluppo.

Dove può trovare i soldi (a breve) oggi l’Italia? Da una lotta all’evasione che arranca a colpi di decine di milioni (quando ci vorrebbero miliardi)? Da una revisione della spesa pubblica irta di difficoltà e di lobbies armate fino ai denti? da un’ abolizione delle Province macchinosa? Oppure dal taglio delle pensioni, della sanità pubblica, di quanto resta dello stato sociale? Abbiamo letto innumeri itoli di giornale su questi temi. Nel concreto finora niente.

Per questo ci siamo persi dal 2007 il 10% del Pil e un quarto dell’industria italiana senza di fatto poter reagire.

Un paese così è paralizzato nella depressione, condannato a diventare come le Filippine.

Mario Draghi lo ha detto chiaro a Renzi questa estate. Se vuoi che noi della Bce ti diamo i quattrini che servono all’Italia per ripartire, se vuoi che Bruxelles allenti in diktat sul 3% di deficit e poi sul pareggio di bilancio, devi darmi  in cambio qualcosa di significativo. Una riforma che faccia il giro dell’economia globale. Devi cancellare il fatto che, unica al mondo, in Italia le aziende si devono sposare ex lege i dipendenti, nella buona e cattiva sorte. Devi togliermi di torno l’articolo 18.

Stiamo parlando di un segnale. Non per l’Italia, ma oltre l’Italia. Per chi davvero la controlla.

Draghi, presidente della Bce, è in un vaso di ferro. Ma sopra ha un vaso d’acciaio, la Bundesbank e il governo di Berlino. E questo governo è stato eletto con i voti conservatori di risparmiatori tedeschi, ossessionati a non pagare, via euro, i debiti dei paesi europei spendaccioni, mafiosi, ndranghetisti come l’Italia. Lo abbiamo visto per il disastro greco.

L’unica carta che ha Draghi per lanciare il suo programma (da tempo studiato) di massicci acquisti di Bot e Cct (e altri) è quello di mostrare alla Bundesbank e ai tedeschi un trofeo sanguinante. Appunto l’articolo 18.

In Italia si sta cambiando registro. L’autunno caldo del 69 è stato archiviato.

E allora la domanda è: ci conviene? Quanto potrebbe darci Draghi in cambio del trofeo? E ci conviene comunque abolire quella norma (che di fatto proibisce i licenziamenti economici)?

Ho cercato ovunque una risposta alla prima domanda e non l’ho trovata. Draghi tace (ha sul collo la Bundesbank ed è comprensibile), Renzi tace. La partita è al buio.

Sulla seconda domanda invece sono i fatti a parlare. Negli scorsi decenni l’articolo 18 per i licenziamenti economici è stato totalmente aggirato, tramite gli scorpori di rami d’azienda (poi fatti fallire e chiudere) e tramite la semplice liquidazione delle imprese.

Quindi d’Alema e Bersani stanno difendendo un bidone, morto e stramorto da decenni. Ma che invece contribuisce a questa immagine dell’Italia come paese a rischio molteplice, non solo mafioso ma anche giudiziario, per chi vi investe.

L’abolizione dell’articolo 18 sui licenziamenti economici determinerà un afflusso di investimenti dall’estero in Italia? Me lo auguro, ma nessuno lo sa.

I tempi sono diventati brutti, non c’è più tempo per una logorante guerra di trincea. Lo schema proposto da Renzi di ridimensionamento del reintegro solo ai licenziamenti discriminatori e disciplinari ingiusti mi pare ragionevole.  Ora però chiedo. Facciamo pure questa (costosa) riforma “simbolica”.

In cambio di cosa? Possiamo avere impegni, cifre, un po’ di speranza? Ci può spiegare il punto Bruxelles e la Bce? O magari anche Renzi stesso?

Ci può spiegare, con impegni credibili e fondi (magari europei) se e come vorrà costruire quel sistema di flexsecurity per aiutare nel reimpiego chi viene licenziato? Sarebbe l’unica risposta seria al ridimensionamento pesante dell’articolo 18.

 

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6 Responses to Perchè devo accettare la riforma dell’articolo 18

  1. Michele Daniele says:

    Che tristezza. Se non è una resa incondizionata questa non so come altra chiamarla. E poi questa cosa di portargli lo scalpo dell’art.18 in cambio di non ho capito bene cosa è davvero inspiegabile. Tra l’altro non è neanche vero che l’art.18 c’è solo in Italia perchè il reintegro c’è sia in Germania che in Spagna e da altre parti c’è cmq una qualche forma di reddito garantito.

    Ma quello che più è inaccettabile nella tua disamina, peraltro impeccabile in diversi punti è che quel debito è stato fatto verso privati che sono i soli autorizzati a creare moneta, mentre questa dovrebbe essere prerogativa pubblica, dello Stato nazionale o di una entità eletta pubblicamente. Cosa che non sono le banche centrali della zona euro, tutte filiali della BCE che è in mano a privati.

    Alla fine fine, tutta la tua disamina è sttesa dalla stessa logica di Draghi e della Bundesbank. Che tristezza.

    • beppe says:

      Anche per me è fonte di tristezza. Quando un paese, dal 1981, passando per il primo fallimento del 1992 e poi i venti anni di Berlusconi viene messo in mutande, superindebitato succede questo.

  2. Silvana says:

    L’art. 18 è stato fortemente ridimensionato dalla Legge Fornero e non mi pare che, da allora, investimenti si siano timidamente affacciati in Italia. Le ricette della troika sono state eseguite per la stragrande maggioranza e non hanno prodotto risultati, anzi, hanno portato alla recessione, poi alla stagnazione ed oggi siamo alla depressione, con una contrazione sempre più significativa del PIL e con una disoccupazione che aumenta ogni giorno.
    Renzi, che ha fatto capire che avrebbe battuto i pugni sul tavolo, sta eseguendo i compiti della Merkel e di JP Morgan, smantellando ogni giorno, pezzo per pezzo, ogni straccio di diritto e di garanzia per la collettività, soprattutto nei ceti più deboli.
    Renzi, dice che il sindacato deve proteggere anche gli imprenditori. Sì? I lavoratori invece devono andare in balia della pressione continua da parte del datore di lavoro, che nel frattempo potrà attingere all’esercito di riserva da sottomettere al ricatto continuo per creare più povertà e precarietà come regola del lavoro, o lavorare di più a meno salario.
    L’art. 18, non solo non deve essere toccato, anzi, deve essere ripristinato nel suo valore effettivo ed esteso agli altri lavoratori che non ne usufruiscono per fidelizzare il lavoratore all’impresa e l’impresa al suo Territorio.
    Questo non perché si è legati ad un baluardo magnificamente aggirato negli anni, ma perché non si deve difendere un capitalismo malato. E’ il capitale che deve, invece, tornare ad operare nella sua veste originaria, e questo si potrà fare solo con una programmazione economica e delle leggi che questo governo (e l’Europa) non vuole o non è in grado di fare per regolare i mercati, sempre impegnato a proteggere l’1% e i privilegiati. Per anni, i politici sedicenti di “sinistra” impegnati ad attuare riforme neoliberiste hanno lasciato mano libera ai mercati, con la convinzione che questi si sarebbero autoregolati. Abbiamo visto sulla nostra pelle che non è così.
    Renzi, si impegni sul lato di una programmazione politica ed industriale anziché tagliare la spesa pubblica sociale, smantellare diritti, istituzioni e mettere in vendita le tutte le aziende e i servizi pubblici ai privati.
    E’ la domanda che va sostenuta e si potrà fare solo creando certezza sul mercato del lavoro e immettendo liquidità alle famiglie e alle imprese, non con la privatizzazione totale. Garantire l’imprenditore con l’abolizione totale dell’art. 18 non porta occupazione, crescita, né stabilità. Ci riporta all’Ottocento.

  3. Silvana says:

    errata corrige al paragrafo : “Renzi, si impegni sul lato di una programmazione economica (anziché politica) e industriale anziché tagliare la spesa pubblica sociale, smantellare diritti, istituzioni e mettere in vendita le tutte le aziende e i servizi pubblici ai privati.”

    • beppe says:

      Renzi, messo sul piatto l’articolo 18, abbia la forza di ottenere il piano di investimenti pubblici promesso da Juncker. Magari assieme a Valls, Rajoy, Tsipras. Punto.